venerdì, gennaio 10, 2025

A Piana uno scrigno delle tradizioni arbereshe


Il restauro ha reso il museo della cultura di Piana degli Albanesi pienamente accessibile. All'interno delle sale spazio a storia, abiti e gioielli: una sezione dedicata alla strage di Portella della Ginestra 

Marcella Croce

Quattro mesi fa ha riaperto le sue porte dopo importanti interventi di restauro e manutenzione, il Musarb, il museo della cultura arbëreshë Nicola Barbato. a Piana degli Albanesi. Un museo totalmente rinnovato e accessibile anche alle persone con disabilità fisiche: è stata aumentata la superficie espositiva con nuovi impianti e servizi tra i quali un ascensore, il doppio ingresso, di cui uno per disabili, il doppio guardaroba, una sala conferenze, un piccolo bookshop, touch screen per gli approfondimenti.

Da sempre attivo nel mantenere vive le tradizioni, il museo è un ottimo compendio delle testimonianze storiche, culturali e artistiche della comunità albanese e delle caratteristiche fisiche e naturali del suo territorio. Alla seconda metà del XV secolo risale l’immigrazione causata dall’invasione dei turchi ottomani nei Balcani, e dalla morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, quando molte genti provenienti dall’Albania si rifugiarono nell’Italia meridionale e alcuni da lì nel XX secolo emigrarono in Usa. In Sicilia sono cinque i paesi italo albanesi, chiamati arbëreshë, dove essi si aggiunsero a comunità preesistenti o che furono fondati ex-novo, tutti nella provincia di Palermo.

Il canto nostalgico O e bukurà Morè, (ehi tu bella Albania!), come mi ha riferito l’amico Alberto Laca di Tirana, così continua: Kur te lashe e me s’te pashe (quando ti ho lasciato e non ti ho visto più!). Viene intonato guardando verso oriente dagli arbëreshë di Palazzo Adriano quando si recano ogni estate sulla Montagna delle Rose ed è tuttora nel repertorio del coro di Piana degli Albanesi che, tra i centri arbëreshë di Sicilia è quello che più ha conservato l’identità e la lingua albanese, probabilmente a causa del suo isolamento geografico, in una zona che, anche se vicina in linea d’aria alla capitale Palermo, era impervia e circondata da catene montuose, ed era rimasta fino a quel momento disabitata.

Piana ha da sempre costituito un’isola nell’isola anche in campo politico: ebbe un ruolo attivo nei moti risorgimentali, nel movimento politico sindacale dei Fasci Siciliani e nel movimento per l’occupazione delle terre incolte negli anni ‘50. Non a caso lì ebbe luogo la prima strage di carattere politico-mafioso del dopoguerra il 1° maggio 1947, quando la banda Giuliano uccise 11 contadini tra coloro che si erano riuniti a Portella delle Ginestre per festeggiare la Festa dei Lavoratori e la recente vittoria della sinistra nelle prime elezioni regionali in Sicilia.

Cinque sono le sezioni principali del museo, più una speciale dedicata a Portella della Ginestra: abito tradizionale, icone, cultura materiale, erbario e fossili. Nella sezione dell’abito tradizionale, si possono ammirare i costumi dell’epoca, realizzati in tessuti preziosi e ricami, utilizzati per le cerimonie religiose e per le ricorrenze legate alla storia e alla tradizione arbëreshë e arricchiti da gioielli. Esiste una ricca documentazione iconografica dei costumi di Piana e di Palazzo Adriano nelle stampe di Vuillier e di Houel, e accurate descrizioni sono contenute negli atti dotali del 16° secolo. La gonna (‘ncilona o xhellona) è ricamata in oro, le più preziose sono decorate da fasce (kurore) lavorate al tombolo con filo d’oro e ispirate ai paramenti sacri. I ricami sono ancora oggi riprodotti nel laboratorio artigianale di Zefa Schirò. Un complesso simbolismo è legato ai fiocchi delle maniche che possono raggiungere il numero di 12. Completano il costume il copricapo femminile (keza) e la preziosissima cintura (brezi) in argento con San Giorgio e il drago, che intende propiziare la fecondità dato che brezi in albanese vuol dire “stirpe”, “generazione”, ma anche “discendenza”, “progenie”.

Di particolare bellezza sono i gioielli indossati in queste occasioni. A Piana degli Albanesi opera una famiglia di orafi in grado di riprodurre i modelli degli splendidi antichi gioielli siciliani, nei quali il capostipite Sergio Lucito, oggi coadiuvato dai suoi quattro figli, con grande gusto e lungimiranza, aveva fin da giovane identificato i propri interessi. Erede per parte materna di una famiglia di orefici e orologiai palermitani, Lucito aveva già pronte le valige per raggiungere alcuni parenti in America, quando nel 1963 l’assassinio di Kennedy bloccò temporaneamente l’emigrazione negli Usa. Nel 1965 decise di trasferirsi a Piana, dove la comunità albanese, a causa dell’isolamento geografico e culturale che l’ha sempre contraddistinta, era rimasta attaccata alla tradizione dei gioielli antichi. Dal periodo liberty in poi, nel campo dei gioielli i gusti dei siciliani erano cambiati; al contrario le donne di Piana degli Albanesi continuavano a indossare gioielli tradizionali con i loro famosi costumi che un tempo costumi non erano, ma semplicemente vestiti adatti alle varie occasioni della vita, la cui foggia aveva avuto origine nella moda italiana del ‘500 e ‘600, che a sua volta aveva subito influssi orientali. C’erano il vestito delle nozze e quello della Pasqua, ma anche il vestito giornaliero, quello di festa, di mezza festa, di gran gala, del Venerdì Santo, alcuni dei quali sono esposti nel museo. Ne sono in possesso ancora oggi numerose donne locali, che li indossano in occasione delle nozze e delle celebrazioni pasquali.

La sezione della cultura materiale riassume gli elementi della tradizione contadina di Piana, dall’evoluzione della casa tradizionale (con tutti gli aspetti legati alla vita quotidiana), passando per il mondo del lavoro (sia in città che nelle campagne) oltre agli utensili utilizzati per la trasformazione dei prodotti. All’interno del museo è possibile visitare una ricostruzione di un ambiente domestico, raccolto in un’unica stanza, dove la famiglia condivideva gli spazi con gli animali. Il museo ospita anche un erbario dove è esposta la ricchezza e la varietà dell’ambiente naturale di questa zona attraverso una serie di piante disidratate, alcune molto rare. C’è anche un diorama di specie vegetali imbalsamate provenienti da un ambiente ipogeico della Grotta del Garrone. Una sezione del museo è dedicata ai fossili provenienti dal cimitero dei Pinnacoli, dalla Cava Cerniglia e dal monte Kumeta.

Le icone sono un altro importante aspetto della cultura arbëreshë presente nel Museo, che sarà oggetto di un prossimo articolo. Il Musarb è aperto dalle 9 alle 13 dal martedì al venerdì, e anche di pomeriggio il sabato e la domenica, chiuso il lunedì.


GdS, 09/1/25

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