È il direttore dell’Oculistica del Civico, prima a Villa Sofia-Cervello. Ci sono ricette con la sua firma
Laura Spanò
Ancora una volta è la pista della salute di Matteo Messina Denaro, così come fu per la sua cattura, a portare chi indaga a trovare nuovi spunti investigativi per far luce nella fitta rete di protezione che ha favorito la latitanza del super boss. E in questo senso, è da considerarsi un patrimonio investigativo di inestimabile valore la documentazione rinvenuta e sequestrata nell’ultima abitazione del padrino a Campobello di Mazara. Ogni giorno, infatti, permette a chi sta indagando di aggiungere un nuovo tassello per ricostruire il puzzle intricato della vita di questo signore «garbato e gentile»
così venne descritto nell’immediatezza della sua cattura da persone di Campobello di Mazara, che lo conoscevano, ma che a loro dire non lo avevano mai associato al super latitante ricercato dalle polizie di mezzo mondo.E in questa ricerca di nuovi favoreggiatori ecco allungarsi la lista dei medici iscritti nel registro degli indagati. L’ultimo medico coinvolto nelle indagini è Antonino Pioppo, 69 anni, direttore della clinica oculistica del Civico ed ex primario di oculistica all’azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello. È accusato di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena.
A lui gli investigatori sono arrivati dopo il ritrovamento di due ricette che riportavano la sua firma, ricette rinvenute nel covo a Campobello di Mazara. Una era intestata a Bonafede, l’altra portava un altro cognome. Ma i due documenti erano stati rilasciati dallo stesso medico al termine di visite private fatte a distanza di qualche anno, una nel 2016, l’altra nel 2020. Una circostanza sospetta - come mai Pioppo non si è chiesto perché lo stesso paziente usasse due cognomi? Si domandano ora i pm.
Il medico, già sentito nei mesi scorsi come persona informata sui fatti dopo il ritrovamento di una prima ricetta, ha negato qualsiasi complicità, sostenendo di non sapere chi fosse quell’Andrea Bonafede che incontrò quattro anni fa. Nelle scorse settimane, un esame più approfondito dei documenti ritrovati a casa di Messina Denaro, ha fatto scoprire anche una seconda ricetta di Pioppo, che non era però intestata ad Andrea Bonafede, ma ad un’altra persona. E così sono scattati gli ulteriori accertamenti. I magistrati, vogliono andare a fondo e capire se il capomafia, usando uno dei suoi tanti alias, sia stato visitato altre volte e da chi o abbia subito interventi chirurgici. Sarebbe l’ennesimo accesso del capomafia in una struttura sanitaria pubblica durante la latitanza. Due giorni prima della sua cattura, secondo le ultime ricostruzioni degli inquirenti, si sarebbe sottoposto ad una visita oculistica presso la clinica La Maddalena, la stessa dove era in cura per le metastasi al fegato e dove ha subito due interventi per un tumore al colon. Per questo hanno delegato alla polizia di acquisire carte mediche riconducibili a uno dei nomi usati dal latitante nelle strutture sanitarie o nelle banche dati. Lo scopo è fare luce sulla «vasta, trasversale e insidiosissima rete di sostegno, ancora in minima parte svelata», dissero gli inquirenti, che ha protetto il boss. Al momento sono quindici le identità che il padrino trapanese avrebbe utilizzato per far fronte alle sue necessità mediche, fra il tumore al colon e i gravi problemi alla vista.
Ieri mattina, il procuratore aggiunto Paolo Guido e il sostituto Gianluca De Leo hanno incaricato gli investigatori della Sisco, la sezione investigativa del Servizio centrale operativo, di acquisire documentazione sanitaria negli ospedali di Palermo. Matteo Messina Denaro per lo strabismo all’occhio sinistro si è rivolto a diversi medici e strutture sanitarie anche in passato. Nell’87 allora venticinquenne e con la sua vera identità, dato che non era ancora latitante, era stato a curarsi in Spagna, a Barcellona, alla clinica Barraquer. Poi, anni dopo, anche a Messina, come ha svelato il pentito Gaspare Spatuzza.
Nei mesi scorsi, a finire sotto inchiesta fu Francesco Bavetta, gastroenterologo ed endoscopista di Marsala, e il chirurgo dell’ospedale di Mazara del Vallo Giacomo Urso. Entrambi indagati per favoreggiamento. Bavetta è lo specialista che il 5 novembre di quattro anni fa diagnosticò al capomafia il cancro al colon attraverso una colonscopia. Il paziente, che si sarebbe presentato col nome di Andrea Bonafede, era arrivato a lui attraverso Giovanni Luppino, l’imprenditore agricolo arrestato il 16 gennaio assieme al boss. I referti compilati da Bavetta e intestati a Bonafede furono rinvenuti nel covo di Messina Denaro. Il medico, sentito dai magistrati, ha ammesso di avere eseguito l’esame, ma di avere saputo solo dopo la cattura che il paziente era in realtà Matteo Messina Denaro. Urso, è il chirurgo che a soli quattro giorni dalla diagnosi di Bavetta, operò di cancro il capomafia all’ospedale Abele Ajello di Mazara. Anche lui, interrogato, ha negato di essere stato a conoscenza della vera identità del malato. In manette sono già finiti il tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo, Cosimo Leone, e il medico di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello.
Hanno scritto i pm di Palermo: «Il quadro di connivenze in favore di Matteo Messina Denaro fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino a ora non ha mostrato alcuno spirito collaborativo». E la caccia ai medici complici del superlatitante continua. (*LASPA*)
GdS, 19/12/2024
Dalla A alla S, le «nuove» identità di Iddu
Trapani
Matteo Messina Denaro ha sempre avuto il vizio di utilizzare gli alias per spostarsi, in gioventù per diletto e per amore, più recentemente a causa della malattia. Prima e durante la latitanza iniziata nel giugno 1993 non si è fatto mancare nulla a cominciare dai viaggi e anche in questo caso utilizzando documenti con altri nomi e cognomi. Nel giugno del ’94, con carta d’identità intestata a Matteo Cracolici, riesce a prendere un traghetto a Brindisi per andare in Grecia, con la bagherese Maria Mesi. Il giovane Messina Denaro si fa fare poi un nuovo documento d’identità, valido per l’espatrio, intestato a Giuseppe Adragna, attraverso il boss alcamese Nino Melodia. Glielo procura un impiegato dell’anagrafe di Alcamo. Nei primi anni del 2000 va in Venezuela, come confermò una fonte confidenziale ai poliziotti trapanesi, per accordarsi con i colombiani. Nel gennaio 2006 Matteo Messina Denaro, con passaporto falso arrivato dalla criminalità romana, vola in Florida a Miami. Grazie al passaporto fatto dal falsario e tipografo di fiducia, il romano Mimmo Nardo viaggiava in business class per arrivare in Sud America. Sette anni fa fu fermato ad un posto di blocco ma non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento, tutto sembrava in regola. La scoperta dopo la sua cattura. E in questi mesi di indagine gli investigatori di identità fantasma ne hanno scoperto 15 identità. Oltre a quella di Andrea Bonafede c’erano anche documenti di Giuseppe Giglio, Vito Accardo, Gaspare Bono, Giuseppe Bono, Renzo Bono, Salvatore Bono. E ancora Melchiorre Corseri, Vito Fazzuni, Giuseppe Gabriele, Giovanni Giorgi, Giuseppe Indelicato, Simone Luppino, Giuseppe Mangiaracina e Alberto Santangelo.
I dati relativi ai potenziali alias – dicono gli investigatori – appartengono a persone esistenti, tutte, tranne una, del Trapanese, tra Campobello di Mazara e Castelvetrano, e nate tra il 1961 e il 1973, età abbastanza compatibili con quella del boss, nato il 26 aprile del 1962. Con le signore con le quali si accompagnava Matteo Messina Denaro invece si presentava come Francesco Salsi, medico in pensione. Così ha confermato anche la stessa Lorena Lanceri, la vivandiera, che lui chiamava però Diletta, la donna che lo ha accudito nel corso della lunga malattia che lo ha portato alla morte. A Palermo, invece, quando andava a fare le sedute di chemioterapia si presentava come Andrea Bonafede produttore di olio. E il boss utilizzava anche Facebook con il nome di «Francesco Averna», medico chirurgo, laureato all’Università Bocconi di Milano e single. Come foto del profilo aveva un cagnolino bianco con un fazzoletto blu al collo. Su Instagram invece si faceva chiamare «f.averna». Poco dopo la cattura il 31 gennaio 2023, gli investigatori rinvennero nel covo 5 carte di identità intestate ad altrettanti cittadini incensurati di Campobello di Mazara. In quell’occasione ipotizzarono che potessero provenire da due misteriosi furti messi a segno al Comune di Trapani nel 2015 e nel 2018. Le carte rubate erano tutte in bianco. Secondo gli investigatori sarebbero state poi compilate con le generalità dei 5 campobellesi. Al documento sarebbe stata aggiunta la foto di Messina Denaro - nel covo diverse foto tessera - e il timbro del Comune di Campobello. Ora studiando quanto sequestrato queste 15 identità. (*LASPA*)
La. Spa.
GdS, 19/12/2024
Nessun commento:
Posta un commento