EMILIANO SBARAGLIA
Il valore e l’importanza dell’ultimo studio di Manfredi Alberti, ricercatore in Storia del pensiero economico presso l’Università di Palermo, si intuisce già dal titolo, Il lavoro in Italia.
Un profilo storico dall’Unità a oggi (Carocci editore, pp. 254, euro 21). Un volume che si presenta sin dalle prime pagine essenziale per una ricognizione accorta e ben documentata di quanto accaduto in oltre 160 anni di storia italiana nel mondo del lavoro, articolando in dieci capitoli un percorso che caratterizza lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese nel tempo,
partendo dalle prime forme di capitalismo nel settore agricolo sino all’abolizione del reddito di cittadinanza, provvedimento firmato dall’attuale governo Meloni. Arricchendo la sua ricerca con mirate escursioni nei campi di letteratura e cinema, Manfredi Alberti offre ai lettori uno strumento per comprendere le trasformazioni del lavoro in Italia, e i possibili scenari futuri. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Come si è sviluppata la storia del lavoro in Italia dopo l'Unità, e quando entra in gioco il sindacato?
Nei primi decenni dopo l’Unità il lavoro si manifestava in una pluralità di forme molto variegata. L’affermazione del capitalismo e delle relazioni di mercato implicò la diffusione del lavoro salariato, sempre in un contesto produttivo dove le piccole e piccolissime realtà produttive erano la norma. Nonostante la prevalenza delle occupazioni agricole, tra fine ‘800 e inizio ‘900 si andò formando un nucleo ristretto ma importante di lavoro nella grande industria. Il sindacato certamente svolse un ruolo fondamentale sul piano politico, ma anche su quello sociale ed economico. Risale alla fine dell’800 la nascita di un protagonismo delle masse contadine e operaie, dalle prime forme di mutuo soccorso alle federazioni di mestiere e alle confederazioni nazionali. Due tappe importanti furono nel 1904 il primo sciopero generale nazionale, e nel 1906 la nascita della CGDL. Tutto questo impose alla politica una nuova agenda, come riconobbe per primo Giolitti. L’avvento del sindacalismo portò infatti, molto gradualmente, all’introduzione delle prime basi dello Stato sociale.
Quanto hanno influito le due guerre nella trasformazione del lavoro tra primo e secondo Novecento?
Le guerre mondiali hanno avuto un impatto enorme su vari fronti, incluso il mondo del lavoro. Volendo ricordare alcune delle conseguenze più importanti, diciamo che sia la prima sia la seconda guerra mondiale implicarono un vasto intervento pubblico nell’economia e nella gestione della forza lavoro. Si verificò inoltre un massiccio afflusso di donne in molti settori produttivi da cui erano normalmente escluse (per esempio il settore meccanico o dei trasporti), e inoltre vennero sperimentati dispositivi di welfare che sarebbero stati in alcuni casi conservati anche dopo la guerra (pensiamo alle pensioni di invalidità o alla cassa integrazione).
La stagione delle conquiste dei diritti per i lavoratori, tra gli anni '60-'70, sembra oggi subire un processo di regressione. Come si è arrivati a questo?
È una domanda difficile a cui rispondere. Possiamo dire, semplificando un po’, che la stagione dei diritti aveva come corollario una crescita della conflittualità sindacale e delle rivendicazioni salariali, con effetti inflazionistici non compatibili con il normale funzionamento di un’economia di mercato capitalistica. La progressiva riduzione delle tutele del lavoro fu uno dei dispositivi (non l’unico, certo) messi in campo per invertire questa tendenza. Negli anni ‘80, non a caso, iniziò un vivace dibattito internazionale che coinvolse economisti, sociologi e giuslavoristi, che cominciarono a individuare nella flessibilità del lavoro la nuova frontiera dell’innovazione organizzativa nelle aziende. Questo percorso fu poi accelerato dal clima politico-ideologico di “ritorno al mercato” successivo al crollo del comunismo sovietico.
Il libro arriva ad analizzare anche le grandi trasformazioni del lavoro contemporaneo, dovute alla crisi economica del primo decennio del nuovo secolo, sino alla frammentazione del lavoro/i durante il periodo del Covid-19. Quali potrebbero essere gli scenari nel prossimo futuro?
Per uno storico è sempre difficile inoltrarsi sul terreno della stretta attualità e soprattutto ragionare sugli scenari futuri. Diciamo che oggi il lavoro, nel suo insieme, è molto fragile, ed è questa la ragione per cui si può parlare di una nuova questione sociale: c’è il tema del lavoro precario e delle nuove forme di povertà; c’è la questione salariale (con l’Italia fanalino di coda in Europa); il problema degli incidenti mortali sul lavoro; le forme durissime di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori immigrati nelle nuove forme di caporalato. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un affievolimento, se non alla scomparsa, di un orizzonte di cambiamento per il miglioramento delle condizioni di vita e benessere di chi lavora. Le cose potranno cambiare solo se ci sarà una riorganizzazione delle forze politiche e sindacali che hanno a cuore i temi della democrazia economica e del lavoro.
Collettiva.it, 10 novembre 2024
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