martedì, ottobre 15, 2024

L'ultimo prete antimafia?

di FRANCESCO PALAZZO

È morto don Giacomo Ribaudo, prete antimafia, per tanto tempo parroco della Magione a Palermo. Non è una definizione di chi scrive, né soltanto quella di chi fuori dagli ambienti ecclesiastici così lo ha conosciuto e in tal modo lo definisce adesso che non c'è più. È la stessa arcidiocesi di Palermo che lo descrive così attraverso il proprio sito e i canali social. 

"E' tornato alla Casa del Padre don Giacomo Ribaudo. Fu particolarmente impegnato nei temi della promozione umana con attento e puntuale riferimento sulle tematiche del contrasto alla mafia, alla criminalità organizzata e al riscatto degli ultimi e degli emarginati. In un intervento di alcuni anni fa disse: “Il nostro ruolo è culturale e sociale, mentre i compiti di repressione spettano allo Stato. Noi dobbiamo annunciare il Vangelo e difendere i deboli, promuovere la giustizia e la solidarietà contro ogni forma di prepotenza e prevaricazione”.  

Questo il virgolettato e la citazione della curia. Va sottolineato che parliamo dello stesso modo di pensare e di fare di don Puglisi. Quando affermava in quel di Brancaccio, a San Gaetano, riferendosi chiaramente anche alla mafia e agli interventi sul territorio che dovevano contrastarla, che "dovrebbe pensarci lo Stato, ma intanto ci siamo noi, senza illuderci di poter risolvere tutto". Ora, la domanda è la seguente. Ci sono attualmente altri preti chiaramente antimafia nella diocesi di Palermo, ossia nelle chiese parrocchiali, così come lo erano don Puglisi e don Ribaudo? Le risposte potrebbero essere due. No, non ve ne sono più perché la mafia è molto indebolita e quasi non esiste più. Tale risposta non è purtroppo abbordabile. Non perchè lo dico io. Dobbiamo riferirci alla presenza odierna di Cosa nostra nel territorio, confermata da molteplici e sempre convergenti indagini, dalle ricostruzioni che ne vengono fuori, dagli arresti di cui leggiamo di continuo e dalle condanne. Ma ciò lo ha confermato la sera del 14 luglio 2024, con molto coraggio, con veemenza, ai piedi del carro di Santa Rosalia, quasi  un grido dal profondo dell'anima, lo stesso arcivescovo di Palermo. Quando ha affermato, con evidente e specifico riferimento alla mafia, che Palermo è una città ancora appestata ma che non deve lasciarsi strappare la speranza. Tale sintesi non la inventiamo qua, ma la prendiamo, con riferimento a quella serata, sempre dal sito della Curia. Allora la mafia c'è ancora. Potremmo però rispondere alla domanda di prima che non vi sono più singoli preti antimafia come don Puglisi e don Ribaudo (e guardate che è la prima volta, al contrario di come ha fatto con don Puglisi, che la curia sottolinea ufficialmente di un parroco il proprio impegno antimafia), perché tutti lo sono chiaramente e pastoralmente allo stesso modo. Ma così è? Certamente tanti parroci, azzardiamo, tantissimi, coltivano nel proprio intimo una vera e seria distanza da Cosa nostra. Ma quanta di questa distanza personale, come venne fatto da don Pino e da don Ribaudo, si sostanzia in scelte pastorali parrocchiali chiare e distinte, tanto che si possa dire chiaramente di quel parroco o di quell'altro che è un prete antimafia? Non si può che rispondere negativamente a tale domanda, visto che dobbiamo tenere in considerazione un fatto preciso. Dalla uccisione per mano mafiosa di don Puglisi, stiamo già veleggiando verso i 32 anni dalla sera del 15 settembre 1993, non è stata messa in campo una vera e propria pastorale antimafia nella diocesi che possa essere presa e attuata da tutti i parroci. Dalle parrocchie di periferia a quelle centrali. Questo è il problema, non i singoli parroci. È vero che ogni anno la chiesa di Palermo inizia il 15 settembre l'anno pastorale diocesano proprio nel giorno dell'uccisione di don Pino, del quale il 21 ottobre si celebra la memoria liturgica. Ma cosa significa ciò? È mera, per quanto significativa, memoria di un presbitero che sta nell'alto dei cieli? Oppure si dovrebbe, come una sorta di kantiano imperativo categorico, applicare in tutti i territori parrocchiali il metodo di don Pino? Il protagonista della religione di Quelo, chioserebbe a questo punto "la seconda che hai detto". Ma tale seconda opzione non viene messa sinora in campo in maniera strutturale e organica attraverso una azione pastorale precisa e diretta. Diciamo allora con l'arcidiocesi che muore con don Ribaudo un prete antimafia. Ma dobbiamo pure ammettere che la chiesa di Palermo non ha più da questo punto di vista, avendo tardato a pensare, scrivere e applicare un piano d'azione preciso, altri riferimenti di questo tipo appartenenti alle  nuove generazioni. L'impressione, per dirla tutta, è che nelle parrocchie al momento prevalga l'ordinaria, e innocua dal punto di vista della contrapposizione a Cosa nostra, pastorale sacramentale. Fatta di prime comunioni e cresime, recentemente oggetto nella diocesi di Palermo di nuove disposizioni catechistiche (segno che quando si vogliono cambiare le dinamiche parrocchiali lo si fa), e poco altro.

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