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Pio XII |
Giovanni Maria Vian
A ottant'anni dall'entrata ad Auschwitz dell'Armata rossa e in presenza di un antisemitismo crescente, resta acceso il dibattito sulla Shoah, male radicale e unico. Tra i temi più controversi vi è quello dell'atteggiamento della Santa sede e di Pio XII. Protagonista dal 1939 al 1958 di un pontificato decisivo, proprio per la questione dei suoi silenzi durante la Shoah il romano Eugenio Pacelli è a sua volta il papa forse più controverso del secolo scorso.
Da quasi cinque anni la Santa sede ha aperto i suoi archivi relativi al ventennio pacelliano, ora studiati da Nina Valbousquet in un libro importante ( Les âmes tièdes, La Découverte ). Le «anime tiepide» del titolo sono quelle dei responsabili della politica vaticana. L'espressione riassume bene il contenuto e il senso della ricerca condotta dalla storica francese, che ricostruisce chiaroscuri, contraddizioni e sfumature di una storia grigia e drammatica. Lontana dai colori forti di gran parte del dibattito sui silenzi di Pacelli, l'autrice allarga la questione mostrando esiti e limiti della reazione della Santa sede di fronte alla Shoah.
«Da anni aspettavamo che la più grande autorità spirituale di questo tempo volesse condannare in termini chiari le azioni delle dittature. Dico in termini chiari. Perché questa condanna può emergere da certe encicliche, a condizione d'interpretarle. Ma vi è formulata nel linguaggio della tradizione, che non è mai stato chiaro per la gran folla degli uomini», scrive Albert Camus in un articolo alla fine del 1944. E conclude: «Il nostro mondo non ha bisogno di anime tiepide. Ha bisogno di cuori ardenti».
È noto che l'interrogativo sul «silenzio» del papa di fronte all'aggressione italiana all'Albania, scandaloso per «migliaia di cuori», viene posto già poche settimane dopo la sua elezione (2 marzo 1939) da un altro intellettuale francese, il cattolico Emmanuel Mounier.
Lo stesso rimprovero arriva a Pacelli da esponenti polacchi in esilio dopo l'invasione tedesca del loro paese.
Il 10 ottobre 1941 è lo stesso Pio XII a domandare ad Angelo Roncalli, in quel momento suo rappresentante a Istanbul e poi suo successore con il nome di Giovanni XXIII, se «il suo silenzio a proposito delle azioni del nazismo non sia mal giudicato».
I silenzi del papa – criticato per la vicinanza al regime di Vichy poco prima di Camus anche da François Mauriac, ancora un cattolico – non significano però complicità con il nazismo, come invece fin dal 1944 martella la propaganda sovietica a causa dell'anticomunismo di Pacelli.
Pio XII appoggia il tentativo, presto fallito, di circoli militari tedeschi in contatto con i britannici per rovesciare il regime hitleriano, rifiuta di benedire l'aggressione nazista all'Unione sovietica e si adopera per attenuare l'opposizione di molti cattolici statunitensi all'alleanza con la Russia di Stalin.
E moltissimi sono gli ebrei salvati da molti cattolici in diversi paesi europei mentre in Vaticano si fatica a comprendere e a reagire.
La cornice ideologica
Valbousquet colloca i silenzi di Pio XII e l'atteggiamento vaticano nel quadro di due questioni generali. La prima, di lunghissimo periodo, è quella del tradizionale e persistente antigiudaismo cristiano; la seconda, molto più recente, riguarda la neutralità della Santa sede, che caratterizza la sua politica soprattutto durante la Prima guerra mondiale, vissuta dallo stesso Pacelli come responsabile degli «affari ecclesiastici straordinari».
Pesa il condizionamento dell'insegnamento antigiudaico, mostrato e denunciato nel 1948 da Jules Isaac in Jésus et Israël . Il libro – dedicato alla moglie e alla figlia «martiri, uccise dai tedeschi, uccise semplicemente perché si chiamavano Isaac» – diverrà una pietra miliare nel riavvicinamento successivo tra ebrei e cristiani, ora in parte arretrato. «Si vede che in diciannove secoli la "razza" è peggiorata» scrive per esempio senza ritegno nel 1940 in un rapporto interno alla segreteria di Stato un suo funzionario minore.
L'antigiudaismo cristiano è molto diverso dall'antisemitismo nazista genocida. Emblematica in questo senso è nel 1928 la condanna romana dell'associazione cattolica filosemita degli Amici d'Israele, accompagnata però dalla contestuale condanna dell'antisemitismo. Ma di frequente i confini tra questa ostilità antigiudaica e la militanza antisemita nell'Europa moderna non sono netti, e anzi talora si confondono, perché «sono soprattutto la stampa cattolica e alcuni partiti politici che rivendicano di essere cristiani a servire da canali a questa forma mista di antigiudaismo cristiano e di antisemitismo», osserva Valbousquet.
Benedetto XV e Pio XI
Un'anticipazione dell'atteggiamento della Santa sede nei confronti degli ebrei perseguitati si ha durante la Prima guerra mondiale e poi nel contesto della guerra civile russa. A chiedere a Benedetto XV di intervenire sono nel 1916 un comitato ebraico americano e nel 1919 un gruppo di rabbini ortodossi di Gerusalemme. In entrambi i casi le richieste vengono accolte, ma in termini generici: con appelli alla fraternità umana, al rispetto dei civili nei conflitti e del diritto naturale.
Generica è anche la risposta alla denuncia del regime hitleriano, idolatrico «della razza e del potere statale», che Edith Stein indirizza il 12 aprile 1933 a Pio XI. L'intellettuale ebrea – che si fa carmelitana, viene assassinata nel 1942 ad Auschwitz, e che Giovanni Paolo II proclamerà santa e dichiarerà compatrona d'Europa – si rivolge al papa, che in quei mesi sta trattando per arrivare a un concordato con il Reich, ma che poi nel 1937 condanna il nazismo con l'enciclica Mit brennender Sorge («Con ardente preoccupazione»). Come figlia del popolo ebreo e della chiesa cattolica, Stein chiede a Pio XI di non rimanere in silenzio, perché la responsabilità «ricade anche su quelli che tacciono».
A suggerire una condanna del razzismo totalitario sono persino nel 1934 il prelato austriaco filonazista Alois Hudal – che vagheggia di cristianizzare il nazionalsocialismo ed è protagonista di un bellissimo romanzo di Dario Fertilio (L'anima del Führer, Marsilio) – e poi nel 1938, in un contesto costituito dal più classico antigiudaismo, il domenicano Mariano Cordovani: «Il silenzio non serve la verità», aggiunge nel 1939, dopo le leggi razziali italiane, il teologo papale.
Ancora: è il generale dei gesuiti Włodzimierz Ledóchowski, pur imbevuto di antisemitismo, il primo a informare la Santa sede delle feroci persecuzioni contro gli ebrei in una lettera del 4 gennaio 1940. Poi dal luglio del 1941 si moltiplicano le informazioni – da parte di Giovanni Malvezzi e poi di don Pirro Scavizzi – sulla Shoah in atto e dilagante dall'inizio del 1942.
I "cattolici non ariani"
Grazie a centinaia di documenti Valbousquet ricostruisce il clima e gli echi in Vaticano della tragedia bellica e di «olocausti sistematici» – come scrive Isaac Herzog, rabbino capo di Gerusalemme – che annientano i perseguitati, mentre le frontiere europee e americane si chiudono una dopo l'altra. Per alcuni studiosi ebrei si muove con successo un cardinale coltissimo, il bibliotecario vaticano Giovanni Mercati. Ma il più delle volte la Santa sede si adopera per i «cattolici non ariani», cioè gli ebrei battezzati, riuscendo a sottrarli allo sterminio, come avviene dopo l'infame razzia del 16 ottobre 1943 a Roma .
Sull'aiuto prestato dal Vaticano, che può contare su una vasta ramificazione di rappresentanze diplomatiche, gravano però tanto la preoccupazione della neutralità nel conflitto e della strumentalizzazione politica quanto la mentalità antigiudaica che sconfina in un aperto antisemitismo. Come nel caso di non pochi giudizi agghiaccianti e suggerimenti del funzionario della segreteria di Stato che più segue la questione ebraica, il milanese Angelo Dell'Acqua, giunto negli ultimi anni di Pio XII al vertice vaticano: sostituto della segreteria di Stato (poi anche con Giovanni XXIII e Paolo VI), infine cardinale e vicario di Roma.
Nel Dopoguerra si aprono altri fronti, dalla ricerca e restituzione dei bambini ebrei salvati da famiglie o istituzioni cattoliche e talvolta battezzati all'aiuto di nazisti in fuga prestato da organizzazioni cattoliche, fino alle inchieste di un Sant'Uffizio ostile all'ebraismo. In un contesto che precede la proclamazione nel 1948 dello stato d'Israele, riconosciuto dalla Santa sede solo nel 1993. Ma a lungo resta la tiepidezza nei confronti della Shoah, durante la quale l'indubbia opera di soccorso da parte di molti cattolici ha coesistito in Vaticano con pregiudizi ancora non del tutto appartenenti al passato.
Giovanni Maria Vian
Domani.it, 26/1/25
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