mercoledì, aprile 02, 2025

A UDITORE – PASSO DI RIGANO RIEMERGONO I VECCHI BOSS


Francesco Bonura
di GIOVANNI BURGIO

Sempre gli stessi cognomi e gli stessi personaggi

Il blitz che giovedì 30 gennaio ha portato in carcere 19 persone ci riporta indietro di anni, se non addirittura di decenni. I cognomi che predominano, infatti, sono quelli della seconda guerra mafia agli inizi degli anni ’80, sia dei perdenti che dei corleonesi: Bonura, Buscemi, Sansone. Tutti appartenenti al mandamento Uditore – Passo di RiganoNelle intercettazioni utilizzate per questi arresti possiamo ascoltare sia i “vecchi valori” e gli “antichi principi” rivendicati da questi boss sia le loro considerazioni sullo stato delle cosche oggi e sugli uomini che ne fanno parte.

Sull’attuale situazione di Cosa Nostra, sostanzialmente debole, Girolamo Buscemi, detto Mummino, capo della famiglia di Passo di Rigano, pensa questo “Nessuno dà più confidenza a nessuno. Nessuno si vuole più immischiare. Nessuno cerca più a nessuno. Si sono ritirati tutti. Tutti, pari pari”. E rievocando i tempi passati aggiunge “Che fa…ti ricordi quando dipende dove dovevamo andare che ai cristiani gli veniva il cuore quando ci vedevano? Ora si nascondono certuni”.[1]


E sottolineando che la situazione è cambiata e che non bisognava più esporsi e attirare troppo l’attenzione degli investigatori, Buscemi biasima chi continua a chiedere il pizzo: “Ogni tanto c’è qualche scemo che ancora va facendo lo stupido a domandare il pizzo. Ancora forse non lo hanno capito che questa strada la devono finire”.[2]

Ma c’è un’altra condanna che emettono i vecchi boss nei confronti delle giovani leve: la facilità nel pentirsi, nel parlare con gli inquirenti. Dice Francesco Bonura “Non ci sono più le persone di una volta. Che appena li prendono e li mettono nella macchina, gli raccontano tutto, pure quello che non fanno”. Loro, invece, la vecchia guardia, non parla, rispettando le regole dell’organizzazione ”Abbiamo certe idee, e le nostre idee sono sempre quelle che devono andare avanti. I nostri principi. Chi mi ha fatto bene, che ho stimato per il passato, io non lo tocco. Fate quello che volete. Mi volete dare l’ergastolo, datemelo”.[3]

Figura centrale di tutta l’inchiesta è Francesco Bonura che, scarcerato nel 2020 dopo vent’anni di detenzione, intende prendere il controllo della famiglia dell’Uditore assieme ad Agostino Sansone. E siccome lui è essenzialmente un costruttore di palazzi, l’egemonia sul territorio passa attraverso gli affari edilizi. Si sarebbe servito in particolare dell’imprenditore Eugenio Avellino, volto pulito e braccio operativo per il gran lavoro da fare.

Nei colloqui tra i due reggenti del mandamento si parla di “ponti da montare” e “prospetti da definire“, di “progettisti da pagare” “quattrocento mila euro da pagare scadenzati”, di “lotti di terreno in via Uditore” con “indice di edificabilità tre metri cubi a metro quadrato, realizzazione di numero venti unità immobiliari da novanta metri superficie calpestabile”.[4] In sostanza, tutto il mondo dell’edilizia e degli affari immobiliari da penetrare e dominare.[5]


La foto segnaletica di Totò Riina

Il terzo personaggio di spessore di questo blitz è Agostino Sansone, fratello di Giuseppe e Gaetano già detenuti. Si tratta della famiglia che ha costruito il residence dove ha abitato Totò Riina. A loro, in particolare a Gaetano, si è rivolto il Bonura per avere il permesso di guidare l’intero mandamento.

Sullo sfondo di quest’indagine c’è l’eterno ruolo dei corleonesi e degli “scappati”, cioè dei vincenti e dei perdenti della seconda guerra di mafia. Le famiglie di questo mandamento infatti sarebbero quelle che hanno subito maggiormente l’attacco dei “viddani”, cioè dei corleonesi, con la conseguente fuga in America per salvare la pelle.

Ma il gioco degli schieramenti e delle alleanze è, come in tutte le strutture di potere, ambiguo e cangiante, per cui chi negli anni ’80 era in qualche modo con i vincenti, ora se ne dichiara distante e critico. In ogni caso adesso è più netta la condanna verso la direzione miope e violenta di Riina e soci, colpevoli secondo gli attuali capi palermitani di avere condotto Cosa Nostra verso la rovina e il declino.

2.4.25


[1] “Nessuno cerca più nessuno, per me la guerra sta finendo”, Fabio Geraci, Giornale di Sicilia 30.1.25, pg. 11.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem. Nelle loro conversazioni i boss esprimono sdegno in particolare per il pentimento dei giovani rampolli delle famiglie Galatolo e Fontana dell’Acquasanta.

[4] Il boss e gli incontri al cimitero con il costruttore che volevano ammazzare, Riccardo Lo Verso, LiveSicilia.it, 1.2.25.

[5] Il giorno degli arresti sono state sequestrate tre imprese edilizie che detenevano una settantina di appartamenti, ma venti giorni dopo sono state dissequestrate.

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