Giovanna Calvenzi
Oliviero Toscani è stato un grandissimo fotografo, ma magari, a volte, le sue intemperanze verbali ce l'hanno fatto dimenticare
Oliviero Toscani era arrogante, aggressivo, irruente, antipatico. È morto a 82 anni a Cecina, dopo che si erano aggravate le sue condizioni di salute per l'amiloidosi di cui soffriva. Toscani era generoso, sincero, simpatico, irruente, accogliente. È stato un amico. Di tanti. Per festeggiare i suoi ottant'anni gli amici hanno organizzato una gita in pullman per le strade di Milano e a ogni tappa, a ogni fermata, gigantografie delle sue immagini. Non ne sapeva niente, non se lo aspettava, non sapeva cosa dire. Se non sei un vero amico, difficile che tanti si muovano, da tante città italiane ma anche europee, per venirti a festeggiare.
Oliviero Toscani è stato un grandissimo fotografo , ma magari a volte le sue intemperanze verbali ce l'hanno fatto dimenticare. Ha inventato una fotografia di moda diretta, luminosa, che non ha bisogno di top model e che preferisce la gente.
Ha inventato un modo quasi catalogico di affrontare le persone, di ritrarle, vive, vibranti, davanti ai suoi raffinati fondi bianchi. Ha inventato un modo di fare pubblicità che sa ricorrere all'ironia ma anche alla denuncia e alla provocazione. Ha collaborato con periodici di tutto il mondo, e tutti quelli che hanno lavorato con lui gli sono amici. Ha tanti detrattori, alcuni correttamente risentiti per le sue esternazioni, altri magari invidiosi, altri magari soltanto irritati per certe sue manifestazioni tracotanti. Ma gli amici veri sono più numerosi.
La fotografia come mezzo
Oliviero Toscani è nato a Milano nel 1942, in una famiglia milanese, da un padre fotografo, Fedele, creatore di una delle prime agenzie fotogiornalistiche italiane, collaboratore del Corriere della Sera. Ha studiato fotografia in Svizzera, alla Kustgewerbeschule di Zurigo.
Non ha mai avuto esitazioni: la fotografia è il suo mestiere. E già a 14 anni, accompagnando suo padre, aveva scattato una foto poi pubblicata sul Corriere. Dopo la scuola inizia a lavorare per la pubblicità ma da subito non è solo un raffinato esecutore, ma un interprete del momento, dei tempi, dei costumi. Ha idee, sa imporle, sa realizzarle e trasformarle in uno straordinario strumento di comunicazione. Chi non ricorda la pubblicità dei jeans Jesus, indossati all'inizio degli anni Settanta da Donna Jordan, con lo slogan "Chi mi ama mi segua"?
Quindi la moda, molto velocemente, per i maggiori periodici femminili europei. La sua fotografia è impeccabile: racconta gli abiti e rispetta chi li indossa, invoglia all'acquisto ma diverte. Piace agli editori, ai produttori, alle lettrici.
All'inizio degli anni Ottanta inizia la collaborazione con Benetton. Le sue campagne pubblicitarie affrontano temi come l'uguaglianza razziale, le migrazioni, la mafia, l'Aids, la religione, l'omofobia, la pena di morte, promuovono certamente il marchio ma lanciano anche messaggi di inclusione, che diventano una sorta di sistema di sensibilizzazione per mettere in primo piano i problemi della società.
Dal rapporto con l'azienda veneta nascono la rivista Colors e, nel 1994, Fabrica, un centro internazionale per le arti nel quale Oliviero Toscani mescola didattica, progettazione, uso consueto e alternativo della fotografia. L'elenco delle attività e delle realizzazioni di Oliviero Toscani a questo punto diventa sterminato.
Con la consueta arroganza in un'intervista della fine degli anni Ottanta per il settimanale Amica, quando era già un notissimo fotografo a livello internazionale, aveva dichiarato: «Io non ho mai avuto il problema di fare il fotografo. L'ho fatto e basta, senza paura di sbagliare. Non è la fotografia che mi fa fare le cose, la fotografia è solo un mezzo».
Un mezzo tuttavia che gli consente di fare, di vedere, di apprezzare o di combattere tutto quello che gli interessa. Nel 2003 pubblica Sant'Anna di Stazzema 12 agosto 1944. I bambini ricordano , un libro dedicato ai bimbi che erano sopravvissuti all'eccidio nazista; poi un progetto per la Croce verde tedesca e l'International Osteoporosis Foundation dedicato appunto a questa malattia; realizza cataloghi con i ragazzi di Corleone, con i bambini con sindrome di Down di un asilo austriaco.
L'arte di guardare
Da Casale Marittimo, dove nel frattempo si è trasferito con la moglie Kirsti e i tre figli e dove alleva cavalli, parte per Parigi, per New York, per il mondo intero, per fotografare, per occuparsi di giornali, per parlare in trasmissioni radiofoniche, per occuparsi di politica, per litigare, se serve, per opporsi, se è necessario, per vivere sempre e comunque con grande intensità. Sempre con uno sguardo attento anche allo stato delle cose, delle cose da denunciare, delle cose da cambiare, delle cose sulle quali fosse ancora possibile sorridere e scherzare.
Nel 1998, a Livorno, aveva iniziato una sorta di straordinario, complesso progetto di catalogazione degli esseri umani, trasformatosi poi dal 2007 in "Razza umana" un non finito-infinito progetto dedicato agli uomini e alle donne di tutto il mondo presentato nella mostra "Oliviero Toscani: fotografia e provocazione" al Museum für Gestaltung di Zurigo che si è conclusa il 5 gennaio di quest'anno, la sua ultima mostra, che ha voluto lui stesso visitare qualche mese fa nonostante la debolezza.
Nel 2022, con Tommaso Basilio e Raffo Ferraro, ha pubblicato la sua autobiografia dal titolo Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista , in cui scrive: «Io non ho nessuna idea ma non ho paura di guardare. Tutto il mio lavoro è stato questo, tutta la mia vita. Finché, guardando il cielo, non noterò due nuvole identiche, io continuerò a osservare, fiducioso che qualcosa mi cadrà in testa e mi colpirà».
Nell'intervista del 1989 per Amica aveva concluso dicendo: «Nella mia vita non ho perso tempo, eppure non mi basta mai. Più la brace diventa piccola e più hai cose da cucinarci sopra. Troppo poco tempo. Pensa che stitico è ‘sto Creatore. Se fossi stato lui, sarei stato più generoso».
Giovanna Calvenzi
photo editor e curatrice
Domani.it, 14 gennaio 2025
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