Ai Cantieri culturali della Zisa l’incontro organizzato in collaborazione con Repubblica I progetti di inclusione degli immigrati sulle Madonie e la lotta di un’associazione di ragazzi nell’Agrigentino
di Marta Occhipinti
Frenare la fuga dei giovani dalla Sicilia per spezzare il circolo vizioso dello spopolamento, fenomeno, non solo demografico, nutrito dalla mancanza di un modello di sviluppo economico e politico che possa offrire ai giovani prospettive, lavoro, futuro. La realtà tradotta in dati parla di 15 mila emigranti ogni anno dall’Isola, di cui 7 mila giovani laureati. Secondo i dati Miur, Anagrafe degli studenti, in dodici anni, dal 2003 al 2015, la riduzione degli immatricolati nelle università del Mezzogiorno (- 39 mila iscritti) è quasi il doppio rispetto alle regioni del Centro Italia e quattro volte maggiore rispetto al Nord. E la tendenza non si è arrestata.
Di spopolamento si è parlato ieri, ai Cantieri culturali della Zisa, nell’ambito del festival “Letterature migranti” per l’incontro “La Sicilia che si svuota”, a cura di “Repubblica” Palermo in collaborazione con la manifestazione letteraria, diretta da Davide Camarrone.
Dalle case a un euro alle strategie di ripopolamento dei piccoli borghi delle aree interne, dove c’è chi fa 40 chilometri, da Reitano, in provincia di Messina, a Mistretta per acquistare il pane, negli ultimi anni si sono susseguiti diversi progetti socio-economici per invertire la tendenza del calo demografico. Ultimo, quello partito dal servizio 3 del dipartimento regionale della Famiglia e delle politiche sociali, ex Ufficio speciale immigrazione, che ha attivato una ricerca-azione sul territorio delle Madonie e le altre dieci aree interne della Sicilia per l’accompagnamento al ripopolamento dei borghi rurali. Unmodello di ricerca attiva sul territorio, di stampo spagnolo, che ha intercettato i bisogni dei piccoli comuni servendosi dei nuovi flussi migratori come risorsa economica.
« Abbiamo cambiato prospettiva, non più guardando alla migrazione come fenomeno emergenziale, ma come realtà e risorsa — ha detto Rafaela Pascoal, sociologa del progetto “ Com. In 4.0” della Regione — . Il progetto è declinato in sei fasi: dopo l’animazione del territorio delle Madonie per la formulazione di un piano di inclusione accogliente, abbiamo istituito uno sportello con operatori legali, assistenti sociali e geografi che hanno mappato gli immobili el’offerta di lavoro nei comuni delle Madonie. In ultimo, stiamo lavorando alla formazione dei funzionari amministrativi e un match tra persone migranti che sono in altri territori della Sicilia e chi vorrebbe trasferirsi nelle Madonie. Lo scopo è sempre quello di creare una rete, unico modo per far sì che le persone restino». A fare rete ci pensano le associazioni, soprattutto di giovani che partono dall’entroterra e decidendo di rimanere puntano su antimafia, diritto del lavoro e diritto a restare. Tra queste c’è il “ Centro studi Giuseppe Gatì”, creato da giovani di Campobello di Licata ( Agrigento),promotori di una mappa sulle prospettive future degli studenti dell’Agrigentino, dove il 79 per cento dei ragazzi ha meno opportunità di studiare e trovare lavoro in Sicilia rispetto ad altre regioni d’Italia o all’estero. Da un sondaggio basato su interviste a 1.363 giovani tra i 14 e i 19 anni, emerge che per il 40% la qualità della vita in Sicilia è peggiore rispetto al Centro- Nord. « Ma non è fuggendo che si riesce — dice Giovanni Intorre, vicepresidente del Centro studi Giuseppe Gatì, intervenuto all’incontro — invertire la tendenza si può. La nostra associazione è una contro-narrazione alla fuga».
La Repubblica Palermo, 25/10/2024
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