domenica, agosto 11, 2024

Paolo Giaccone e quella memoria da recuperare


A lui è stato intitolato il Policlinico, ma bisogna evitare l’oblio che alberga nelle nuove generazioni

Adelfio Elio Cardinale

Sull’ingresso principale del Policlinico universitario di Palermo una grande targa: Paolo Giaccone. Ogni giorno centinaia di persone - cittadini, studenti, malati e familiari, professori - entrano in questa struttura ospitalo-universitaria. Solo i più anziani, dopo oltre quarant'anni, sanno chi è stato Giaccone e ancor meno sono i docenti e medici che l'hanno conosciuto da vivo e hanno lavorato o insegnato con lui. Gli altri ignorano o hanno barlumi di ricordi per qualche altrui narrazione spesso sbiadita.

Montaigne, con riferimento agli uomini più eccellenti ha scritto: «C'è una verità e una capacità dovunque completa e uguale: che in tutti gli uffici della vita umana non lascia nulla a desiderare, sia in una mansione pubblica o privata, sia nel vivere, sia nel morire nobilmente».

Non è giusto lasciare il suo nome a semplici indirizzi, con una sopravvivenza garantita quasi esclusivamente da postini, navigatori satellitari, mappe topografiche e stradali. Un nome come tanti altri. Giaccone non lo merita.

In una delle tragiche estati di piombo di Palermo scattò l'agguato mortale contro il professore Paolo Giaccone. Erano le 8 circa di mattina dell'11 agosto 1982: il docente era sceso dalla Peugeot di proprietà personale davanti al suo istituto del Policlinico. Tre killer lo assalirono con un fuoco incrociato. La vittima morì sul colpo, ucciso da 5 pallottole. Il rapporto giudiziario della Squadra Mobile così riportava l'omicidio: «Alle 08,20 circa dell'11 agosto 1982, alla centrale operativa della Questura di Palermo, perveniva comunicazione telefonica con cui veniva segnalata una sparatoria all'interno dell'ospedale Policlinico… nel viale antistante l'ingresso dell'Istituto di Medicina Legale, riverso sull'asfalto e vicino all'autovettura Peugeot targata PA 521970, di proprietà dell'ucciso, giaceva il cadavere del prof. Paolo Giaccone… stimato docente la cui attività nel settore sanitario lo aveva portato a conseguire numerosi riconoscimenti… Un delitto tanto più esecrando in quanto in pregiudizio di una persona integra e retta».

Giaccone non aveva voluto modificare, malgrado avvertimenti e minacce, una perizia balistica nella quale un'impronta inchiodava l'autore di quattro omicidi mafiosi avvenuti a Bagheria nel 1981, la cosiddetta «Strage di Natale»: Pino Marchese, che aveva agito per volontà dei boss di Corso dei Mille.

Il medico legale era nato a Palermo nel 1929 da una famiglia di antiche e qualificate tradizioni sanitarie: medico il bisnonno a Caltabellotta, medico condotto il nonno, medico lo zio materno, medico ostetrico e primario il padre Antonio.

Dopo la maturità classica si iscrisse, nel 1947, a medicina, frequentando l'istituto di Medicina Legale, diretto dal prof. Ideale Del Carpio. Nel 1953 Giaccone si laureò con il massimo dei voti e la lode, con una tesi in ematologia forense. Incaricato di antropologia criminale, titolare di medicina legale a Giurisprudenza, professore di ruolo di medicina legale nella facoltà medica del nostro ateneo. Con il prof. Del Carpio fu ideatore e fondatore del centro trasfusionale dell’AVIS, donando per ben 56 volte il suo sangue, incitando alla «cultura della donazione».

Questo articolo non vuole essere un necrologio austero che rievochi vicende di un'esistenza, ma il ricordo di un medico eroe con eccezionale statura morale, coniugata con grande generosità umana e sociale. Paolo Giaccone - per la sua riconosciuta competenza, precisione inattaccabile onestà - fu per decenni il consulente della magistratura, delle istituzioni, dei corpi dello Stato. Le sue perizie e autopsie su illustri personaggi rappresentano uno spaccato dei delitti della criminalità organizzata di quei decenni a Palermo: Piersanti Mattarella, il colonnello Russo e il capitano Emanuele Basile, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Lenin Mancuso, Mario Francese.

La vita contemporanea è connotata da atrofia emotiva vissuta in condizioni di continua incertezza, edonista ed egoista, dai valori volatili. Un vivere dove i giovani credono di perdere la loro originalità se accettano quelle verità che già da altri non state riconosciute. Il dovere della memoria.

Nessuna regione può contare tante croci come Palermo e la Sicilia, che, riunite in un unico sito, formerebbero un cimitero dei morti per la guerra della legalità. La raccolta delle frasi scritte nelle lapidi e targhe e la narrazione dei loro eroismi potrebbe costituire, con scarna semplicità, una mesta e dolente nuova antologia di Spoon River, riferita alla nostra terra.

La dimenticanza - e ciò vale per Giaccone come per le altre vittime - non è opera del tempo: è determinata da chi vuole dimenticare, trasmettendo nozioni sterili che non hanno sopravvivenza. Se si vive solo nel presente si rischia di scomparire insieme ad esso. «Uno dei più evidenti e gravi difetti della società italiana… sta nella mancanza di memoria», ha scritto Leonardo Sciascia. Aveva capito tutto.

Per non dimenticare, per rinvigorire il ricordo, il preside di Medicina di quegli anni - nel ventennale dell'uccisione di Giaccone - realizzò in onore «dell’eroe normale» un monumento significativo, con la collaborazione del noto e compianto artista Maurilio Catalano, che prestò arte e opera a titolo gratuito, come omaggio alla vittima.

Alla base un grande cubo di marmo nero, che vuole significare la stratificazione lutulenta delle abitudini mafiose. Al di sopra un cuore di marmo vermiglio disarticolato in vari segmenti, ognuno dei quali attraversato da una lunga lancia di metallo. Il cuore di Giaccone trafitto. Lettere in bronzo indicano il nome e la data del sacrificio. Dopo vent'anni il ricordo era rinnovato. Tale struttura sostituiva un piccolo cippo di gesso e cemento, sgretolato e sfarinato, con le scritte sbiadite, posto nel viale al tempo della sua uccisione. Nuovo monumento come lapide della memoria, in quando la mafia può essere paragonata alla tubercolosi. Anche quando la malattia appare clinicamente spenta, il bacillo responsabile rimane nel corpo «murato vivo», pronto a infettare nuovamente con virulenza. Una mafia che, se non avanza, neppure arretra, come ebbe a dire l’allora Procuratore Generale di Palermo Roberto Scarpinato.

«Oggi è il mio compleanno/nessuno/ si è ricordato di me»: sono versi melanconici di una poesia giovanile di Giaccone. Ma egli non è più solo. Se Paolo talora visse la solitudine in vita, c'è un impegno per non dimenticare, per tenere vivo il suo ricordo, il suo insegnamento, il suo coraggio ben oltre la sua esistenza. La tragedia dell'eroe borghese, quella di chi non vuole abbattere l'ordine sociale in cui vive, né sovvertire le sue leggi, bensì vuole attuare realmente l'ordine e i valori proclamati dalla sua società, e vuole che le leggi promulgate sbandierate da quella società borghese in cui egli si riconosce, siano rispettate.

In questi tempi di etica scivolosa e di frequente malasanità senza principi, personali e di sistema, ricordiamo le parole di Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione «…essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia…». Come Paolo Giaccone.

GdS, 10 agosto 2024

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