Franco Ferrarotti
DI MARCO BELPOLITI
“Ambasciatore” di Adriano Olivetti negli Stati Uniti, ha scritto saggi sulla nuova società industriale e i sindacati Deputato per una legislatura, si definiva un outsider.
Franco Ferrarotti è stato la sociologia italiana. Lui l'ha fondata diventando nel 1960 il primo docente universitario di questa materia nell'Italia postbellica. L'ha trasformata in una disciplina accolta nella cultura italiana e, come un albero dai rami frondosi, la sociologia è cresciuta e s'è differenziata al proprio interno. Nato da una famiglia di medi proprietari terrieri a Palazzolo Vercellese nell'aprile del 1926, ha attraversato il Novecento con il piglio di uomo sicuro e risoluto.
Rovinato dalle crisi economiche postbelliche, il padre perde gran parte del suo patrimonio e il gracile Franco viene mandato a studiare a Sanremo in un istituto di religiosi.
Ma la fortuna, come gli è capitato spesso, gli è favorevole. Scopre nelle biblioteche della città rivierasca libri che riguardano il passato positivista della cultura italiana del secolo precedente, ora dominata dal binomio Benedetto Croce e Giovanni Gentile: il neoidealismo è ostile alla scienza e alla cultura tecnologica. Ferrarotti studia Filosofia a Torino nel 1944. Ha imparato l’inglese da autodidatta per cui tradurrà per Einaudi nel 1949 nella mitica collana viola di PaveseIl rito religioso di Theodor Reik e nello stesso anno Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata. Ragazzo prodigio, si racconta che abbia scritto una lettera a AdrianoOlivetti in cui si scagliava contro il capitalismo italiano ammalato di familismo ereditario e che l’industriale ne sia rimasto colpito e l’abbia assunto nella sua azienda senza obblighi di timbrare il cartellino.
Nel 1951 fonda con Nicola Abbagnano iQuaderni di sociologia di cui è direttore, mentre il suo professore è solo il suo vice. L’inquieto e anche ambizioso Franco lascia quella rivista per fondarne una tutta sua, La Critica sociologica, nel 1967. Nel 1951 è andato in America con un viaggio finanziato da Olivetti, di cui è l’osservatore privilegiato oltreoceano. Gli Stati Uniti determineranno il suo orientamento culturale nei decenni a seguire.
La sociologia che Ferrarotti pratica e porta in Italia è una scienza nata nel Nuovo Mondo a contatto con la nuova società industriale, i sindacati e gli insegnamenti nelle giovani e dinamiche università americane. La fabbrica sarà un suo campo di indagine, non secondo i temi e i problemi del marxismo classico o italiano, ma seguendo la lineaculturale del pragmatismo americano. Nel 1954 pubblica presso le Edizioni di Comunità, ora trasferite a Milano, Il dilemma dei sindacati americani. Intanto ha conosciuto il mondo accademico statunitense e anche i sociologi di quel Paese, i quali saranno tradotti dalle edizioni di Olivetti e dal Mulino, i due centri della sinistra non marxista legata alla tradizione laica, da un lato, e al cattolicesimo sociale dall’altro. La carriera di Ferrarotti è segnata anche da un’esperienza politica nelle file del Movimentodi Comunità di Adriano Olivetti che, eletto in Parlamento nel 1959, si dimette e lascia il posto al giovane sociologo. Deputato nella terza legislatura, quella che poi porterà al centrosinistra, ne ha dato un resoconto a posteriori in un libro del 2006,
Nelle fumose
stanze (Guerini e Associati). Insegna a Roma, alla Sapienza, nella facoltà di Magistero; dirige collane di classici della sociologia e si reca di frequente in America per ricerca.
Negli anni Sessanta sposta il suo interesse di studioso verso le periferie urbane; pubblica nel 1970 Roma da capitale a periferia presso Laterza, studio dell’effetto del cambiamento che è avvenuto nella società e nella cultura italiana dopo il Sessantotto. La cultura da cui viene Ferrarotti resta tuttavia estranea ai movimenti di contestazione del periodo e con la morte di Adriano Olivetti, avvenuta anni prima, il progetto utopico dell’imprenditore piemontese non avrà alcun seguito: nessuno ne raccoglie l’eredità intellettuale. Ferrarottipubblicherà numerosi studi e saggi, avendo anche un ruolo nella fondazione della Facoltà di Sociologia di Trento.
Curiosamente nel 1975 pubblica un volume sul suo colloquio con il filosofo marxista György Lukács, quasi un ritorno di interesse per quel pensiero politico che aveva criticato negli anni Cinquanta. Per quanto il sociologo piemontese abbia avuto un ruolo significativo nello svecchiare la cultura italiana, resta una figura solitaria o, come lui stesso diceva, un outsider. Nonostante questo, incarna una delle figure più attive e pugnaci della cultura universitaria con la sua attività di promozione editoriale.
Negli ultimi anni l’editore Marietti ha pubblicato i volumi della sua opera omnia, divisi tra teoria, ricerche e scritti autobiografici, questi ultimi particolarmente interessanti per le frequentazioni di Pavese, Natalia Ginzburg e di altri intellettuali e scrittori che ruotavano tutte intorno alla casa editrice torinese. La sua attività di “diplomatico” per conto di Adriano Olivetti negli Stati Uniti, nel mondo sindacale e nelle università e tra i sociologi di quel Paese, costituisce senza dubbio un’esperienza unica. La sua lunga vita ne ha fatto un osservatore acuto del secolo breve, che in Italia ha prodotto figure eccentriche come la sua.
La Repubblica, 14/11/2024
DI MARCO BELPOLITI
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