Premiato con il Nastro d’Argento Speciale. È pronto a tornare a Venezia da giurato: «Vado con curiosità e divertimento»
Antonella Filippi
Taormina - È un Tornatore in vena di raccontarsi e di proporre aneddoti che hanno costellato la sua carriera quello che ha chiuso la settantesima edizione del Taormina Film Festival dialogando con la regista Costanza Quatriglio, dopo aver ricevuto il Nastro d’Argento Speciale e dopo la proiezione del suo documentario del 1982 «Diario di Guttuso». Scorrono le immagini di Villa Palagonia, luogo molto caro a Guttuso, spezzoni di vecchi programmi della Rai, s’inseguono i colori dei suoi quadri; si ripercorrono i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza del maestro dall’eterna sigaretta accesa, fino alla Vucciria, a quei tempi ancora popolata e colorata.
Uno spaccato di vita: «Non lo rivedevo da almeno quarant’anni», commenta Tornatore. «Mi ha fatto un certo effetto. Ci ho ritrovato tutti i difetti dovuti all’irruenza della passione giovanile. Ho avuto il grande privilegio di fare in tempo a vivere un clima culturale che forse non conosceremo mai: Guttuso che con Picasso aveva un rapporto fertile, uno scambio di creatività. E sempre lui che dialoga con Buttitta, Sciascia, Vittorini, Carlo Levi. Era un’epoca in cui la tessitura di figure straordinarie ha determinato una immensa attività creativa».
Esagerato dire che la carriera del futuro premio Oscar iniziò con la benedizione del pittore? Assolutamente no. Sentite: «Bagheria era allora un “villaggione” di cui Guttuso era il volto, la forza, il riscatto culturale. Un giorno mi accorsi che mio padre lo salutava con una certa confidenza. Gli chiesi di presentarmelo e, quando ciò accadde, lui mi chiese cosa avrei voluto fare nella vita. Gli risposi che il cinema era la mia passione. Mi invitò a casa sua e io andai con la mia 500 e il mio proiettore per mostrargli il primissimo documentario. Scrisse quella che fu la prima recensione di un mio lavoro, poi pubblicata sul giornale L’Ora. Da lì mi chiamò la Rai regionale e iniziai a collaborare».
Rubando i cavalletti… «È vero. All’epoca Rai Sicilia per i servizi esterni prevedeva un cameraman e un fonico e tutti i programmi erano girati con la camera a spalla, niente macchina fissa – come piaceva a me - nonostante in magazzino ci fossero cavalletti bellissimi e mai usati: usarli non rientrava nei compiti della troupe. Ne chiesi uno da adoperare durante i tre giorni che occorsero per girare il docu su Guttuso: la risposta fu negativa. Ma il custode, da buon palermitano, si allontanò e mi lasciò prendere il cavalletto. Quando, però, dovemmo spostarci in macchina con Guttuso, ero in imbarazzo a farmi vedere con il cavalletto in spalla: lavoravo per diventare regista, io... Pregai, allora, il cameraman di togliermi dall’imbarazzo. Guttuso si avvicinò e mi disse: “Sai perché sono un bravo pittore? Perché se mi danno da verniciare una porta la faccio meglio di chiunque altro”».
Il «Diario» fu realizzato per i 70 anni del maestro: «Quando gli chiesi che significato avesse avere quell’età, mi rispose: “Vuol dire avere meno tempo”. Oggi che io ho 68 anni, quella frase mi colpisce ancora di più: in un’epoca in cui il tempo è più sfuggente, hai la sensazione che ce ne sia sempre meno. Mi sento a cavallo tra due secoli: ho respirato il profumo di quell’epoca e il profumo di questa, per non usare un altro termine... Tra i due periodi, però, si è costruita una spaccatura, soprattutto nel ruolo che l’intellettuale riveste nei confronti della società e della politica. Ai tempi di Guttuso era normalissimo che l’atto creativo fosse in se stesso politico. Oggi fare politica significa sapere con chi ti schieri stasera guardando in tv i personaggi che sfilano, consapevole che domani sera ti schiererai con qualcun altro. Sia Guttuso che Rosi scindevano la verità dalla realtà, concetti che adesso si confondono».
Ammette di perseverare nell’errore, se tiene a un progetto: «Ho scoperto di essere infedele e anche traditore: amo una storia e, contemporaneamente, do lo stesso amore a un’altra. Ma nessuno riesce a convincermi ad abbandonare un progetto se ne riconosco le potenzialità».
Sarà giurato alla prossima Mostra del Cinema di Venezia: «Vado con curiosità e divertimento. Da ragazzo per me era normale vedere anche tre film al giorno, e la possibilità di farlo adesso mi fa sentire come un bambino che si ritrova in un luna park». Si capisce che preferisce di gran lunga parlare di passato. Sui progetti passa veloce: «Ancora due giorni di riprese per ultimare un documentario. Invece niente serie su “Nuovo Cinema Paradiso”: per fortuna, si è arenata. Ci sono schemi da rispettare e i custodi di questi schemi sono convinti di possedere il segreto del successo. Impossibile. A metà del prossimo anno, inizierò a girare un nuovo film. Non vi dico altro. Non per snobismo ma per scaramanzia». (*anfi*)
GdS, 21 luglio 2024
Nessun commento:
Posta un commento