martedì, gennaio 14, 2025

L’ALLARME. La protesta dei sindaci di provincia: “Basta tagli negli ospedali”


MIRIAM DI PERI

Via ai tavoli tecnici in assessorato per ridisegnare la mappa di reparti e posti letto. Il nodo delle strutture di periferia. L’appello degli amministratori di Corleone, Partinico e delle Madonie. La Cgil: “Assistenza territoriale latitante” 

Mentre non si placa la bufera che ha travolto la sanità siciliana, i sindaci guardano con apprensione ai lavori in vista della nuova rete ospedaliera. La commissione Sanità all’Ars ha concluso il ciclo delle audizioni delle Asp e l’assessorato alla Salute ha istituito una serie di tavoli tecnici sui singoli temi, dalla chirurgia alle aree di emergenza, ma la quadra sulla nuova rete è ancora lontana. 


«Sono state avanzate diverse proposte e sentiti sia i direttori generali che i privati — sussurrano da piazza Ottavio Ziino — ma non c’è ancora una sintesi complessiva». 
Anche perché i dubbi, soprattutto sulle strutture periferiche e le aree interne, sono tutt’altro che sciolti: non è un caso che le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina si stiano preparando a convocare le assemblee dei sindaci alla presenza dei rispettivi manager delle Asp per trovare una quadra. 
Nelle tre aree metropolitane i primi cittadini torneranno a riunirsi a breve. Sebbene una bozza ufficiale della rete ospedaliera non ci sia ancora, i centri che ospitano gli ospedali periferici, da Milazzo a Patti, da Biancavilla a Paternò, sono in allarme perché temono accorpamenti e chiusure di reparti. 
Il passaggio dalle assemblee dei sindaci si è reso necessario dopo il quadro emerso in commissione Sanità, dove le richieste di personale e posti letto sono state avanzate pressoché da tutte le Asp. «Stiamo cercando di capire come sopperire — osserva il presidente dell’organismo parlamentare Pippo Laccoto — abbiamo previsto alcune misure in Finanziaria per le sedi disagiate». Proprio contro quel provvedimento insorge adesso il primo cittadino di Corleone, Walter Rà: «Che senso ha avuto sbandierare l’emendamento che stanziava dieci milioni di euro per i medici che prestano servizio nelle strutture periferiche, se poi il sentore è che si vogliano trasformare questi ospedali in strutture per le lungodegenze e le riabilitazioni? Le nostre donne partoriscono a Palermo, nonostante si siasalvato il punto nascita, perché mancano i pediatri». 
Da Partinico sta partendo una lettera aperta indirizzata all’assessorato alla Salute. L’appello è a rispettare gli impegni presi e potenziare la struttura, come era stato promesso in epoca Covid. «Ma le risorse dell’Asp — osserva il sindaco Pietro Rao — non sono sufficienti per gli interventi». L’obiettivo è potenziare la cardiologia, ancora senza emodinamica, ma anche la pediatria. Il primo cittadino di Partinico chiederà ai sindaci del comprensorio di sottoscrivere l’appello. Già in settimana la richiesta di incontro potrebbe raggiungere piazza Ottavio Ziino. 
È allarme anche a Petralia Sottana, sulle Madonie, dove il ricorso ai medici pagati a gettoni attraverso le agenzie interinali è sempre più diffuso data la carenza di camici bianchi. «La pianta organica era già stata ridimensionata dalla precedente rete — racconta il sindaco Piero Polito — i medici lavorano in grande sofferenza e in un clima che non è affatto sereno. Si sopperisce alle carenze con soluzioni tampone come il ricorso ai gettonisti. Ma non può andare avanti, il malcontento tra i medici, che lavorano tanto e guadagnano meno di chi viene chiamato di volta in volta per i turni, è diventato significativo». Il punto è proprio la sanità territoriale che arranca, sia sul fronte degli ospedali periferici, che su quello dei Pta, i presidi territoriali di assistenza, istituiti nella legislatura guidata da Raffaele Lombardo e secondo il responsabile Sanità della Cgil Renato Costa, mai decollati davvero. 
«Siamo sicuri — denuncia il sindacalista — che i problemi della sanità nascano e si esauriscano tutti nei grandi ospedali? La riforma del 2009 ha previsto un ruolo per la sanità territoriale che è rimasto lettera morta. Era stato previsto che i Pta prendessero in carico i pazienti, gli prescrivessero degli esami, li riconvocassero per comunicare gli esiti, facessero una diagnosi e prescrivessero una terapia. Oppure, al contrario, ricorressero ad esami di secondo livello. Insomma, soltanto nel caso in cui il medico del Pta si fosse reso conto che il paziente non poteva essere gestito nel territorio, sarebbe dovuto intervenire l’ospedale. Non mi pare che questa strada sia mai stata intrapresa». In questo quadro, denuncia ancora il sindacalista, i Pta sono rimasti «strutture che erogano ricette ed evadono le richieste di presidi sanitari». 
— m.d.p. 

La Repubblica Palermo, 14/1/2025

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