di PAOLO BONACINI
DIA e UIF hanno pubblicano i rapporti semestrali e il rapporto annuale 2023 molto dettagliati, attraverso i quali è possibile comprendere l’evoluzione nel tempo e nello spazio dei due fenomeni collegati: attività mafiose e riciclaggio del denaro sporco.
La DIA (Direzione Investigativa Antimafia) è la struttura interforze della Pubblica Sicurezza, operante da più di trent’anni, che studia e contrasta il fenomeno mafioso in Italia e, attraverso relazioni internazionali, negli altri Paesi in cui le nostre cosche sono attive.
L’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) è l’autorità antiriciclaggio istituita nel 2008 all’interno della Banca d’Italia, specializzata nell’analisi del sistema economico-finanziario, che raccoglie ed elabora dati e segnalazioni su possibili operazioni di riciclaggio del denaro e di finanziamento al terrorismo.
Due facce, la prima investigativa e la seconda amministrativa, della stessa medaglia: il contrasto all’economia illegale e al preponderante ruolo che le organizzazioni criminali di stampo mafioso rivestono in questo mercato nero.
DIA e UIF pubblicano rapporti semestrali e annuali molto dettagliati, attraverso i quali è possibile comprendere l’evoluzione nel tempo e nello spazio dei due fenomeni collegati: attività mafiose e riciclaggio del denaro sporco. Gli ultimi di questi rapporti, divulgati recentemente e relativi al 2023, ci aiutano a capire cosa succede in Emilia-Romagna, regione nella quale entrambi i fenomeni, almeno da una decina di anni, fanno suonare campanelli da “allarme rosso”.
Il rapporto della DIA lo dice chiaramente nelle sue premesse: “La minaccia mafiosa oggi è riferita soprattutto ai profili di rischio connessi alla capacità della criminalità organizzata di infiltrare i settori economico, finanziario, degli appalti e della pubblica amministrazione”.
Nelle ricche regioni del nord questi settori generano grandi volumi di denaro. Nel 2022 Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto hanno sfiorato assieme i mille miliardi di euro di prodotto interno lordo, pari al 42% dell’intero PIL nazionale. Paradossalmente a “farsi belli” col fatturato aiutano anche i proventi delle attività criminali, visto che da dieci anni a questa parte in tutta Europa nel calcolo del PIL nazionale figurano i ricavi dell’economia illecita, in particolare prostituzione, traffico di stupefacenti e contrabbando. Scriveva Confindustria nell’aprile scorso: “La crescita italiana sorprende in positivo”. Poi magari si scopre che quel +0,9% è tutto frutto dell’enorme volume di coca e marijuana commerciata in Europa dalla cosca calabrese dei Romeo insediata in Emilia.
Il rischio nella nostra regione è naturalmente massimo, grazie anche alla evoluzione delle organizzazioni mafiose che, aggiunge l’ultimo rapporto della DIA, si presentano “come organismi che dispensano servizi e opportunità di guadagni. In una parola: benessere sociale”. Un benessere però illusorio e di breve durata, che non ha la natura di “diritto del cittadino” ma è brutalmente “elargizione da parte di una entità sovrastante (la cosca appunto) alla quale è necessario corrispondere se non obbedienza, certamente condiscendenza.” Il pericolo maggiore, sempre secondo la DIA, è “l’attrazione fisiologica avvertita da quella parte del mondo imprenditoriale di piccoli-medi titolari di azienda…” che cedono al “…richiamo esercitato dalla grande disponibilità monetaria, elargita con apparente facilità.”
Il Procuratore Nazionale Giovanni Melillo parla di “straordinaria forza silenziosa dell’espansione delle reti di imprese che sono progressivamente attratte dal crimine organizzato” e mette in guardia sul fatto che “le relazioni con il mercato cambiano anche i gruppi mafiosi, che debbono scegliere modelli più flessibili della rigida struttura originaria, più protetti dai rischi di repressione giudiziaria, più capaci di moltiplicare gli schemi di collaborazione per entrare nel settore dei servizi finanziari, associativi, di mediazione del mercato del lavoro, di consulenza, di logistica e distribuzione commerciale.”
Tutti concetti che trovano purtroppo conferme nelle tante inchieste del post Aemilia in regione. La recentissima condanna di Francesco Grande Aracri nell’appello del processo Grimilde a 24 anni (pena inasprita) lo dimostra, con il fratello del boss Nicolino, aveva detto il Pubblico Ministero della Direzione Antimafia Beatrice Ronchi in requisitoria, che “ha modellato la ‘ndrangheta” a Reggio Emilia “in forme che potessero proliferare” decidendo che “le dimostrazioni più brutali fossero messe da parte”. Questa “anima imprenditoriale” non impedisce comunque alla criminalità organizzata di lucrare, sfruttare e praticare violenza anche nello spaccio e nel commercio internazionale di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione, nelle nuove forme di schiavismo praticate attraverso la somministrazione di mano d’opera in svariati settori produttivi. E per farla completa il rapporto della DIA ricorda che negli ultimi anni in Emilia-Romagna non è operativa solamente la ‘ndrangheta di origine crotonese. Ad essa si affiancano potenti cosche della provincia di Reggio Calabria, ma anche Casalesi e altri esponenti della Camorra e delle famiglie siciliane oltre alle mafie straniere, in particolare di origine albanese e nigeriana.
I dati forniti dall’UIF nel rapporto annuale diffuso in giugno aiutano poi a incrociare queste indicazioni con l’andamento in regione dei flussi di denaro contante e delle operazioni finanziarie sospette. In Italia le segnalazioni del 2023 trasferite agli organi investigativi sono state poco più di 150mila, in leggero calo sul 2022 ma un terzo in più di cinque anni prima. Il volume complessivo dei movimenti finanziari supera i 103 miliardi di euro ai quali si possono aggiungere 27 miliardi per transazioni in oro. Banche, poste, intermediari e operatori finanziari sono i soggetti che generano la stragrande maggioranza di queste comunicazioni (126mila pari all’84% del totale) mentre lascia stupiti il basso numero di segnalazioni (414 in tutta Italia) arrivate dalle Pubbliche Amministrazioni, sebbene appalti pilotati, corruzione e concussione con movimenti finanziari non tracciabili siano spesso oggetto di cronaca. Se comunque vogliamo essere ottimisti, questo dato segnala una percentuale più che raddoppiata rispetto al 2022, quando gli Enti Pubblici si erano fermati a 179 casi trasferiti all’UIF: quasi una nullità.
L’Emilia-Romagna è la quinta regione italiana per numero assoluto di segnalazioni (9.834); la prima per incremento percentuale sul 2022 (+3,8%) e la prima anche per media di denunce ogni 100mila abitanti, con otto province su nove (esclusa la sola Piacenza) nel gradino più elevato della graduatoria. Nel merito delle operazioni sospette segnalate, in forte aumento (+88,1%) sono gli SOS che riguardano movimenti finanziari on line.
Il rapporto indica la centralità e la rilevanza di alcune aree di rischio: illeciti fiscali, abuso e distorto utilizzo di fondi pubblici, corruzione, riciclaggio operato della criminalità organizzata, strumenti illeciti di Fin Tech finalizzati a ostacolare la tracciabilità dei flussi finanziari. L’evasione fiscale resta uno degli obbiettivi primari evidenziati dalle operazioni sospette e le “truffe carosello” rese note dal processo “Aemilia”, con la falsa compravendita di beni tra paesi della Comunità Europea, uno strumento a tal fine ancora molto gettonato.
Le cartine del rapporto UIF 2023 che evidenziano l’uso dei contanti nelle diverse province ci dicono infine che l’Emilia-Romagna è la regione italiana in cui probabilmente il ricorso al contante è minimo. Ma è anche quella in cui le anomalie sull’uso delle banconote spingono l’Unità Finanziaria ad attribuire i livelli di rischio “medio-alto” e “alto” a tutte le province, da Piacenza al mare.
Paolo Bonacini
22 Luglio 2024
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