Il nipote del procuratore: «Manca mio papà, siamo sfiduciati ma continuiamo la battaglia»
Fabio Geraci
«Quest'anno è un anniversario ancora più triste perché è il primo senza mio padre, Michele Costa, che si era battuto per avere giustizia. Mi sembra molto strano che ci sia io a fare le sue veci. Rita Bartoli Costa è morta credendo sinceramente nella giustizia. Mio papà ci ha provato, so che alla fine della sua vita non condivideva questo entusiasmo. A me non chiedetelo. Comunque siamo qui a continuare questa battaglia anche se con scarsissima fiducia». Sono le parole amare del nipote Gaetano Costa, che porta lo stesso nome del nonno, il procuratore della Repubblica ucciso 44 anni fa nell’agguato di via Cavour.
Delitto rimasto senza colpevoli.Costa venne colpito da un killer mentre tornava a casa a piedi e senza scorta. Si era appena fermato davanti a una bancarella di libri: qualche mese prima si era occupato di un’operazione della polizia contro il clan Spatola-Inzerillo-Gambino. I suoi sostituti, tranne uno, si erano rifiutati di convalidare gli arresti e per questo firmò da solo il provvedimento esponendosi così alla rappresaglia di Cosa nostra. L’inchiesta non è mai riuscita a dare un nome ai mandanti e al killer: uno degli esponenti della famiglia mafiosa degli Inzerillo era stato accusato di essere stato il «palo» dell’esecuzione ma, alla fine, era stato assolto.
Alla commemorazione del procuratore è mancata appunto la voce critica del figlio Michele, morto nel febbraio scorso. Negli ultimi tempi, impedito a muoversi, era costretto a seguire all’interno di un’auto la cerimonia e da lì aveva continuato fino all’ultimo a lanciare le denunce sull’isolamento del padre, sui buchi delle indagini e sul fatto che «per nessun delitto di mafia eccellente è stato possibile risalire a tutte le responsabilità». Ieri il suo testimone è stato raccolto dal figlio Gaetano junior: «La storia di mio nonno non ci consente di rasserenarci. Non ci è dato sapere come è morto e perché. Sappiamo che è stato tradito da chi avrebbe dovuto proteggerlo che invece lo ha additato alla vendetta mafiosa. Chissà che qualcosa non cambi e che un bravo magistrato non decida di riaprire tutto».
Le note del silenzio hanno risuonato ieri in via Cavour davanti alla lapide che ricorda solo ora che fu eliminato «per mano mafiosa»: fino all’anno scorso, infatti, mancava proprio il riferimento alla mafia, inserito dall’amministrazione comunale solo l’anno scorso. «A 44 anni dal suo omicidio per mano mafiosa - ha detto il sindaco Roberto Lagalla - il giudice Gaetano Costa viene ricordato come uno dei primi magistrati che riuscì, seppur con mezzi limitati, a penetrare nei patrimoni delle famiglie mafiose, intuendone la pericolosa evoluzione. Ancora oggi il giudice Costa può essere considerato il precursore di un metodo che poi ha portato la magistratura e le forze dell’ordine, negli anni successivi, a fare passi concreti in avanti nel contrasto al potere della criminalità organizzata. Uomo e magistrato integerrimo, del quale non va dispersa l’eredità umana e professionale». Il presidente del Senato, Ignazio La Russa ha invece voluto sottolineare che «il 6 agosto è una data simbolo della brutalità mafiosa verso coloro che lottano per la giustizia: nel 1980, veniva assassinato il procuratore Gaetano Costa e, a distanza di cinque anni, furono il vice questore Antonino Cassarà e l’agente di polizia Roberto Antiochia a cadere per mano della criminalità organizzata. Coraggiosi servitori dello Stato che hanno operato in prima linea nella lotta antimafia. Il loro esempio deve ispirare l’impegno quotidiano di tutti contro la mafia».
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Cassarà introdusse un metodo all'epoca rivoluzionario, promuovendo maggiore collaborazione tra gli investigatori impegnati nella lotta alla mafia.
Il 6 agosto del 1985 caddero in viale Croce Rossa sotto le raffiche di kalashnikov di Cosa Nostra. A condannare il vicequestore Ninni Cassarà e il giovane agente di polizia Roberto Antiochia fu un commando di nove uomini che sparò circa duecento colpi in meno di dieci secondi. Un agguato preparato minuziosamente anche per vendetta dopo la misteriosa morte di Salvatore Marino - l’ex calciatore sospettato di avere partecipato all’omicidio del commissario Beppe Montana - morto durante l’interrogatorio in questura. Ieri Cassarà e Antiochia sono stati ricordati in piazza Giovanni Paolo II davanti alla stele a loro dedicata, alla presenza di Laura Iacovoni, vedova del vicequestore.
Cassarà introdusse un metodo all'epoca rivoluzionario, promuovendo maggiore collaborazione tra gli investigatori impegnati nella lotta alla mafia. «A lui in particolare - ha spiegato il questore Maurizio Calvino - è legata una svolta epocale nel modo di condurre le investigazioni che ha segnato profondamente, e ovviamente in senso positivo, una serie di punti a favore della lotta antimafia, i cui benefici ancora oggi sono fondamentali». Per l’assessore regionale della Famiglia, politiche sociali e lavoro, Nuccia Albano, che ha partecipato alla commemorazione «mantenere viva la memoria di questi eroi, trasmettendo alle nuove generazioni le loro storie, il valore della legalità e del coraggio civico è essenziale per onorarne il sacrificio e continuare a combattere ed essere sempre vigili nella lotta contro la mafia».
Il presidente della Commissione nazionale Antimafia, Chiara Colosimo, nel suo messaggio ha sottolineato che «Gaetano Costa, Ninni Cassarà e Roberto Antiochia sono esempi di coraggio, dedizione e senso del dovere, il loro ricordo non si deve mai affievolire e ci deve guidare sempre nel compiere ogni giorno il nostro dovere con lo stesso spirito che ha accompagnato questi nostri eroi». Gli ha fatto eco il presidente della Commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, evidenziando che «quei delitti sono avvenuti per il silenzio della società civile. Ecco perché è importante costruire una diga morale per impedire che la mafia possa tornare ad avere consenso nella nostra comunità».
Fa. G.
GdS, 7 Agostino 2024
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