di GIUSEPPE LUMIA
In questi giorni è più che mai chiaro a tutti noi che il futuro dell’Europa è diventato cruciale. Anche la questione della scelta del percorso da intraprendere per rafforzare la componente della sicurezza militare ci mette di fronte ad un bivio: da una parte c’è la vecchia strada “confederale”, che ci lascia sostanzialmente in balia dell’attuale e inconcludente assetto istituzionale, dall’altra c’è la scelta “federale”, che porta finalmente a completamento il sentirsi e l’essere davvero una realtà coesa e unita.
In questo periodo, ogni sfida, ogni questione di fondo ci riporta all’opzione fondamentale da compiere: se rimanere avviluppati nelle contraddizioni attuali, mentre gli Stati Uniti, la Russia, la Cina riscrivono la governance mondiale, oppure sentire il peso della responsabilità interna ed esterna di non disperdere il patrimonio di unità conquistato dopo due ben due guerre mondiali e liberare finalmente tutte le migliori energie culturali e progettuali per dotarci di quell’assetto istituzionale in grado di mettere al servizio soprattutto delle nuove generazioni un’Europa all’altezza della storia.
Non c’è dubbio pertanto che l’Europa si trovi ad un passaggio decisivo. Potremmo fare diversi riferimenti storici per comprendere la portata rilevante di questo momento così stringente e drammatico. Ognuno può scegliere nella memoria quello che ritiene più significativo, purché evitiamo di rimanere fermi o, peggio ancora, di tornare indietro sui nostri passi.
Non possiamo rimanere fermi perché siamo già in fase di sgretolamento dell’assetto “confederale” dell’Unione Europea sotto tutti i versanti dello stare insieme, a fronte delle necessità che incombono a livello interno e internazionale. Basti pensare alla crisi militare, esplosa con l’aggressione dell’Ucraina, e geopolitica, per quanto di inenarrabile si sta consumando nella Striscia di Gaza, alla crisi energetica e industriale, al declino sociale dal punto di vista del welfare e ai freni posti alle politiche ambientali, senza trascurare le drammatiche sfide globali delle guerre diffuse, del cambiamento climatico, dei flussi migratori, delle disuguaglianze, dell’intelligenza artificiale, delle dipendenze, delle mafie.
Non possiamo neanche tornare indietro alla centralità autonoma dei singoli Stati nazionali, perché questo ci spingerebbe in un vicolo cieco così “regressivo” da rischiare esiti ancora più disastrosi. Ci consegneremmo ad un declino inesorabile, dove l’unico vero scampo per il “sovranismo” di ciascun Paese consisterebbe nell’esercitare una residuale pseudolibertà di scelta se aderire, come una colonia, al blocco di potere russo, cinese o americano. Bisognerebbe poi mettere in conto anche possibili sconvolgimenti economici, sociali e politici interni regressivi e reazionari.
È indispensabile, allora, quell’approccio che è richiesto ai veri statisti, cioè quello “dell’intelligenza emotiva”, che si realizza in politica con visioni da coltivare, progettualità da promuovere, concretezza da attivare. Analizziamo questi singoli aspetti alla luce del traguardo, da raggiungere velocemente, degli Stati Uniti d’Europa.
La visione da coltivare. Quando la Storia chiama, non si può tergiversare tra retorica e mezze misure. Trump e Musk, Putin e la Cina, ognuno con le proprie autoritarie convinzioni e i propri obiettivi egemonici, hanno disarticolato qualunque, seppur flebile, istituzione della governance mondiale. Per questi pericolosi protagonisti, l’Europa politicamente è solo una “espressione geografica” e per i loro cinici interessi un mero mercato da colonizzare. Allora la sfida va accolta con una strategia chiara e alla nostra portata: adottando un assetto “federale”, l’Europa può trasformare questa crisi storica in opportunità altrettanto epocale per rigenerarsi in profondità e cambiare radicalmente l’agenda globale. Il sogno di Ventotene è oggi “un’utopia necessaria” più che mai attesa e realizzabile.
Una progettualità da promuovere. È il momento più propizio per aprire una fase costituente dell’Europa federale con la definizione politica di una road map certa e una verifica referendaria finale, in ogni Paese, in modo che si possa distinguere chiaramente tra chi intende essere protagonista di questo nuovo corso e chi preferisce abbandonarsi alla condizione di piccola colonia rispetto alle superpotenze globali. Ecco perché spendere 800 miliardi di euro per armare 27 eserciti distinti non solo è oneroso per il debito pubblico, a fronte della necessità di investire risorse sui tanti fronti sociali e ambientali scoperti, ma rischia anche di essere del tutto inutile, perché saremmo comunque privi di un adeguato sistema di sicurezza. Al contrario, investire in un esercito comune ed europeo ci darebbe un ottimo risultato, all’altezza dei compiti odierni, e ci consentirebbe di tenere sotto controllo la spesa militare, lasciando libere risorse da investire sulle sfide sociali del welfare e del rilancio del reddito del ceto medio-basso, sull’innovazione tecnologica e sulla transizione energetica green, solo per fare qualche esempio, per far sì che questi importanti passaggi siano sostenuti da un vasto consenso sociale.
La concretezza da attivare. Più il vecchio assetto “confederale” resiste, più paradossalmente il nuovo si guasta. In sostanza, prima procediamo a realizzare l’assetto “federale” dell’Europa, maggiore forza diamo alle soluzioni delle rovinose questioni in corso, a cominciare da quelle, da condividere, su un futuro di pace giusta da garantire all’Ucraina e alla Palestina: se ci si limita a tregue e accordi provvisori, è molto probabile che presto si scateneranno guerre ancora più devastanti. La stessa proiezione è da considerare per i punti aperti dell’attuale crisi nel rapporto con l’irresponsabile Trump, il cinico Putin e la sorniona Cina. In sostanza, la concretezza non sta nel constatare passivamente le varie difficoltà a procedere verso la nuova Europa, ma nella capacità di scegliere un piglio dinamico e attrezzare la società a comprendere lo storico passo avanti da fare, spingendo l’economia e i corpi intermedi in tale direzione. Su questo percorso, non troveremo certamente ostacoli tra i giovani, le università, il mondo del volontariato e del terzo settore, perché già pensano e agiscono a livello europeo. Le classi dirigenti della politica devono perciò smetterla di attardarsi con scuse varie, pur di continuare a coltivare i loro piccoli ambiti di potere, che già sono in una fase di decomposizione irreversibile.
Certo, l’obiettivo ambizioso degli Stati Uniti d’Europa richiede il meglio di ognuno di noi: d’altronde è così che succede nei momenti più importanti e delicati della Storia.
Ne parleremo il 29 Marzo a Firenze, a partire dalle ore 15, nella suggestiva Sala Capitolare della Basilica di Santo Spirito a Firenze, dove si svolgerà l'incontro pubblico intitolato “Stati Uniti d’Europa: un’utopia necessaria”.
Di recente Roberto Benigni, in un magistrale monologo di oltre due ore trasmesso su Rai1, ha saputo cogliere con intelligenza e sensibilità il valore del cammino fatto finora e di quello che ancora resta da compiere. Se non l’avete seguito, vi invito a farlo, a questo link, in modo da meditare con calma sulle sue parole.
https://www.raiplay.it/programmi/ilsogno?wt_mc%3D2.app.wzp.raiplay_prg_Il+Sogno.%26wt
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