Benito Mussolini |
Nelle foto che, in questi giorni, accompagnano le rievocazioni del discorso di Mussolini che inaugurò la dittatura fascista, mi colpisce ciò che mi ha sempre colpito più di ogni altra cosa, a proposito del fascismo e del suo fondatore: la postura imperiosa, i pugni sui fianchi, il mascellone proteso, la faccia atteggiata a maschera volitiva, quello che oggi si chiama “linguaggio del corpo”.
Una figura grottesca, un disegno di Grosz, una caricatura della virilità e della forza: mi sono sempre chiesto come sia stato possibile che un personaggio siffatto – fisicamente: un caratterista – abbia sedotto un numero così grande di italiani, diventando artefice, a furor di popolo, di una delle più grandi tragedie del Novecento.
È una domanda, ancora oggi, senza risposta.
Forse una sconsolante mancanza di senso dell’umorismo (facoltà delle élites?). Forse un malinteso culto del Maschio e del Padre, come se essere maschio e padre corrispondesse, nell’immaginario di un popolo poco istruito, a quel pavoneggiarsi tronfio e bellicoso, evidentemente percepito come credibile agli occhi delle masse?
Resta comunque sbalorditivo, tre o quattro generazioni dopo, considerare la venerazione per quel tizio così palesemente caricaturale, eppure vissuto come un mito. Ed è ancora più sbalorditivo constatare come quel mito ancora attragga italiani che pure hanno avuto modo di leggere, vedere, frequentare le forme moderne dell’immagine e le forme moderne del potere: come fanno a non trovare ridicolo quell’omone con il petto in fuori? È una domanda che, fino a pochi anni fa, potevamo farci senza troppa urgenza. Dopotutto riguardava il passato.
Oggi sappiamo che riguarda anche il presente.
La Repubblica, 5 gennaio 2025
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