Giusi Parisi
Arte sociale nel senso pieno del termine. Come definire altrimenti l’opera del maestro Silvio Benedetto, l’ultimo dei grandi (anziani) muralisti? Siculo-argentino, nato a Buenos Aires, 86 anni all’anagrafe, molti meno se lo si vede in azione, in lui (ri)vive l’influsso spirituale del proletariato ovvero quella parte di società oggi praticamente scomparsa dalle cronache e dalla memoria collettiva.
A loro è dedicata Basta con gli incidenti sul lavoro! la sua ultima fatica, che si potrà visitare nella sede della Cgil, al civico 5 di via Giovanni Meli, dal 30 di questo mese fino al 15 ottobre. Inaugurazione non casuale, visto che il 30 agosto 1989, durante i lavori di ampliamento dello stadio - allora - della Favorita (oggi Barbera) in occasione dei mondiali di calcio di Italia ‘90, il crollo di uno dei tralicci che sostenevano la pensilina della tribuna, provocò la morte di cinque giovani operai: Antonino Cusimano, Serafino Tusa, Giovanni Carollo, Giuseppe Rosone e Gaetano Palmeri.
Trentacinque anni dopo, Benedetto commemora quella strage e i cinque lavoratori trasformandoli in cristi del terzo millennio in un’opera composita a forma di croce. Fra attrezzi del mestiere, primi piani di uomini e la trasfigurazione del Cristo di Andrea Mantegna, l’opera di Benedetto è un grido muto davanti alla misera condizione dei lavoratori. Ci dev’essere «un momento, anzi un istante che mai finisce - dice il maestro - in cui la nostra indignazione e le nostre idee non possono restare criptiche nelle nostre anime o confinate nelle discussioni da bar. L’artista è bene che sia il polso e la cassa di risonanza del tempo che vive tra femminicidi, incidenti sul lavoro o suicidi in carcere».
Tanto che Benedetto, pittore, scultore, autore, regista teatrale, nato da una famiglia d’arte in Argentina il 21 marzo, nel giorno dell’equinozio d’autunno, annuncia che proprio all’impressionante numero di suicidi in carcere dedicherà i suoi prossimi lavori. «I miei nonni arrivarono in Argentina da Avola a fine ‘800 e hanno sofferto per non essere più tornati nella loro terra. Così, ormai da molti anni, io e mia moglie Silvia Lotti abbiamo scelto la Sicilia come punto definitivo. Nel mio Dna la pampa argentina si fonde con il Mediterraneo, la lotta contro le ingiustizie ai nuovi orizzonti da raggiungere». Ma in Benedetto c’è anche un po’ di Messico, dove ha soggiornato (e combattuto usando l’arte come strumento di attivismo politico, al fianco di David Alfaro Siqueiros) negli anni ‘60. L’amore per quella terra è nell’anello azteco che indossa da mezzo secolo e da cui non si stacca, «l’ho composto con i pezzetti di reperti che alcuni carusi che lavoravano nei siti archeologici mi regalarono».
«Pensiamo sia necessario - dice Mario Ridulfo, segretario generale Cgil - accompagnare al nostro lavoro quotidiano di denuncia, prevenzione e formazione per la salute e la sicurezza sul lavoro anche la costruzione di una presa di coscienza collettiva. E la forza comunicativa dell’arte può contribuire a questo scopo. E il maestro Silvio benedetto è un artista che, nelle sue opere, mette al centro la persona. Come noi che, nel nostro impegno professionale, mettiamo la persona, la sua umanità e i suoi diritti». (*GIUP*)
GdS, 7 agosto 2024
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