Leoluca Orlando: «La spartizione dei fondi pubblici certamente non è mafia. Ma crea un contesto in cui la mafia può fare affari. Non è un caso che Mattarella, con la legge 1 del 1979, avesse provato a limitare in modo drastico la discrezionalità di deputati e assessori sulle risorse da destinare ai Comuni».
Piersanti Mattarella
di Accursio Sabella
«L’esito dei processi a volte può dipendere anche dall’abilità di un avvocato o dalla mancata notifica di un ufficiale giudiziario. Ma il nostro dovere, oggi, è quello di tenere alta la guardia, nell’attesa che la verità giudiziaria sull’omicidio di Piersanti Mattarella si avvicini il più possibile alla verità storica».
L’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, oggi europarlamentare, è stato anche consigliere giuridico del presidente della Regione ucciso dalla mafia il 6 gennaio di 45 anni fa.
Le indagini sembrano a una svolta, nell’individuazione dei killer. Da cosa bisogna partire, invece, per giungere a questa verità storica di cui parla?
«Dal fatto che la mafia non è un crimine, ma è un sistema criminale che coinvolge il potere politico, economico, culturale. Piersanti fu vittima di un sistema di potere con collusioni internazionali che evidentemente venivano disturbate dalla sua azione di moralizzazione».
Ci può descrivere la caratura politica di Piersanti Mattarella?
«Piersanti era un leader politico dalle carte in regola, in una Sicilia caratterizzata da comportamenti clientelari e mafiosi. E soprattutto, interpretava il suo ruolo di presidente con una visione sul futuro della Sicilia».
Qual era la Sicilia a cui aspirava Mattarella?
«Una Sicilia normale, nella quale Palermo non fosse off-limits, come desideravano pezzi della Democrazia cristiana che facevano capo a Giulio Andreotti, Salvo Lima e Vito Ciancimino che non volevano essere disturbati nell’esercizio del loro potere».
Quanto era difficile, in quegli anni, per un uomo politico, schierarsi apertamente contro mafia e illegalità?
«Chi denunciava la mafia veniva considerato ateo dai preti e comunista dai ministri. Gli omicidi di Piersanti Mattarella e dopo, tra gli altri, di don Pino Puglisi o di Giovanni Falcone non permisero più di etichettare come ateo o comunista chi combatteva contro la mafia».
Oggi invece la mafia non spara. E forse si registra anche un calo della guardia sul fenomeno. Stiamo correndo un rischio?
«Si sta abbassando la guardia proprio perché la mafia non spara. La mafia, d’altra parte, ha commesso un errore: ha ucciso troppo. Troppi uomini delle istituzioni. E così ha svegliato un moto di ribellione, l’indignazione popolare, i lenzuoli, la reazione della Chiesa. Molte cose sono cambiate. Basti pensare che Matteo Messina Denaro ha chiesto espressamente funerali non religiosi. Una cosa impensabile negli anni Ottanta».
Come sta invece l’antimafia?
«L’antimafia deve tornare a rappresentare un’alternativa,ripartendo dalle scuole, dalla gente, dalla società civile. Negli ultimi anni, purtroppo, sono stati troppi gli antimafiosi di facciata».
Mattarella, oltre a opporsi alla criminalità mafiosa, cercò di cambiare la Regione sul piano delle regole, della trasparenza, dell’etica. Cosa resta di quell’impegno?
«Mattarella varò misure che intervenivano proprio per modificare un contesto. Gli era chiaro che si dovesse andare oltre l’azione giudiziaria che, per sua natura, guarda al passato. Alla politica e alla società civile invece spetta il compito di guardare all’alternativa, quindi al futuro».
Tra le denunce più famose di Matterella, nei confronti dell’operato dell’Ars, c’era quella sull’esasperata attenzione del deputato al collegio elettorale piuttosto che alla Sicilia nel suo insieme. Trova nei contributi a pioggia dell’ultima Finanziaria regionale la stessa degenerazione?
«La spartizione dei fondi pubblici certamente non è mafia. Ma crea un contesto in cui la mafia può fare affari. Non è un caso che Mattarella, con la legge 1 del 1979, avesse provato a limitare in modo drastico la discrezionalità di deputati e assessori sulle risorse da destinare ai Comuni.
Ma la cosa più grave è che i contributi oggi rispecchino una logica di lottizzazione, con tanto di quota per ogni deputato. Questo è inaccettabile».
Ci racconti un fatto che possa spiegare ai più giovani la portata della perdita di Mattarella.
«Mattarella convinse i tedeschi a investire nell’Isola. Nel settembre del 1979 incontrammo il sindaco di Stoccarda Manfred Rommel. Mattarella disse che non avrebbe garantito denaro, ma trasparenza. Il 7 gennaio 1980 mi chiamò Rommel: “Mi spiace, non se ne fa più niente”».
La Repubblica Palermo, 7 gennaio 2025
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