sabato, marzo 15, 2025

ADESSO È IL MOMENTO STORICO PER RIPENSARE, RIPROGETTARE E RIFARE LA SINISTRA E NON PER RIAPRIRE CONFLITTI INTERNI


di 
GIUSEPPE LUMIA

Proprio mentre attraversiamo una fase storica tragica e angosciante, nella sinistra italiana, e in particolare all’interno del PD, si consumano le ennesime divisioni e gli eterni conflitti destinati ad essere ancora una volta “a somma zero”. 

La questione delicata e importantissima su come procedere per realizzare una difesa comune a livello europeo richiede senz’altro uno spazio di confronto e decisione di alto rilievo, ma senza volerlo rischia di diventare anche un possibile pretesto per rivendicare spazi e ruoli o addirittura per ribaltare assetti interni e leadership, piuttosto che essere un’opportunità per innovare e costruire la nuova Europa. 

Parlare di drammaticità del momento non è una espressione scontata che fa da incipit retorico alle riflessioni culturali e politiche o alle richieste di tenere in piedi un’unità fragile e posticcia.  


I pilastri portanti della democrazia occidentale stanno vivendo una crisi senza precedenti. Trump e Musk, Putin e i sovranisti di estrema destra, che negli ultimi anni sono cresciuti a dismisura, la Cina e gli stessi Paesi Brics hanno dato i colpi finali ad un sistema che ormai aveva mille falle e che non ha saputo rinnovarsi in profondità. 


La sinistra è certamente parte integrante di questa crisi, soprattutto nella sua componente egemone degli ultimi 25 anni: il riformismo, soprattutto nella sua versione “congiunturale”. 


Non è pertanto il tempo per regolare ancora una volta i conti interni al PD. È semmai il tempo per ripensare, riprogettare e rifare la sinistra, dentro i drammi e le speranze di questo nostro tempo così travagliato, inedito e per molti versi pericoloso. 


La sinistra più radicale e ideologica è storia passata, ha avuto il suo inesorabile declino già diversi anni fa, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino. Il riformismo, messo alla prova di governo negli ultimi decenni, ha fatto benino solo in termini strettamente congiunturali, mentre sugli aspetti strutturali e incisivi ha consumato per lo più un peccato di omissione, addirittura rinunciando a provare a misurarvisi. 


Il “riformismo congiunturale”, in particolare quello del “giorno dopo”, si è dimostrato fragile, minimalista e genericista, di fronte alle sfide drammatiche che man mano si abbattevano impetuose nella vita delle società occidentali ed europee. È stato un riformismo spesso ossessionato dal complesso di legittimazione nel governare, adattativo e al ribasso, che ha subito le logiche arroganti e sfrenate del neoliberismo. È stato un riformismo non in grado di guidare le società con moderni approcci rispetto al dilagare delle disuguaglianze di reddito, di genere, generazionali e territoriali, al deterioramento del modello “confederale” dell’Unione Europea, al venir meno del ruolo delle alleanze euroatlantiche di fronte a guerre che continuano a coinvolgerci, come quella in Ucraina, e a conflitti antichi ormai incancreniti, come quello israelo-palestinese. Il “riformismo congiunturale”, inoltre, non ha saputo restare ben saldo nei migliori valori della sinistra, né tantomeno aprire ai nuovi valori del fraternariato, del relazionesimo, dell’“ecopensiero”. Non ha trovato in sostanza il tempo per rigenerarsi nel suo modo di pensare e vivere la politica e il governo delle istituzioni e rigenerare così gli assetti urbani, economici, sociali locali e globali. 


Il ceto politico del “riformismo congiunturale” farebbe pertanto un grave ulteriore errore, se pensasse di guidare i nuovi processi politici interni ed esterni con la sola volontà di potere interna ai gruppi dirigenti e con la visibilità esterna da recuperare nei momenti topici della vita parlamentare. Semmai, questo è il momento più propizio per guardarsi dentro, dando il meglio di sé nel mettersi in gioco verso un riformismo di nuovo conio, perché finalmente “strutturale”: capace cioè di elaborare visioni e prospettive, e così orientare la società verso nuovi orizzonti, di governare i cruciali passaggi attuali con capacità risolutive, di radicarsi nel corpo vivo della società e dei territori, di promuovere lo sviluppo sostenibile a ritmi elevati e incisivi. 


In generale, il tempo di opposizione, come quello che il PD sta attraversando, è una fase da dedicare al ripensamento e alla riorganizzazione, non alla ricerca egemonica delle varie aree interne di ruoli e potere di veto. A maggior ragione in una fase epocale come quella attuale, è necessario assumere un piglio dinamico, progettuale, aperto e condiviso.


Per una sinistra finalmente caratterizzata dal “riformismo strutturale” è necessario definire almeno tre questioni fondamentali: 


* La prima: dotarsi di idee e scelte puntuali sulle varie sfide aperte e sanguinanti, come le disuguaglianze, il cambiamento climatico, le innovazioni ipertecnologiche, le dipendenze, le mafie, i diritti sociali e civili. Ma è necessario al contempo avere un cuore pulsante, che consenta di radicarsi nella società: per la sinistra, si trova nel benessere (reddito, welfare, mobilità sociale) del ceto medio-basso. Solo con l’ampio consenso e l’attiva partecipazione di questa ampia fascia sociale alla vita politica si può procedere verso le necessarie innovazioni, come la contrastata transizione ecologica. 


* ⁠La seconda: ripensare la globalizzazione, le sue dinamiche geopolitiche, geoeconomiche e geosociali. È indispensabile rivedere modelli di autosviluppo e di cooperazione, regole e istituzioni della governance mondiale, per promuovere pace, sostenibilità e sicurezza. Ma anche su questa dimensione è necessario ancorarsi ad un cuore pulsante. Per la sinistra, non può che essere l’Europa, però non quella attuale, ormai in inevitabile declino, ma quella pensata a Ventotene, cioè l’Europa federale, attraverso un programmato e condiviso avvio del processo costituente degli Stati Uniti d’Europa, da sottoporre poi a un passaggio referendario confermativo in ogni Paese disponibile ad intraprendere questo ulteriore e decisivo step del cammino europeo. La Conferenza programmatica di cui si parla dopo il voto del Parlamento europeo, che è veramente utile organizzare, deve porsi a questo livello, con una convocazione di tutti i partiti socialisti e democratici europei in una città particolarmente significativa sul piano dei principi e delle sane ispirazioni, per esempio nella suggestiva località di Assisi. 


* La terza: ripensare il modello del Partito che una sinistra deve offrire ai propri militanti, alla società e soprattutto alle nuove generazioni. La leadership “dell’Io comunicativo” è fragile, caduca e contraddittoria rispetto a un’idea partecipata e comunitaria della politica. Il vecchio modello è saltato, sebbene sia opportuno recuperare alcuni elementi, mentre il modello movimentista è fragile per reggere la crisi della democrazia, della militanza e della partecipazione al voto. In questo caso, il cuore pulsante sta nel rigenerare la “leadership del Noi”. Bisogna aprire realmente e subito il cantiere del “Noi”, perché di fronte all’onda crescente delle estreme destre abbiamo bisogno più che mai di un Partito di alto livello progettuale, ben radicato e ricco di collegamenti capillari nella società, traboccante di ideali condivisi e guidato da dirigenti all’altezza dei ruoli che sono chiamati a svolgere. 


Chiarimenti tra dirigenti, accorgimenti parlamentari e riposizionamenti congressuali lasciamoli da parte, rischiano di essere solo riti consolatori, un ulteriore passo verso il “cupio dissolvi”, nient’altro che niente! È necessario invece mettersi in modalità positiva, tipica “dell’intelligenza emotiva”, verso una sorta di “Esodo” che prepara e anticipa nuovi scenari nei rapporti tra gli esseri umani e con l’ambiente con una cultura di governo di enorme qualità e responsabilità.

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