Memorie dei Fasci Siciliani, quadro di Pino Manzella
Pino Dicevi
Sui “Fasci Siciliani dei Lavoratori” la storiografia ha voluto trascurare, o meglio ignorare, una pagina importantissima della storia isolana, la quale voleva segnare un percorso alternativo al sistema dando una svolta rivoluzionaria all’eterno problema del degrado sociale, politico ed economico.
Solo la storiografia di sinistra si è distinta per l’impegno costante votato alla ricerca sui movimenti contadini e operai nei vari contesti territoriali della Sicilia, dove si sviluppava una maturazione ideologica dei diritti collettivi rafforzata da una serie di esperienze umane e di relazioni sociali più concrete e più esigenti nella tutela dei bisogni essenziali della vita.
In tal senso nacquero le “Società di Mutuo Soccorso” che, dalla metà dell’ottocento in poi, si estesero nel nord (Lombardia, Toscana) e, dopo l’Unità d’Italia, nel meridione, accompagnate dalla formazione di leghe di resistenza e di Camere del Lavoro.
Un fenomeno che ebbe la sua massima diffusione in Sicilia e fu seguito da un forte associazionismo e che, a protezione delle categorie meno abbienti (braccianti, contadini, minatori, operai e artigiani vari) ebbe la sua più alta espressione nella costituzione dei Fasci Siciliani dei Lavoratori.
Gli aderenti ai Fasci furono contrastati proprio perché questi “cominciavano a pensare politicamente”, cominciavano a prendere coscienza di classe e cominciavano quindi a reclamare i loro diritti.
Ecco perché i padroni e le amministrazioni compiacenti intensificarono la loro repressione in tutti quei luoghi dove maturavano le nuove idee dal basso, dove si organizzavano congressi, riunioni pacifiche e proteste nelle campagne, nelle strade e nelle piazze.
La povera gente era stata ingannata dai buoni propositi (sic!) della classe borghese la quale, giorno dopo giorno, mirava a rafforzare le differenze di classe e con esse lo sfruttamento più nero nelle campagne e nelle fabbriche.
Ecco perché il 1893 e i primissimi giorni del 1894 vennero funestati da una serie di massacri contro folle di cittadini inermi (tra cui donne e bambini) che, proprio in quell’anno, avevano intensificato le loro manifestazioni di protesta pacifica.
Nella sola provincia di Palermo scoppiarono moti a Caltavuturo, a Marineo, a Piana dei Greci, a San Giuseppe Jato, A San Cipirello, a Belmonte Mezzagno, a Misilmeri, a Monreale, a Giardinello, a Partinico, a Borgetto, a Montelepre, a Balestrate, a Tappeto.
Tutte queste rivolte si conclusero con morti e feriti e/o con arresti vari.
Tra questi vogliamo ricordare il numero dei caduti tra il 1893 e il 1894:
Il 20 Gennaio 1893 a Caltavuturo ci furono 13 morti.
Il 25 Dicembre 1893 a Lercara ci furono 12 morti.
Il 2 Gennaio 1894 a Gibellina ci furono 20 morti e nello stesso giorno 2 morti a Belmonte Mezzagno.
Il 3 Gennaio 1894 a Marineo ci furono 18 morti.
Tra quelle stragi va ricordato “l’eccidio di Giardinello” che, perpetrato la domenica del 10 Dicembre del 1893, provocò 7 morti e vari feriti.
Da una pubblicazione dello scrivente, di seguito riassumiamo i fatti più salienti e le concause che provocarono quella strage.
Nelle vicinanze del territorio di Giardinello c’era il feudo “Lo Zucco”del Duca D’Aumale (1822-1897), un feudo di circa sei mila ettari i cui terreni erano coltivati per la produzione di olive, mandorle e, principalmente, di “inzolia”, un’uva molto zuccherina da cui si ricavava un vino particolarmente gustoso e profumato, chiamato Moscato Zucco. (…)
Il Duca volle sfruttare al massimo la produzione di quel vino poiché, essendo particolarmente richiesto, sarebbe stato in grado di inserirlo nella competitività di mercato sia in Italia che all’estero. A tale scopo, sempre in funzione dei suoi personalissimi profitti, nell’autunno del 1893, riuscì ad ottenere dal sindaco di Giardinello l’autorizzazione per deviare le acque della Sorgente Scorsone verso la tenuta dello Zucco, riducendo di molto l’erogazione delle stesse sia nelle fontanelle e sia nel lavatoio pubblico del paese.
Tale provvedimento provocò l’immediata protesta delle donne che, di comune accordo con i fascianti della sezione di Giardinello, diedero l’avvio ad una serie di manifestazioni contro il sindaco che l’aveva favorito.
La domenica mattina del 10 dicembre 1893 un nutrito gruppo di cittadine e cittadini, dopo avere assistito alla messa presso la chiesetta Gesù, Maria e Giuseppe, si recarono nella piazzetta davanti al municipio per protestare non solo contro quel provvedimento scellerato che negava l’acqua agli abitanti ma anche contro le disumane condizioni di lavoro e contro il cosiddetto lurduni, una tassa sui generi alimentari che gravava ancor di più sulla povera gente. Durante la manifestazione, più che pacifica, il messo comunale, Gaetano Nicosia, e sua moglie, che abitavano all’interno del municipio, si affacciarono alla finestra e cominciarono ad offendere con parole di spregio i dimostranti così come stava facendo la moglie del sindaco Angelo Caruso, che abitava nel palazzo di fronte.
La cosa più grave avvenne quando dalla casa del sindaco partirono delle fucilate sulla folla scatenando la rabbia e la furia dei dimostranti; i bersaglieri e i carabinieri presenti, presi anche loro dal panico, scaricarono i loro fucili lasciando per terra dei morti e tanti feriti. (…)
Sui fatti di quella tragica domenica del 10 dicembre è doveroso ricordare la fasciante Giacoma Geloso la quale, nel vedere i morti ammazzati, si unì al gruppo che tentava di sfondare il portone del municipio e, con uno spintone forte e deciso, riuscì a spalancarlo consentendo ai dimostranti, infuriati, di entrare e mettere a soqquadro ogni cosa. (1)(…)
Un mese dopo la strage, l’11 gennaio 1894, il Commissario del Comune di Giardinello inviò al Prefetto di Palermo una lettera con oggetto “Lo scioglimento del Fascio dei Lavoratori” dove tenne a precisare che “il Fascio dei Lavoratori di Giardinello non esiste più” e che “l’associazione una volta disciolta, difficilmente potrà più risorgere”.
Le rivoluzionarie esperienze dei Fasci Siciliani dei Lavoratori furono bloccate drasticamente prima con la dichiarazione dello Stato d’Assedio e subito dopo con l’istituzione dei Tribunali di Guerra contro i fascianti da processare con la vecchia procedura giudiziaria dell’ex abrupto, una procedura che risaliva al tempo dei vicere.
(1)Parecchi di loro furono arrestati, processati e condannati tra cui Giacoma Geloso che fu rinchiusa in carcere col suo figlio, neonato, così come risulta “Dal Fascicolo n. 4 dei verbali di dibattimento relativi si processi svoltisi avanti al Tribunale di Guerra in Trapani”:
“Il 10 marzo 1894, in nome si S.M. Umberto I, per grazia di Dio e per volontà della nazione, re d’Italia, il Presidente del Tribunale Militare di Guerra in Trapani, dichiara colpevole Geloso Giacoma, fu Antonino, di anni 29, e la condanna a trenta mesi di reclusione perché fu una delle più ardite a correre al Municipio dove fu vista concorrere a sfondare la porta”.
[Da: I Fasci Siciliani dei Lavoratori di Pino Dicevi. Ed. CMI, 2018]
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