Proteste in tutto il Paese, mezzo milione in piazza contro Donald. Stranieri a volto coperto per non essere identificati e deportati
NEW YORK - Giù le mani dalle università, dalla scuola, dalle biblioteche pubbliche». E pure «dai nostri alleati, dal Canada, dall’Ucraina, dalla Nato, dall’Unione europea, dagli scambi commerciali».
Ancora, «giù le mani dalla sanità, dai vaccini, dalla ricerca». Ma anche «dai posti di lavoro, dai fondi pensionistici, dal carrello della spesa ». Una lista così lunga che Mary Stebbins, bibliotecaria di 46 anni, sul suo cartello ha scritto: “Ho troppi motivi per protestare e qui non entrano tutti”. Scuote la testa mentre ti dice: «Le mosse di questa amministrazione mi indignano ogni giorno. Ma mai avrei immaginato la follia dei dazi. Trump e Musk vogliono impoverire tutti. Usano il caos per consolidare il loro potere».
Nonostante la giornata fredda e la pioggia battente, New York non s’è tirata indietro: anzi, tanti hanno dipinto i loro slogan anti Trump (“Siamo una democrazia, ghigliottiniamo i re”) e anti-Musk (“Elon, non Napoleon: nessuno ti ha eletto”) direttamente sugli ombrelli. Nella Grande Mela almeno 20mila persone – ma c’è chi dice molte di più – hanno partecipato a quella che è stata solo una delle almeno 1.200 proteste che hanno scosso e risvegliato l’America. A cui hanno aderito 150 organizzazioni, da Greenpeace a Human Rights Campaign, insieme a sindacati e a molti membri del partito democratico. Oltre mezzo milione di persone scese in piazza unite dal comune slogan “Hands Off” - giù le mani, appunto – per protestare contro «l’eccesso di autoritarismo e il programma sostenuto dai miliardari» affollando i numerosi eventi organizzati in tutti e 50 gli Stati: da Boston a Minneapolis, da San Francisco a Portland e nella capitale Washington: dove sul National Mall, a due passi dalla Casa Bianca, s’è tenuta la manifestazione più partecipata. Ma pure in centri solitamente non scossi dalle proteste, come Ventura, California, dove si sono presentati in mille. E perfinoFort Lauderdale nella trumpiana Florida.
È un popolo variegato quello che riempie Bryant Park, nel cuore di Manhattan, per poi marciare fino a Madison. Trova la sua voce sotto i leoni di pietra della New York Public Library, cantilenando «Eheheohoho, Donald Trump must go», se ne deve andare. Visibilmente sollevati e felici di ritrovarsi in tanti. Certo, numerosi giovani indossano mascherine chirurgiche e non per paura dell’influenza: «Siamo studenti universitari stranieri, protestare è ormai pericoloso per noi. Cerchiamo di non farci identificare» ti dice Aldine egiziana, studentessa di Economia alla New York University, stringendo fra le mani il foglio su cui ha scritto: “La complicità è contagiosa ma anche il coraggio. Resistiamo”. Dalle stazioni della metropolitana esce un fiume di persone determinate a riprendersi la parola coi loro cartelli fatti in casa. Molti dominati dai pinguini delle isole australiane Heard e McDonald, perfino loro vittime dei dazi di Trump: “F#ck your tariff” proclama uno, l’epiteto addolcito da un fiocco di neve al posto della U. “Pure all’Ikea trovi gabinetti migliori di quello assemblato da Trump”, c’è scritto su un altro. Mark Sullivan, professore di filosofia in pensione in giacca e cravatta ha solo la bandiera americana: «Non c’è simbolo più efficace. È Trump che non la onora». Tre ragazze si riparano sotto ombrelli azzurri delle Nazioni Unite. Vedi bandiere della Ue, del Canada, della Palestina e dell’Ucraina. Un gruppo di donne sfila con cartoncini azzurri: «Pro-Israele, pro-pace, pro-democrazia» c’è scritto. I genitori hanno portato i bambini: stringono disegni in difesa della scuola pubblica. Ci sono pure gli studenti di teologia della Fordham University, alcuni con la tonaca: “Giù le mani dai migranti” c’è scritto sul loro striscione. Colpisce il cartello di Susan Dwight: “Vi ricordate la poliomielite? Io no”: «Sono una ricercatrice, una biologa molecolare. Grazie a Elon Musk ho appena perso il lavoro». Molti rilanciano le frasi pronunciate dal senatore del New Jersey Cory Booker durante il suo discorso lungo 25 ore al Senato: «L’uomo più potente del mondo e il più ricco usano l’ascia di guerra per smantellare la democrazia». Sulle scale della New York Public Library c’è proprio il senatore Booker. «Questo è solo l’inizio» ti risponde al volo: «Gli americani abbatteranno insieme il muro di bu gie di Trump».
La Repubblica, 6/4/25
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