giovedì, gennaio 30, 2025

La memoria tra passato e presente (27 Gennaio 1945 – 27 Gennaio 2025)


PINO DICEVI

“Qualunque sostegno ai diritti d’Israele -Esistenza e sicurezza- non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi.” Anna Foa

Il 27 Gennaio del 1945 l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz e vide uno spettacolo terrificante.

Dopo gli ottant’anni che ci separano da quella data il 21 gennaio del 2025 sul Fatto quotidiano esce un articolo firmato da Gad Lerner: Shoah e Memoria, la lezione di Primo Levi, dove il giornalista scrive:

Equiparare l’orrore. Sembra che gli ebrei abbiano esaurito il credito che fu loro concesso a suo tempo in quanto popolo vittima dell’Olocausto. Anche per questo la ricorrenza del 1945 resta una celebrazione necessaria.

Piaccia o non piaccia, come e più dell’anno scorso, il Giorno della Memoria esercita una funzione scomoda. Nel reclamare la dovuta attenzione sui milioni di ebrei sterminati in Europa fra il 1941 e il 1945, sospinge l’opinione pubblica ad un confronto con la malasorte dei milioni di palestinesi che ‘l’ebreo nuovo’, scampato all’estinzione, si è ritrovato per vicini di casa, dentro e fuori i confini dello Stato d’Israele sorto nel 1948.

(…) Siamo sinceri.

Fatichiamo a distinguere nella nostra sensibilità queste due tragedie in apparenza così lontane, benché la loro incommensurabilità numerica dovrebbe risultare evidente: milioni di innocenti persero la vita nell’industria dello sterminio pianificato nei lager; decine di migliaia sono le persone uccise a Gaza dai soldati israeliani in una sorta di punizione collettiva ininterrotta di 15 mesi. (…)

Se questo è il clima, ben si capisce perché il Giorno della memoria (istituito in Italia su proposta del nostro caro Furio Colombo) accumuli un gran numero di detrattori: da chi lo liquida come inutile esercizio di retorica, ignorando l’ottimo lavoro preparatorio che tante scuole gli dedicano; a quelli che non ne possono più di ‘rendere omaggio’ agli ebrei per riceverne in cambio nuove accuse; a non pochi esponenti delle stesse Comunità ebraiche che ormai lo vivono come un boomerang, pretenderebbero che la celebrazione venisse depurata da qualsivoglia riferimento all’attualità di Gaza e Cisgiordania o meglio ancora che venisse polemicamente abolita.

Dopo avere riletto i due testi fondamentali del principale testimone della Shoah in Italia (e non solo), cioè “Se questo è un uomo” e “I sommersi e i salvati'” di Primo Levi, mi sono accorto del contrario.

Non solo il Giorno della Memoria va celebrato, ma deve servire proprio ad affrontare le domande più scomode che per tutta la sua vita Primo Levi ripropose martellanti nei suoi testi circa la ripetibilità e la comparabilità dell’orrore di cui era stato testimone ad Auschwitz.

 

Cinque giorni dopo lo stesso Gad Lerner (famiglia ebraica), durante la trasmissione Rebus, diretta da Giorgi Zanchini, pose la seguente domanda:

Dobbiamo sentirci offesi del fatto che quella tragedia venga richiamata come monito di fronte ai massacri e alle carneficine di oggi? Questo è il tema molto scomodo del 27 gennaio 2025.

E, continuando disse che c’era tanto bisogno di lasciare una traccia:

perché l’incubo dentro ai Campi di Sterminio era: non ci crederanno e i pochi che sopravviveranno non verranno creduti. Ma la gente normale sapeva o non sapeva?

C’è una frase che mi colpisce molto di Primo Levi, in appendice a “Se questo è un uomo”, l’ha scritta negli anni settanta:

“La maggior parte dei tedeschi non sapevano, perché non volevano sapere anzi perché volevano non sapere.”

Ora oggi è molto più difficile di allora non sapere perché dei massacri le stesse vittime sono in grado, magari con un telefonino, di lasciarci una traccia… ma siamo tantissimi a voler non sapere, e questo è un problema.

 

A tal proposito, di seguito trascriviamo parte dell’introduzione, “Perché… io non sapevo”,   ad un progetto, curato anche da chi scrive, sulla spettacolarizzazione della violenza svolto presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Palermo nel lontano anno scolastico 1992-1993, ma che pure ci pare quanto mai attuale:

“Se tutto quello che uno sa dell’aggressione è ciò che vede in TV o legge sui giornali, le sue conoscenze sono biologia ottocentesca”.

Ciò lo sostiene Kurt Goldstein, neuropsichiatra e psicologo tedesco, che nel 1933 fu costretto a lasciare la Germania per motivi razziali e politici. Egli si pose in netta contrapposizione con tanta diffusa teoria freudiana della violenza innata nella natura umana. (…)

L’affermazione che ogni sorta di violenza ha una forza preconcetta appartiene ad una classe che razionalizza il triste concetto di una guerra purificatrice, inevitabile per la risoluzione dei mali e dei contrasti che affliggono l’intera umanità.

Intorno al 1987 venti scienziati di 12 Paesi si sono riuniti a Siviglia e hanno concordato un manifesto dove si sostiene che “è scientificamente sbagliato dire che la guerra o qualunque altro comportamento violento sono geneticamente programmati nella natura umana”.

Tale Manifesto è stato affisso sulla porta del tempio della stessa città come monito indirizzato principalmente a tutte quelle persone che… Non sapevano.

Io non sapevo… dissero i massimi dirigenti della Germania nazista durante il Processo di Norimberga (dal 20 novembre del 1945 al 1° ottobre del 1946); proprio a Norimberga dove nel settembre 1935, erano state emanate tutte quelle leggi razziali che privavano gli ebrei del diritto di cittadinanza tedesca, del diritto d’asilo, della possibilità di accedere a qualsiasi carica pubblica; proibirono ancora agli ebrei di contrarre matrimonio e di avere rapporti sessuali con gli ariani. A queste proibizioni si aggiunsero altri 13 decreti che posero gli ebrei completamente fuori legge.

Io non sapevo… lo dissero anche tutti quei medici che avevano compiuto esperimenti di vario genere sugli innocui esseri umani internati nei vari lager dell’Europa orientale.

Io non sapevo… lo dissero anche i giuristi e i magistrati, rei di avere collaborato attivamente alla compilazione e alla esecuzione di leggi razziste.

Io non sapevo… lo dissero i generali del Commando Superiore dell’esercito e tutti gli alti funzionari del Ministero degli Esteri e del Ministero delle Finanze.

Io non sapevo… lo disse la pletora degli economisti e dei direttori delle industrie belliche ed infine, tutti quei proprietari e quei direttori del Complesso Industriale Flick e della I.G. Farben. (…)

Nel settembre del 1944 sull’Appennino modenese, venne ucciso dai nazisti Franco Cesana, il più giovane partigiano d’Italia.

A 50 anni di distanza, durante la commemorazione del suo cinquantenario, è stata ricordata una lettera di un altro giovane studente fucilato nelle stesso periodo e nella stessa zona:

“No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere.

Pensate che tutto è successo perché non avete più voluto sapere.”

[Da Io non sapevo… la spettacolarizzazione della violenza. Ideazione del Prof. Pino Dicevi. Progetto pubblicato nel 1995 con il contributo della Legge Regionale antimafia del 4 Giugno 1980.]

Preessenza.com, 27/1/25

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