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Un’immagine della strage di Capaci |
Il giudice di sorveglianza di Milano concede il beneficio a Tinnirello condannato per Capaci e via D’Amelio. Il pm però dice no e ricorre. Lorenzo Tinnirello è stato condannato per le stragi di mafia del ‘92 e per un centinaio di omicidi
di SALVO PALAZZOLO
È il mafioso che conosce i segreti delle stragi del 1992. Lorenzo Tinnirello, del clan di Corso dei Mille, faceva parte del commando riservato che Totò Riina inviò a Roma, insieme a Giuseppe Graviano e a Matteo Messina Denaro, quando il progetto era di uccidere Giovanni Falcone lontano dalla Sicilia. Poi, il piano cambiò, non sappiamo ancora perché. E a Tinnirello fu ordinato di preparare l’esplosivo, prima per la strage di Capaci, poi per via D’Amelio.
Renzino Tinnirello, 65 anni, accusato di un centinaio di omicidi, è davvero un irriducibile della Cosa nostra stragista, non ha mai avuto un solo momento di cedimentonelle aule dei processi, eppure nelle scorse
Se ne discuterà il 30 aprile, davanti al tribunale di sorveglianza di Milano. E il caso fa già discutere. Anche perché la procura nazionale antimafia aveva dato parere negativo alla concessione del permesso premio al mafioso condannato all’ergastolo per le stragi Falcone e Borsellino: la sostituta procuratrice Franca Imbergamo parla di « indiscutibile pericolosità del detenuto». E cita una nota della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che riferisce della «vitalità della famiglia di Brancaccio » . I magistrati siciliani vanno anche oltre scrivendo che « è provato in sede processuale come gli esponenti in libertà di detta famiglia mafiosa prendano ordini da esponenti di primo livello della stessa, detenuti, e tra questi senz’altrodeve annoverarsi Tinnirello». Agli atti dell’operazione “Cupola 2.0”, fatta dai carabinieri nel 2018, c’è poi un riferimento interessante al tesoro mai sequestrato di Tinnirello: anni fa, il boss ergastolano venne intercettato nella sala colloqui del carcere mentre discuteva col padre della vendita di un terreno di famiglia. Parlavano della necessità di trovare «gente seria che ha i soldi per questo lavoro » . E ancora: « C’è un progetto approvato » . Di cosa parlavano? Un altro dei segreti di Tinnirello.
Ma, com’è noto, per la concessione di un permesso premio non è necessario che un mafioso ergastolano collabori con la giustizia. Come ha stabilito la Corte Costituzionale nel 2019, è sufficiente che vengano escluse due circostanze: « L’attualità della partecipazione all’associazione criminale » e poi anche «il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata». Nei fatti, come ha raccontato “Repubblica” in questi ultimi mesi, sono decine i permessi premio concessi ai boss ergastolani di Cosa nostra. E sul caso indaga adesso la commissione parlamentare antimafia presieduta da Chiara Colosimo.
Per certo, Lorenzo Tinnirello è il primo degli stragisti del 1992 ad essere ammesso a un beneficio così particolare: non è più al 41 bis da tempo e le sei ore di libertà potrebbero essere un primo passo verso permessi più lunghi. Intanto, Tinnirello u turchiceddu, così chiamato per la sua carnagione scusa, continua a conservare il segreto più grande, il nome del misterioso uomo ( « Non era di Cosa nostra — ha detto il pentito Gaspare Spatuzza — non so altro » ) che aiutò a caricare di esplosivo la Fiat 126 fatta esplodere il giorno dopo in via D’Amelio. Ha detto Spatuzza, nel 2008: « Portai la 126 nel garage di via Villasevaglios 17, dista 850 metri dalla strada dove fu ucciso Borsellino con i poliziotti. Quel sabato pomeriggio, c’erano già Renzino Tinnirello e Ciccio Tagliavia, loro si occuparono di imbottire l’auto di esplosivo. C’era anche una terza persona, ma non so chi sia, né Graviano né gli altri me lo dissero » . I magistrati di Caltanissetta sono arrivati ad ipotizzare che fosse un esperto artificiere legato ad apparati deviati dei servizi segreti: l’ennesimo capitolo dei segreti su via D’Amelio, ancora oggetto di indagine. Dice oggi la procura nazionale antimafia nel parere negativo per Tinnirello: «Il ravvedimento del condannato deve essere dimostrato da atti concretamente valutabili, e non facendo riferimento al mero foro interiore della coscienza, con affermazioni solo labiali di pentimento » . La Cassazione sostiene che il mafioso debba almeno risarcire i familiari delle proprie vittime. Tinnirello non l’ha mai fatto.
La Repubblica Palermo, 5 marzo 2025
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