martedì, settembre 03, 2024

Nando dalla Chiesa: “Torno a Palermo con i miei studenti. L’antimafia ha bisogno di nuovi racconti”. Oggi le commemorazioni per la strage del 3 settembre 1982


di Salvo Palazzolo

Il figlio del generale prefetto: “Palermo è stata capitale di mafia e antimafia, vorrei che si capisse la complessità della storia di questa città. Nella storia c’è un flusso e bisogna saperlo orientare nel modo migliore”

«È importante andare nei luoghi dove è stata fatta la storia», dice il professore Nando dalla Chiesa, appena arrivato a Palermo con i suoi studenti, nell’anniversario dell’agguato in cui vennero uccisi il padre, il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. «Vorrei che i miei studenti incontrassero mio padre nei luoghi simbolo che visiteremo — spiega — da via Carini, teatro della strage del 3 settembre 1982, alla prefettura, alla Legione carabinieri, al palazzo di giustizia, alla caserma di Corleone». Un professore e quaranta universitari della facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano per un viaggio molto particolare, destinato a diventare un messaggio forte per una Palermo tornata ad essere distratta, per certi versi immobile.

La città in cui torna con i suoi studenti ha un’antimafia dilaniata dalle polemiche. Dentro famiglie e associazioni. Da cosa si riparte?

«Il titolo del nostro percorso è Palermo, capitale di mafia e di antimafia. Vorrei che si capisse la complessità della storia di questa città. Perché nella storia, in realtà, non si riparte. Questo ho imparato, c’è un flusso nella storia. E bisogna saperlo orientare, nel modo migliore, con i propri comportamenti».


Oggi, la mafia sembra più debole rispetto al passato. Anche se punta costantemente alla riorganizzazione, fino ad oggi bloccata dalle indagini della magistratura e delle forze dell’ordine.

«Non bisogna dimenticare che Palermo è stata capitale di mafia: se in Italia è esistito uno Stato parallelo, a volte intrecciato con quello ufficiale, la sua capitale è stata Palermo. Non Roma, come spesso si dice. E la mafia si è articolata in varie fasi, anche questo è importante non dimenticare, per cogliere le evoluzioni del fenomeno: dalla strage di Portella della Ginestra all’assassinio dei giudici, alle stragi del 1992-1993. Oltre al sangue, ci sono state le collusioni, le relazioni. Penso a una figura come quella di Michele Sindona, che ha messo insieme la finanza sporca, la mafia, gli affari che vanno oltre oceano, la massoneria».

Ricordiamo anche Palermo capitale dell’antimafia.

«Qualcuno pensa che l’antimafia sia iniziata dopo le stragi del 1992. In realtà, c’era già un percorso importante prima. I ragazzi venivano a Palermo per studiare la primavera della città, per imparare».

Oggi cosa succede?

«Io vengo a Palermo con i miei studenti per incontrare persone che possono insegnare tante cose. Mi spiace non poterle vedere tutte, resteremo in Sicilia solo una settimana. Per il resto, Palermo non ricopre più quella posizione di guida assoluta che aveva in passato».


Insomma, Palermo non è più capitale della mafia, ma neanche dell’antimafia.

«È vero, ma non dobbiamo dimenticare che oggi l’antimafia ha i suoi capisaldi teorici a Palermo. La legge per il sequestro e la confisca dei patrimoni mafiosi nasce su proposta di un parlamentare siciliano, Pio La Torre, ucciso dalla mafia. Questa legge è un punto di riferimento per la giurisprudenza di tutto il mondo. Quando vado in Messico, mi chiedono della confisca dei patrimoni e dell’utilizzo dei beni confiscati. Anche la legge sul riutilizzo dei beni sottratti alla mafia, sostenuta da Libera, trova le sue radici nel vento di ribellione di Palermo».

In quali luoghi porterà gli studenti per fare conoscere suo padre?

«Innanzitutto, dove ha lavorato come comandante di Legione, nella caserma di corso Vittorio Emanuele che oggi porta il suo nome. Voglio accompagnarli nelle stanze dove mio padre metteva su alcune cartine geografiche le sue spille verdi, gialle, rosse, che indicavano la presenza dei carabinieri o il tipo di genealogie mafiose che si formavano sul territorio. In quelle stanze lo incontrai con Sciascia, che gli regalò “il Giorno della civetta”. Vorrei che i miei studenti comprendano i luoghi, che hanno qualcosa di intenso, di particolare. Da quelle stanze partì la prima seria offensiva strategico culturale contro la mafia. Anche le audizioni di mio padre alla commissione parlamentare Antimafia erano molto innovative per l’epoca».

L’antimafia di oggi dovrebbe allora ripartire dai luoghi che hanno segnato la lotta la mafia?

«Oggi l’antimafia ha bisogno di nuove narrazioni, perché troppo spesso i racconti sulla mafia sono stereotipati. L’antimafia deve continuare a confrontarsi con la storia vera. Era l’intuizione di Francesca Serio, la madre del sindacalista Salvatore Carnevale, quando diceva a Carlo Levi: “Lei lo deve fare passare alla storia”. E non è che non avesse fiducia nella giustizia, perché era andata a denunciare gli assassini del figlio. La storia passa dai posti dove hanno vissuto i nostri martiri, Falcone, Borsellino e tutti gli altri. Ecco, io mi sento un testimone di quella storia, e continuo a raccontarla ai miei studenti».


La Repubblica Palermo, 03 SETTEMBRE 2024 

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