Libera, Cgil, Legambiente, Arci, Avviso Pubblico, Forum Terzo Settore, Legacoop hanno inviato una lettera all’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, al CNEL e al Ministero delle Imprese e del Made in Italy per esprimere perplessità e preoccupazione rispetto all’ Accordo sul tema della destinazione dei beni confiscati alle mafie e alla corruzione.
“Riteniamo - scrivono le associazioni - che ogni iniziativa sul tema, per essere davvero efficace, debba nascere da una condivisione tra tutti i soggetti sociali e istituzionali che in questi trent’anni hanno dato vita e vivacità allo strumento del riutilizzo dei beni sottratti alla criminalità organizzata, per rafforzare lo spirito della legge Rognoni La Torre, di Libera, che alla legge 109\96 ha dato i natali, e di tutto il movimento Antimafia, nell’ottica di un’assunzione comune di responsabilità”.
Molte le ragioni di preoccupazioni- “La prima, e quella più evidente, riguarda una confusione di fondo tra beni immobili in generale e beni riconducibili ad aziende sottoposte a confisca. Riteniamo che accorpare queste due diverse categorie di confisca rischi di allargare l’approccio privatistico anche ai beni immobili, per i quali l’affitto oneroso e la vendita devono rimanere l’extrema ratio”.
In secondo luogo “Prevedere che per le aziende la via prioritaria debba ritenersi l’affitto a titolo oneroso e solo secondariamente l’assegnazione in comodato a lavoratori dipendenti della stessa rappresenta una inspiegabile inversione di priorità. Per di più, nulla viene specificato nell’accordo rispetto alla disciplina della gestione e del riutilizzo di questi ricavi. Ulteriori modalità di affidamento della gestione, nel testo si citano non meglio precisate “società miste”, che appaiono, anche in questo caso, favorire l’assegnazione prioritaria di tali attività a soggetti privati.”
La legge sul riuso a fini sociali dei beni confiscati è chiara e per questo i firmatari della lettera chiedono “che si riattivino gli organi consultivi già esistenti, come il Comitato Consultivo dell’ANBSC e il Forum “Imprese e legalità del CNEL”, in un tavolo di lavoro con il terzo settore, il movimento cooperativo, i sindacati e le associazioni di enti locali per rivedere e arricchire l’articolato, e per disegnare una diversa filiera di coinvolgimento delle istituzioni nazionali, volta a garantire il riuso sociale come strumento cardine della lotta alle mafie e alla corruzione. Allo stesso tempo, chiediamo che gli enti locali possano mantenere centralità nella filiera di destinazione, come la normativa antimafia richiede, e che le procedure di co-progettazione e co-programmazione richiamate siano al centro dell’operato, per attivare energie produttive dal basso, che possano riportare sviluppo ed economia sul territorio interessato”.
LA LETTERA DELLE ASSOCIAZIONI
Il 4 aprile u.s. è stato firmato un accordo tra l’ANBSC, CNEL e MIMIT sul tema della destinazione dei beni confiscati alle mafie e alla corruzione.
Come già evidenziato per l’analogo caso dell’accordo tra Agenzia e MASAF, riteniamo che ogni iniziativa sul tema, per essere davvero efficace, debba nascere da una condivisione tra tutti i soggetti sociali e istituzionali che in questi trent’anni hanno dato vita e vivacità allo strumento del riutilizzo dei beni sottratti alla criminalità organizzata, per rafforzare lo spirito della legge Rognoni La Torre, di Libera, che alla legge 109\96 ha dato i natali, e di tutto il movimento Antimafia, nell’ottica di un’assunzione comune di responsabilità.
Nonostante il testo del protocollo faccia esplicito riferimento ad una “piena partecipazione di tutte le forze sociali, economiche, del lavoro e del Terzo settore, ai processi di recupero e valorizzazione dei beni e delle aziende”, tale collaborazione non è stata attivata sin dalla formulazione del suddetto Accordo.
Nello specifico dell’accordo ieri presentato in sede CNEL, che nell’ambito della sua autonomia e attribuzioni ha inteso contribuire al miglioramento della gestione e destinazione di beni e aziende confiscate insieme agli altri soggetti istituzionali, ravvisiamo preoccupanti criticità, non tanto nelle premesse, quanto nell’indicazione di nuovi ruoli e procedure che appaiono non pienamente coerenti con le premesse stesse. La prima fra tutte, e quella più evidente, riguarda una confusione di fondo tra beni immobili in generale e beni riconducibili ad aziende sottoposte a confisca. Riteniamo che accorpare queste due diverse categorie di confisca rischi di allargare l’approccio privatistico anche ai beni immobili, per i quali l’affitto oneroso e la vendita devono rimanere l’extrema ratio.
Lo sforzo che deve unire la filiera istituzionale e sociale deve essere indirizzato al rafforzamento dell’impianto normativo e alla rimozione di quegli ostacoli che ne rendono difficoltosa l’applicazione, al fine di permettere al numero crescente di beni confiscati che ogni anno arrivano nel patrimonio pubblico, di intraprendere prioritariamente la strada del riuso pubblico e sociale. L’unica in grado di garantire e tutelare le nostre comunità.
Rispetto ai terreni, citati nella premessa del protocollo, ma anche per gli altri immobili, siamo consapevoli che oggi molti siano ancora in gestione all’ANBSC, essendo rimasti inoptati da parte dei soggetti preposti al riuso sociale o istituzionale. Riteniamo che, prioritariamente, si debba lavorare per trovare migliori strumenti per raccogliere disponibilità per il riuso sociale (la Piattaforma Unica delle Destinazioni è sicuramente uno di questi, anche se da migliorare) e, allo stesso tempo, consideriamo urgente trovare soluzioni per ridurre i rischi di restituzione dei beni confiscati in via definitiva e già assegnati, perché questo intimorisce e scoraggia sia i Comuni, sia gli altri soggetti del Terzo settore e della cooperazione che potrebbero prenderli in gestione. Non si può disconoscere che in questi 30 anni di legge 109\96 siano nate tante esperienze di agricoltura sociale e di produzione biologica che hanno generato nuove opportunità di sviluppo e di lavoro per il territorio.
Prevedere, inoltre, che per le aziende la via prioritaria debba ritenersi l’affitto a titolo oneroso e solo secondariamente l’assegnazione in comodato a lavoratori dipendenti della stessa rappresenta una inspiegabile inversione di priorità. Per di più, nulla viene specificato rispetto alla disciplina della gestione e del riutilizzo di questi ricavi.
Ulteriori modalità di affidamento della gestione, nel testo si citano non meglio precisate “società miste”, appaiono, anche in questo caso, favorire l’assegnazione prioritaria di tali attività a soggetti privati.
Ma ciò che desta maggior preoccupazione è quanto previsto nell’art. 6, poiché contiene una chiara avocazione del ruolo svolto dall’ANBSC a favore del MIMIT. Per di più, seppur nella premessa dell’accordo vi sia una corretta indicazione delle tipologie dei beni, in questo articolo vengono poi riportate le categorie sopradette in modo non corretto, sovrapponendole e non identificando in maniera concretamente gestibile la loro destinazione.
L’ANBSC è stata istituita con lo specifico intento di creare una cabina di regia nazionale che potesse orientare verso l’utilizzo effettivo del bene, svolgendo il ruolo di promozione sociale e di sviluppo economico. Seppur con molte difficoltà, l’Agenzia è riuscita a realizzare migliaia di destinazioni in perfetto rispetto verso le finalità della normativa che certamente non è indirizzata a privilegiare l’approccio privatistico o la vendita, prevista solo come ultima ratio e con precise e rigorose tutele.
In questo accordo si prevede che l’ANBSC destini gli asset “già proposti in destinazione senza esito” ritenuti interessanti dal MIMIT, al Ministero stesso, il quale procederà a gestire un bando di assegnazione degli stessi beni e a valutare, con il CNEL, la validità dei progetti di assegnazione proposti. Ci si chiede quale sia la motivazione di una chiara violazione del Codice Antimafia, mediante un così palese disconoscimento di ruolo dell’Agenzia.
Se il Ministero ritiene di possedere le competenze necessarie per portare a buon fine la destinazione dei beni, sia immobili, sia aziende, non si capisce perché, in ossequio alla volontà di co-progettazione e co-programmazione citata in premessa, non metta a disposizione tale competenze in una reale condivisione di intenti con il Terzo settore e con la Cooperazione, senza scardinare la normativa attuale.
Per questo chiediamo che si riattivino gli organi consultivi già esistenti, come il Comitato Consultivo dell’ANBSC e il Forum “Imprese e legalità del CNEL”, in un tavolo di lavoro con il terzo settore, il movimento cooperativo, i sindacati e le associazioni di enti locali per rivedere e arricchire l’articolato, e per disegnare una diversa filiera di coinvolgimento delle istituzioni nazionali, volta a garantire il riuso sociale come strumento cardine della lotta alle mafie e alla corruzione. Allo stesso tempo, chiediamo che gli enti locali possano mantenere centralità nella filiera di destinazione, come la normativa antimafia richiede le procedure di co-progettazione e co-programmazione richiamate devono essere al centro dell’operato, per attivare energie produttive dal basso, che possano riportare sviluppo ed economia sul territorio interessato.
Le associazioni firmatarie:
Libera - Cgil - Legambiente - Arci - Avviso Pubblico - Forum Terzo Settore - Legacoop
Nessun commento:
Posta un commento