Non vedevo Ignazio Gaudiano da tanti anni. Il figlio Gianvito, un caro amico e compagno di Bisacquino, qualche settimana fa, mi disse che suo padre - 96 anni - sarebbe stato contento di incontrarmi.
Ignazio, negli anni ‘60 e ‘70 è stato segretario della sezione PCI di Bisacquino e consigliere comunale, insieme a Giacomo Tamburello. Abbiamo concordato che sarei passato da Bisacquino ieri pomeriggio e, insieme, siamo andati da suo padre. Con me c’era mia figlia Irene, a cui volevo far conoscere questa persona semplice e straordinaria.
Lo confesso, quando l’ho abbracciato, mi sono commosso. E forse si è commosso pure lui, perché aveva gli occhi lucidi.
Abbiamo ricordato i vecchi tempi, quando facevo “il rivoluzionario di professione”, quando ero responsabile di zona del PCI per la zona del corleonese (anni 1976-77-78). Ignazio era segretario della sezione. Allora andavo a trovarlo spesso a casa, accanto all’orto dove lavorava a tempo pieno, mantenendo così la sua famiglia. L’andavo a trovare circa una volta al mese per avere notizie dei problemi del suo paese e comunicare le iniziative che il partito intendeva portare avanti. Era un partito organizzato il PCI, con collegamenti fitti e costanti tra il centro e la periferia. Nel periodico “giro di zona” andavo a trovare anche Nenè Leto a Campofiorito (spesso incontravo anche Peppe Oddo, nonno dell’attuale sindaco, che portava con sé il nipotino ancora con i pantaloni corti); incontravo Leonardo Gendusa a Chiusa Sclafani; i compagni Peppe Altamore e Vincenzo Principato a Giuliana; Totò Ciaccio a Roccamena; Piddu Leone a Prizzi (incontravo anche Tano Canzoneri, socialista, segretario della Camera del lavoro); a Palazzo Adriano vedevo il compagno Riggio (e il segretario della Camera del lavoro), a Contessa Entellina il compagno Peppe Raviotta prima e Filippo Bartolotta dopo.
“Sono diventato comunista - mi diceva con molta semplicità Ignazio - perché vedevo che nella società c’erano poche persone molto ricche e tante persone molto povere, che non sapevano come fare per tirare avanti. Il nostro partito si batteva per la giustizia sociale, per questo era seguito da milioni di lavoratori”.
L’argomento usato da Ignazio mi ricordava quello che mi raccontava il prof. Francesco Renda. “I contadini diceva il professore - non conoscevano i testi del marxismo, seguivano il partito perché lo percepivano vicino a loro, a sostegno dei loro bisogni e delle loro lotte”.
“Un giorno, negli anni ‘70 - ci ha rivelato Ignazio - il decano di Bisacquino, il segretario della Democrazia Cristiana e mio cognato, vollero parlare con me e con Giacomo Tamburello. Prima ci hanno blandito, dicendo che apprezzavano molto la nostra correttezza morale, la passione con cui aiutavamo i lavoratori e le persone più bisognose. Poi ci dissero che se lasciavamo il Pci potevano darci una sistemazione”.
E voi cosa avete risposto?
“Grazie per le parole di stima nei nostri riguardi - fu la risposta - ma noi non abbiamo nessuna intenzione di lasciare il nostro partito”.
Un messaggio di orgogliosa dignità senza tempo, da apprezzare anche in questo nostro tempo in cui sembra che tutto abbia un prezzo, spesso di svendita. E niente ha valore.
Dino Paternostro
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