L’intervista a Enrico La Loggia. L'ex ministro degli Affari regionali al termine dei lavori del Comitato dei Lep, di cui ha fatto parte, prende le distanze: «Sono in dissenso su come è stato formulato il rapporto, andrebbe rifatto»
Antonio Giordano
Un lavoro che «andrebbe rifatto» e su cui «esprimo tutto il mio dissenso». Non usa mezzi termini l’ex ministro degli Affari regionali di due governi Berlusconi (dal 2001 al 2006), Enrico La Loggia, al termine dei lavori del Comitato dei Lep, istituito dal ministro Roberto Calderoli e guidato dal costituzionalista Sabino Cassese. Un lavoro che si è concluso in questa settimana dopo 21 mesi di riunioni e confronti ma con esiti per poco soddisfacenti anche per chi è stato seduto a quel tavolo e raccolto in un volume di 288 pagine. L’ex ministro siciliano non ha partecipato all’ultima riunione a causa di una indisposizione ma ha scritto una lettera a Cassese. «Desidero farti pervenire tutto il mio dissenso sia sul rapporto finale così come è stato formulato (andrebbe
completamente riformulato) sia sulla stessa prosecuzione dei lavori del comitato dopo le recenti sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione», si legge nella nota inviata dall’ex ministro.
La Loggia, cosa è successo al comitato?
«Sono totalmente in dissenso su come è stato formulato il rapporto e credo che andrebbe rifatto. Ed inoltre ho trovato totalmente inopportuno continuare a lavorare dopo le sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione. Mi è sembrata una forzatura ma si è continuato come se nulla fosse… La realtà è che c’è una fortissima lobby dei veneti guidata da Zaia e Calderoli che ha spinto. Io da siciliano avevo il dovere di parlare…».
Parliamone.
Andrebbe completamente reimpostato il lavoro per realizzare un regionalismo, o federalismo se vogliamo chiamarlo così, che deve essere solidale. Secondo l’articolo 3 della Costituzione bisogna rimuovere ostacoli alla crescita anziché andare avanti mettendo ancora ostacoli per le parti del Paese più deboli come di fatto si sta facendo».
Facciamo qualche esempio.
«Partiamo dal classico esempio degli asili nido. Se in una città come Milano c’è il 92% dei bambini che possono andare in asilo e altrove la percentuale è più bassa prima devi alzare dove è più bassa e poi portare tutti al 100% e non arrivare fino al 33% come si ipotizza nel rapporto. Se a Reggio Calabria ci sono solo tre asili nido e a Reggio Emilia, invece, sono 66 dove sarebbe questa parità di prestazioni? O ancora: se mi viene un infarto a Milano l’ambulanza arriva dopo 7 minuti. Se mi succede la stessa cosa a Ribera questa arriva dopo 40 minuti: dopo che sono morto. Forse credono che abbiamo tutti l’anello al naso. Ancora andiamo sul tema delle infrastrutture: le autostrade, i trafori, l’alta velocità ferroviaria, il Mose con quali fondi sono stati fatti? E poi, ancora, vogliamo parlare del residuo fiscale? In Italia vige il principio della progressività della tassazione sul reddito. Se paghi di più rispetto ai servizi che ricevo quel di più va a beneficio della fiscalità generale e non a chi è più ricco e può pagare di più».
Quello dei Lep è, prima di tutto, un problema di risorse, un tema che era già stato evidenziato all’inizio dei lavori del comitato.
«Lo avevo già detto: non bastano i fondi? Allora è inutile parlare di Lep. Servirebbero oltre 100 miliardi. Una cosa che ho fatto notare all’inizio dei lavori nel 2023. Ma allore è stato detto “poi ci pensiamo…”. E siamo arrivati ad adesso: c’è un problema di risorse grande come una casa. La realtà è che andrebbe rifatto interamente il rapporto per fornire i dati veri e reali al decisore politico che, come giustamente ha detto la Corte Costituzionale, resta il Parlamento. Non può essere una riunione a due tra governo e presidente della Regione interessata. Si deve discutere, confrontarsi e speriamo trovare una convergenza ampia tra maggioranza e opposizione».
E poi ci potrebbe anche essere il referendum.
«E il vero rischio non è che non si raggiunga il quorum, che è un problema, ma il rischio è che ci sarà una spaccatura di Italia in due. Vorrei ricordare il monito di Massimo D’Azeglio “l’Italia è fatta facciamo gli italiani” e chiedere dove è finito? Non è possibile sentirsi italiani diversi se si proviene da Udine o da Lampedusa».
Politicamente come giudica la posizione di Forza Italia, il suo ex partito al quale lei aveva già aderito tra i primi nel 1994 cercato proprio da Berlusconi?
«Mi auguro che Forza Italia Italia recuperi il suo spirito originario, quello cattolico e liberale che è stato l’ispiratore di Berlusconi, e faccia la sua parte forte e chiara di contrasto a questo progetto. Va bene l’alleanza con la Lega, va bene l’alleanza con Fratelli d’Italia. Ma Forza Italia non può perdere la propria identità, la propria capacità di stare al centro dello schieramento, di rappresentare tutte le istanze cattolico-liberali, socialiste, riformiste. Se perde questo, Forza Italia perde anche la sua ragione di esistere. E quindi mi auguro che prendano subito una posizione chiara sull’argomento». (*agio*)
GdS, 22/12/2024
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