lunedì, settembre 02, 2024

Ciaculli, terra di pietre e mandarini. Fra acqua, mafia e storie di riscatto

Claudio Paterna

Dalla zona di San Ciro Maredolce ci spostiamo verso la frazione di Ciaculli, nota soprattutto per le coltivazioni di mandarino «tardivo». Il nome Ciaculli deriva tuttavia dal gran numero di ciotoli e pietre (ciacuddi) che si trovavano lungo l’allora stradone che congiungeva la borgata con Gibilrossa (oggi strada asfaltata, ma chiusa da anni e anni per una frana).

Roberto Tagliavia, erede del conte Tagliavia 

Non sempre le storie che hanno attraversato questa borgata sono state idilliache e romantiche, come in effetti il paesaggio potrebbe indurre a pensare. Storie di poveri braccianti agricoli che hanno strappato la terra arida alle pendici della montagna, storie di pozzi d’acqua scavati con sacrificio e poi usurpati da pochi proprietari mafiosi, storie di espropri forzati, di rapimenti e di strapotere di alcune famiglie locali. Eppure la letteratura non è stata così arida da confinare tutte le vicende nella cronaca nera. Lo scrittore verista Giuseppe Ernesto Nuccio ambienta gran parte dei suoi Racconti della Conca d’Oro (1911) e soprattutto il romanzo Picciotti e Garibaldini (1918) proprio in questa parte dell’agro palermitano, narrando il vagare dei ninnariddari per le feste di borgata e la silenziosa discesa dei Mille da Gibilrossa attraverso il burrone della Scala. Questi scritti sono stati in parte ripresi da Nino Russo con i suoi Racconti di Maredolce, dove tuttavia è accentuata la componente fantastica e simbolica dei luoghi.

Le testimonianze vere del passato le ritroviamo invece passando davanti alla multiforme e caotica edilizia residenziale recente, scoprendo fra il traffico incipiente di guidatori distratti, i piloni d’ingresso alle ville e le palazzine in stile liberty del primo Novecento. Sono incastonate tra via Ciaculli e via Conte Federico (la parte superiore di essa) e non sempre è facile raggiungerle . Alzando lo sguardo oltre la strada scorgiamo numerose torri d’acqua (ce n’erano una trentina fino a pochi anni fa), ma solo giungendo alla transennata Casena Capuzzo (poi baglio Di Pisa) si può osservare l’edilizia possente dei bagli d’un tempo.

Saliamo prima verso Gibilrossa e incontriamo il baglio Molone di Sotto e poi quello di Sopra con la caratteristica torretta merlata. Poco più avanti, prima che la strada sia interrotta dalla frana e da rifiuti d’ogni genere, incontriamo il solitario monumento dedicato alle vittime dell’attentato del 1963 che costò la vita a sette tra carabinieri e poliziotti. Quell’attentato diede avvio alla prima commissione Antimafia ma spalancò una fama sinistra su Ciaculli.

La nostra passeggiata in auto prosegue svoltando in direzione della frazione Croceverde-Giardini che raggiungiamo per una stretta strada costellata da piloni d’ingresso alle ville. La più importante di queste è certamente il baglio Alliata risalente al XVI secolo, con scalone settecentesco e robusti balconi. Apparteneva in origine ai domenicani e ai Malvagna, per poi passare nel Novecento agli Alliata di Cardillo. Croceverde di fatto si presenta come un largo stradone denominato corso dei Mille, per ricordare la storica discesa verso Ponte dell’Ammiraglio. Qui si erge la moderna chiesa della Madonna del Carmelo, l’edificio della scuola elementare e due deliziose palazzine ben conservate con caratteri tardo-floreali (come li definisce Adriana Chirco nel suo Palermo, la città ritrovata).

In fondo allo stradone, dopo la svolta verso fondo Giardina, troviamo i resti del baglio Rappallo, caseggiato agricolo settecentesco con i resti della chiesetta dell’Immacolata. Da qui un tempo si saliva allo storico casale Santa Zita con una distesa di magnifici alberi di nespolo, raggiungibile anche da via Gibilrossa. Sulla strada del ritorno verso la pianura svoltiamo da Croceverde per la stretta strada che ci conduce da un lato verso il sentiero sterrato in direzione del vallone Feritano e della Favara di Villabate (da osservare gli storici casolari come cortile Torcetta e baglio Colluzio). Poi, svoltando bruscamente all’altezza di un importante vivaio, andiamo in direzione di fondo Favarella.

L’importanza di fondo Favarella viene illustrata da uno dei protagonisti della vicenda umana e giudiziaria che ha caratterizzato queste contrade, Roberto Tagliavia, discendente dal famoso Conte Tagliavia che alla fine dell’ottocento impiantò parte del mandarineto che costituisce la ricchezza agricola dei luoghi. Nel suo “I mandarini di Ciaculli - Una saga familiare nella Sicilia del dopoguerra” (2022), Tagliavia ricostruisce le vicissitudini della sua famiglia costretta ad abbandonare la proprietà dei luoghi per un connubio di malaffare e falsa giustizia, il ritorno recente a seguito di una lunga vicenda giudiziaria paradossale, le speranze e i progetti per il futuro del territorio.

È lui che fa da guida nella tenuta oggi gestita da una società agrumaria, non nascondendo particolari suggestivi e incredibili. Anzitutto lo stesso baglio Favarella - di cui alle cronache di mafia dagli anni ‘60 in poi - con la cinquecentesca torre di guardia, nascosta dai ripetuti interventi di adattamento, il portale barocco d’ingresso risalente al 1660, dove fu incisa la sigla M.G., sinistro riferimento a colui che fu il «signore» (di mafia) di quei luoghi, il boss Michele Greco detto il Papa, morto in carcere un decennio fa, dopo essere stato catturato nel febbraio 1986, nei giorni in cui si apriva il maxiprocesso che lo vide poi condannato.

C’è anche la chiesetta rurale di San Gregorio con affreschi alle pareti, i fossati delle vecchie cave di tufo con rigogliosa vegetazione all'interno della quale si sviluppa un sistema di grotte, in parte camere dello scirocco in parte magazzini, risalenti alla proprietà del barone Morso. L’estensione è amplissima, dato che va oltre i 45 ettari, solo in parte intensamente coltivati. Da lì Tagliavia fa osservare il grande Baglio Alici con la torre Valdaura, le case Amari in via Balate, sul declivio verso Villabate, laddove Nino Basile individuò l’abituro bizantino di Monte Calvario. Il noto pittore, fotografo e grafico Max Serradifalco, nativo dei luoghi, ha regalato splendidi tramonti e distese di nebbia lacustre verso la Conca d’Oro e monte Pellegrino. Li ha raccolti solo in parte nel progetto Web Landscape Photography (2012). Dal baglio andiamo alla villa Tagliavia, col gigantesco ficus, dove abitava il Conte. Era circondato da complicati impianti per il sollevamento delle acque. In tempi recenti la villa è stata trasformata per poco tempo in studio cinematografico. Più avanti c’è una poderosa gebbia con canali (Senie) e pompe di sollevamento che ristabiliscono la dimensione etnoantropologica del paesaggio.

GdS, 2 settembre 2024

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