BINO MOSCATO
Già ci manca. Quella sua camminata strana, sempre il sorriso sulle labbra, la battuta sempre pronta. Un Papa che parlava come si mangia. Senza “censure”. A volte anche lasciandosi andare ad espressioni “politicamente scorrette” (che ha fatto arricciare il naso ai benpensanti e agli ipocriti). Oggi tutti si affollano (sui giornali, le tv, i social) a tesserne le lodi.
Il Papa di tutti, dei più poveri ed emarginati; il Papa ecologista ed economista che ci ha messo in guardia dallo sfruttamento del pianeta in nome del dio-capitalismo e del dio-globalizzazione esasperando il divario tra i pochi ricchissimi e i tanti, troppi, poverissimi; il Papa che fino all’ultimo si è “sgolato” ad invocare la pace, il disarmo, ma anche la cancellazione del debito pubblico dei Paesi più poveri… un Papa che diceva “pane al pane e vino al vino”, senza riserve, senza guardare in faccia a nessuno. Ma con questo modo di fare senza mai offendere nessuno (se c’è stato qualcuno che si è sentito offeso forse il problema era innanzitutto suo…) ma amando tutti ed offrendosi a tutti. Fino alla fine. Bello il ricordo di uno dei politici che hanno espresso il loro ricordo di Papa Francesco in occasione della seduta a camere riunite del Parlamento il 23 aprile che ha citato la frase di Giovanni 13,1: “…dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Così sia. Io purtroppo non posso fregiarmi di avere una foto col Papa ma l’ho visto due volte, da lontano, durante l’Angelus domenicale a Piazza San Pietro. Emozione profonda: lui, una macchia bianca, lassù, affacciato alla finestra del suo studio ma ingigantito dai maxischermi. Il silenzio assoluto della piazza durante l’ascolto delle sue parole e il suo commiato con l’augurio di “buon pranzo”.Il giorno stesso della sua morte scopro la sua autobiografia uscita qualche mese fa: autobiografia che all’inizio voleva fosse pubblicata postuma ma che poi ha deciso di offrire al pubblico quest’anno in occasione del Giubileo: diciamo che sono stati esauditi entrambi i suoi desideri… Naturalmente il titolo del libro è “Spera”, e come poteva essere diverso se l’attuale Giubileo è proprio dedicato alla Speranza? “Fiamma viva della mia speranza” recita infatti il primo verso dell’inno giubilare 2025. Ma poteva anche usare un altro “imperativo”: Ama. Perché l’amore è l’altra prerogativa che assieme alla fede formano le tre virtù teologali. Le tre virtù che Papa Francesco ha incarnato con la sua vita. Oltre a leggerla tutta d’un fiato, la sua autobiografia, dove sono riportate i tanti episodi della sua vita molti dei quali aveva già raccontato durante i tanti suoi incontri, ho voluto rivedere (per la terza o quarta volta) il film “I due papi” che fin dalla prima volta mi ha commosso profondamente perché riesce a mettere in luce il carattere di Bergoglio, prima che salisse al soglio pontificio: a chi non lo conosce o non la hai mai visto invito a vederlo.
La prima scena è esilarante e già capisci con chi hai a che fare: la semplicità, mista anche ad una certa quota d’ingenuità, che lo ha contraddistinto anche quando è diventato il successore di Pietro. Il suo fastidio per le complicazioni, gli orpelli, il fasto: ora, se uno sceglie il nome Francesco, nome che mai nessun suo predecessore ha osato usare per diventare Papa del Cattolicesimo, come volete che poteva ornarsi di croce d’oro, della mantellina rossa, delle scarpe rosse griffate? Sorrido al pensiero che oltre ad un problema alle articolazioni delle anche, la sua camminata strana era forse dovuta anche alle cipolle formatesi ai suoi piedi dall’uso di scarpe un po’ troppo “spartane “, ma non è così perché lo spiega lui stesso: essendo affetto da piattismo plantare usava delle scarpe ortopediche. Certo il paragone col suo predecessore (e per alcuni anni coesistente) è troppo stridente ma, come sempre mi ripeteva mio padre: “i paragoni sono sempre odiosi”.
E voler paragonare Benedetto XVI a Francesco può aver senso ma fino ad un certo punto. Sta di fatto che, grazie a Dio, gli ultimi Papi sono stati tutti degni del loro ruolo, ognuno con le sue peculiarità: ognuno ha saputo ben interpretare il tempo in cui ha vissuto cogliendone i tratti caratteristici e di conseguenza orientando la Chiesa in tal senso. Benedetto XVI si è trovato ad operare in un momento di forte crisi della Chiesa (il fenomeno della pedofilia, lo scandalo Vatileaks del 2012…) a cui ha cercato di porre rimedio ma forse il peso di tali problemi è quello che lo ha indotto alla rinuncia del papato. Il film “I due papi” ferma l’attenzione proprio sulla crisi della Chiesa e di Benedetto XVI e racconta del suo incontro (mai realmente accaduto) con l’allora cardinale Bergoglio che convoca a Castel Gandolfo. Il racconto, anche se di fantasia nella trama generale, si fonda su fatti realmente accaduti, in particolare sulla storia personale di Bergoglio (la giovinezza, la vocazione, la carriera ecclesiastica all’interno del Gesuiti, il suo rapporto con il regime durante la dittatura militare argentina, la sua vita da Vescovo di Buenos Aries). Toccanti due momenti del film: il primo, l’incontro di Benedetto XVI con Bergoglio nei giardini della residenza estiva di Castel Gandolfo; il secondo, la confessione che ciascuno fa all’altro nella Cappella Sistina. Momenti magici, interpretati da attori magnifici, Antony Hopkins è Papa Benedetto XVI, Jonathan Pryce è Bergoglio adulto, Juan Minujín (attore e regista argentino) è Bergoglio giovane. Non è un “docufilm”, ripeto, c’è tanta fantasia, ma quello che mi attrae di questo film è che racconta di fatti mai avvenuti ma che avrebbero benissimo potuto esserlo.
L’autobiografia dal titolo “Spera” poi, possiamo considerarlo il suo definitivo testamento spirituale perché oltre a raccontare i fatti della sua vita è ricco di riflessioni sugli argomenti fondamentali che hanno caratterizzato i suoi anni di pontificato. Essenzialmente la volontà di aprire la Chiesa a tutti, specialmente ai più poveri ed indifesi, gli ultimi, i peccatori. Perché, ripeteva, siamo tutti peccatori, ed è per questo che Cristo è venuto: non per i “giusti” o i “sani” ma per chi necessita di aiuto, di consolazione, di perdono, di tenerezza. Ecco, tenerezza, una delle parole a lui più care. Una Chiesa aperta e soprattutto attenta alle istanze del mondo contemporaneo e non chiusa nell’alveo di una presunta tradizione ed ortodossia. Concludo riportando l’inizio del diciottesimo capitolo del libro dal titolo “Fuori tutti e tutti dentro”: “Se il conclave è il momento dell’extra omnes, la Chiesa è caratterizzata invece dall’intra omnes. E già un istante dopo la fumata bianca, così è per il papa. La Chiesa è di Cristo. E Cristo è di tutti, è per tutti: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (Mt 22,9). Tutti sono chiamati. Tutti. E allora: tutti dentro. Buoni e cattivi, giovani e vecchi, sani e ammalati. Perché questo è il progetto del Signore.”
Bino Moscato
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