domenica, settembre 08, 2024

IL FILM. Dietro le quinte di “Iddu” Germano e Servillo alle prese con Svetonio


La corrispondenza di Messina Denaro con l’ex sindaco Antonio Vaccarino

di Irene Carmina

Si firmava Svetonio nelle lettere inviate a Matteo Messina Denaro tra il 2004 e il 2006. Antonino Vaccarino, insegnante di educazione tecnica alle medie ed ex sindaco di Castelvetrano, era l’uomo del mistero. Uno che si era guadagnato il favore di Bernardo Provenzano. Uno che poteva vantare un’amicizia con il padre del superboss di Cosa nostra, don Ciccio, capo mandamento di Castelvetrano, e che intesseva trame nello studio medico di Alfonso Tumbarello, il dottore che curò l’ultimo dei padrini. 


Fu proprio in quello studio che partì la sua corrispondenza con l’allora latitante Matteo Messina Denaro. Arrestato per mafia e poi assolto in appello, condannato per droga e di nuovo arrestato prima della morte, nei primi anni Duemila Vaccarino si era messo in testa di cancellare le macchie dalla sua fedina penale aiutando lo Stato a catturare il capomafia. Venne assoldato dai Servizi segreti del Sisde diretto dal generale Mario Mori. «Lo fece per soldi», dirà di lui Messina Denaro, interrogato dal procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia. 
È il primo ottobre del 2004 e Vincenzo Panicola, cognato di Messina Denaro, consegna a Vaccarino un pizzino arrotolato nello scotch. Impossibile aprirlo se non con un taglierino o con delle forbici. «Per Svetonio, carissimo amico mio » . Inizia così la prima lettera tra i due. Ce ne saranno altre, in cui il capomafia cita Jorge Amado, Pennac, Virgilio, filosofeggia sui massimi sistemi. Emanda messaggi a Cosa nostra, indicando nelle missive un prete, un politico, un imprenditore, un tipografo e “ un amico”. Nel 2008 quelle lettere vengono raccolte in un libro (“Lettere a Svetonio”, edito da Stampa alternativa). Finiscono sui giornali, svelano un volto criminale inedito. 
Due registi siciliani, Antonio Piazza e Francesco Grassadonia, si imbattono nel carteggio. È il 2020 e Matteo Messina Denaro è ancora latitante quando nasce l’idea di un nuovo film, “Iddu”, la chiusura perfetta di una trilogia noir dedicata alla mafia dopo “Salvo” e “Sicilian ghost story”. «Il carteggio ci ha dato l’intuizione di questa strana coppia, aprendo uno squarcio sorprendente e inaspettato sull’intimità di questo famoso criminale che sembrava coltivare buone letture e inclinazioni cinefile, poi confermate dai libri e dai dvd ritrovati nel covo: Baudelaire sul comodino, “ Le notti bianche” di Dostoevskij, “ Blow- Up” di Michelangelo Antonioni, oltre a “ Il padrino” di Francis Ford Coppola e a tutta la prima stagione di “Sex and the city”», dicono i due registi da Venezia. “ Iddu”, girato l’anno scorso nel Trapanese in sette settimane, è infatti uno dei cinque film italiani in concorso alla Biennale. Giovedì, alla presentazione, sono stati sette minuti di applausi e due premi collaterali i due registi che lavorano in coppia se li sono già portati a casa: il premio Carlo Lizzani al miglior film italiano e il premio Mimmo Rotella. 
Due protagonisti d’eccezione peril film prodotto da Indigo con Rai cinema: Elio Germano nei panni di Matteo Messina Denaro, e Toni Servillo, alias Catello Palumbo. «Un saltimbanco assediato dalla disperazione» , definisce così il suo personaggio l’attore napoletano. 
E Piazza precisa: «È un personaggio immaginario che non ha nulla a che vedere con Vaccarino, se non per l’espediente narrativo del carteggio e per l’aggancio con i servizi segreti: ci interessava raccontare, attraverso la figura di Catello, una grande maschera della commedia all’italiana e con essa la claustrofobia e la miseria della latitanza». 
Il grottesco entra nel film, quasi a sottolinearne il tragico. E di questa tragedia umana il protagonista è Messina Denaro: «il principe riluttante di un mondo vuoto e ridicolo, figlio di un patriarcato patologico in un microcosmo di padri distruttori che produce frutti avvelenati — lo descrive così Piazza — In lui c’è l’ipernarcisismo criminale». 
“Iddu”, in uscita il 10 ottobre al cinema, è la storia del mondo che volteggia spericolatamente intorno al capomafia di Castelvetrano e protegge il mistero della sua trentennale latitanza. Un mondo in cui gli azzardi e le crisi esistenziali non danno mai gli esiti sperati. Dopo aver scontato sei anni di prigione a Cuneo per reati di mafia, Catello, ex preside, ex sindaco, ex assessore, ex consigliere, ex massone di un paese siciliano (praticamente “ex tutto”, come lo definisce la moglie nel film), torna a casa a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, e diventa pedina dei servizi segreti per avvicinare il boss latitante. 
I protagonisti del film hanno passato giorni e giorni chini sulle lettere tra Vaccarino e Messina Denaro. Quando Toni Servillo è inciampato in Svetonio non poteva credere ai suoi occhi: « Mi ha molto stupito il fatto che ricorresse a figure prese dalla letteratura shakespeariana e dall’Apocalisse per venderle ai più alti piani dei Servizi segreti come meccanismo per avvicinare il latitante: indossava maschere diverse a seconda dei palcoscenici». 
S’è dovuto fare una cultura epistolare anche Germano. «Mi sono preparato studiando i carteggi, perché Messina Denaro non era ancora stato catturato — osserva l’attore romano — Non c’è nessuna fascinazione del crimine nel film, ma solo la banalità del male e un mondo tragicamente ridicolo, come la vita di questi due personaggi: uno è una persona chiusa in una appartamento che si lamenta perché non c’è nessuna qualità, l’altra è un uomo che si arrabatta per cercare di cancellare il suo passato». 
«Quando la morte verrà mi troverà vivo, a testa alta e sorridente perché quello sarà uno dei pochi momenti felici che ho avuto nella vita». Lo scrive il 22 maggio del 2005 “ iddu” a Vaccarino, dopo averlo ringraziato «della sua amicizia e della sua affettuosità». 
Quasi vent’anni dopo, un film ci ricorda quanto misero e grottesco possa essere il male. 
La Repubblica Palermo, 7/9/2024

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