venerdì, agosto 02, 2024

LA RICORRENZA. Bologna, 2 agosto 1980: il giorno della strage


Alle 10:25 alla stazione esplode la bomba che farà 85 morti e 200 feriti. Il più grave atto terroristico del dopoguerra, la storia processuale, le condanne

ILARIA ROMEO

Agosto. Il mese delle ferie e del tutto chiuso. Il mese del ritorno dei migranti italiani verso le loro radici. Il mese delle stragi. Quella del treno Italicus del 4 agosto 1974, della stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Alle 10 e 25 di quella calda e terribile giornata, nella sala d’aspetto di seconda classe di una stazione affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo contenuto in una valigia abbandonata viene fatto esplodere causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio.


Lo scoppio, violentissimo, provoca il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina, investendo anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.

È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra e nell’attentato rimangono uccise 85 persone (oltre 200 saranno i feriti). La più piccola tra le vittime è Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, sulle colline attorno a Firenze; il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione.


Uomini, donne, bambini, anziani provenienti da 50 diverse città. I morti stranieri saranno nove, 19 gli studenti, cinque gli insegnanti, 14 gli operai, 12 gli impiegati, sette i pensionati, 11 le casalinghe. 33 di loro hanno un’età compresa fra i 18 e i 30 anni, 7 fra i 3 e 14 anni.

Bologna reagisce con prontezza ed orgoglio trasformandosi in una gigantesca macchina di assistenza per le vittime e per i familiari. Simbolo della commossa partecipazione l’autobus n. 37, pronto soccorso improvvisato poi diventato carro funebre usato per trasportare i morti dalla stazione all’obitorio.


La sera del 2 agosto si ritrovano in piazza Maggiore circa 30mila persone. I sindacati indicono unitariamente per lunedì 4 agosto quattro ore di sciopero generale. Il 6 agosto è la giornata del funerale solenne.

Ai funerali (non tutti i parenti delle vittime accettano il funerale di Stato: solo sette sono le bare presenti nella chiesa di San Petronio) partecipano il presidente della Repubblica Sandro Pertini e il sindaco di Bologna Renato Zangheri, gli unici a ricevere gli applausi della folla. “Signori, non ho parole - dirà Pertini parlando con i giornalisti - siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.

Quel giorno comincia, di fatto, una delle più difficili indagini della storia giudiziaria. “Un altro viaggio tuttora incompiuto - scrive Benedetta Tobagi - che nonostante tutto - lento, tortuoso, irto d’ostacoli - prosegue verso la sua destinazione: quello della giustizia”.

La strage di Bologna, per molto tempo, è stata l’unica ad avere avuto gli esecutori materiali - Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro - condannati in via definitiva all’ergastolo. Nel 2007 è arrivata la condanna definitiva di Luigi Ciavardini, altro esponente dei Nar. Nel 2020 in primo grado e nel 2023 in appello è stato condannato all’ergastolo Gilberto Cavallini. Nel 2022 in primo grado e nel 2024 in appello la condanna all’ergastolo per Paolo Bellini, “l’ex Primula nera di Avanguardia Nazionale - riporta l’Ansa - il ladro di opere d’arte e killer di ‘ndrangheta legato ad Antonino Gioè e indagato per le stragi del ‘93 e l'attentato di Capaci”.

“Provate a chiudere gli occhi – scriveva nell’agosto del 2020 Ilaria Moroni – e a ricordare quella distruzione, quella devastazione, quei corpi, quel terrore, quell’odore disgustoso. Guardate le immagini di quel 2 agosto 1980, della stazione distrutta, di quell’orologio immobile. Pensate a quante vite interrotte in un istante, a chi è rimasto ferito quel giorno e per sempre, al dolore di chi ha perso un familiare, un amore, un amico, un conoscente”.

Angela aveva 3 anni. Era in stazione con la mamma e due sue amiche perché stava andando in vacanza sul lago di Garda. Antonella di anni ne aveva 19 ed aveva appena finito gli esami di maturità. Cesare ha 14 anni e sta leggendo un fumetto. Carlo ha deciso solo all’ultimo momento di prendere il treno per un guasto alla macchina. Eleonora aspetta con la sua mamma l’arrivo di una zia, Paolo ha appena ottenuto un impiego alla sede di Ozzano del Credito Romagnolo. In filiale non si presenterà mai.

Così come non torneranno mai a casa Verdiana, Loredana, Angelica, Giuseppe, Davide, Vito. E insieme a loro tante e tanti altri (“Dovevo essere alla stazione - racconterà lo stesso Guccini - Invece presi il treno il giorno prima. Perché rimasi senza voce. La sera, il primo agosto, avrei dovuto tenere un concerto a Imola, ma lo annullammo per l’acciacco. Così presi il treno per Pavana la mattina prima del 2”).

“Il tempo è diverso per i sopravvissuti - scriveva qualche anno fa Benedetta Tobagi, una donna che al terrorismo ha pagato, piccolissima, un prezzo altissimo - Il presente è sempre un dopo. Tu vivi ancora - lui, lei, loro no. Dopo nel fondo più oscuro, infiniti sensi di colpa. Colpa di esistere... Siamo testimoni. Siamo legati tra noi e dalla storia, dal nesso che connette ogni strage impunita agli omicidi brigatisti, ma ancor più dal mistero di una coincidenza che bussa insistente alla porta”.

“L’Italia è il Paese dei misteri - scrive ancora Tobagi -. I colpevoli delle stragi non sono mai stati trovati né sono mai stati puniti. Tutto viene insabbiato e non si riesce mai a trovare il bandolo della matassa per chiudere definitivamente la stagione dolorosa delle bombe, la cosiddetta ‘strategia della tensione’, e consegnarla alla storia. Ogni volta sembra di ricominciare da capo: piazza Fontana, piazza della Loggia e stazione di Bologna sono soltanto alcune delle tappe di una laica via crucis che non ha mai fine e su cui ogni anno emergono particolari, false piste, rivelazioni vere o false. Se però sbirciamo oltre il muro delle tante assoluzioni, le cose non stanno proprio così. Ormai le testimonianze e le carte ci permettono di ricostruire con precisione quanto è successo in quella fase storica. Se Pasolini, in un suo articolo molto famoso, scriveva «io so, ma non ho le prove», ora possiamo dire che sappiamo e abbiamo le prove, di molto, se non di tutto, e spesso possiamo pure fare nomi e cognomi di esecutori e mandanti”.

Collettiva.it, 2 agosto 2024

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