martedì, luglio 23, 2024

La privatizzazione dei beni confiscati. Una lettera delle associazioni antimafia ai ministeri dell’Agricoltura e dell’Interno: no alla cessione delle terre “liberate” ai privati


ROBERTA LISI

Il primo a sostenere che bisognasse colpire la criminalità organizzata dove fa più male, i soldi e i beni, fu Pio La Torre. Giovanni Falcone su incarico di Rocco Chinnici, l’ideatore del pool antimafia, insieme a Paolo Borsellino seguì il flusso di denaro tra Palermo e gli Usa e così riuscì a istruire il maxi processo. A inizio anni ‘90 del Novecento Libera insieme a molte altre associazioni raccolse oltre un milione di firme, ne sarebbero state sufficienti 50.000, in calce a una legge di iniziativa popolare per il riuso a fini sociali dei beni confiscati per dimostrare la convenienza della legalità.

Quel testo divenne legge, uno dei pilastri del Codice antimafia e dal ‘96 a oggi moltissimi beni sono tornati alla collettività incarnando il senso della legalità. Qualche esempio? Dalle terre sottratte ai casalesi, oggi terre di Don Diana, affidate a cooperative sociali che hanno dato vita al primo esperimento di economia circolare e funziona. A quelle in provincia di Palermo che tolte a Totò Riina e ai suoi compari corleonesi oggi, grazie al lavoro di giovani cooperanti producono vino olio e altri prodotti con il marchio Placido Rizzotto, e a lungo potremmo continuare.

L’ACCORDO

Ebbene, il governo Meloni, con un accordo siglato tra ministero dell’Agricoltura e quello dell’Interno ha deciso di affittare a privati le terre nella disponibilità dell’Agenzia dei beni confiscati e sequestrati. Davvero il contrario di ciò che pensavano La Torre, Falcone, Borsellino e i tanti che nel corso di questi quasi trent’anni hanno lavorato per far fruttificare legalità in quei terreni.


UNA LETTERA PER DIRE NO

E allora Cgil, LiberaLegambienteArciForum del terzo SettoreAvviso PubblicoLegacoophanno preso carta e penna: “Le scriventi associazioni nazionali ritengono che vada evitato il rischio che l’assegnazione, prevista dal suddetto accordo, possa rappresentare il volano di un nuovo corso verso la privatizzazione di un patrimonio pubblico di ampia portata simbolica oltre che economica, che rappresenterebbe anche l’allontanamento dagli indirizzi della legge 109/96 e dell’articolo 48 del Codice antimafia chiaramente indirizzati al riuso sociale dei beni attraverso progetti a carattere collettivo”.

LE DIFFICOLTÀ DEL RIUSO SOCIALE DEI BENI

Sanno bene quelle associazioni della difficoltà che si incontra nell’assegnare beni e terre confiscate: spesso gli investimenti iniziali che occorre per renderli di nuovo produttivi sono quasi insostenibili, e conoscono l’ingente patrimonio fondiario non assegnato, ma questo non ne giustifica la privatizzazione.

PERCHÉ L’ACCORDO NON VA

Ma i firmatari della missiva non si sottraggono allo sforzo e alla responsabilità di proporre alternative alla privatizzazione. Partendo da alcune premesse. Innanzitutto che sarebbe stato utile e – aggiungiamo noi – forse doveroso prima di decidere ascoltare i suggerimenti di quanti da anni si occupano proprio di far rivivere i beni. Ma si sa, questo governo l’idea del confronto con i soggetti sociali e della partecipazione proprio non ce l’ha e non vuole in alcun modo praticarla. La seconda premessa è che è proprio la scelta alla base dell’ccordo che non va, hanno deciso infatti che i terreni possono essere affittati solo: “A soggetti economici totalmente privati e profit, senza prevedere il coinvolgimento dei Comuni, del Terzo settore, della cooperazione e del sindacato, che potrebbero svolgere un ruolo di promozione, affiancamento e coinvolgimento delle comunità locali rappresentato dalle buone pratiche di economia sociale”. In questo modo si tradisce lo spirito della legge del ‘96 sul riuso sociale dei beni confiscati.

LA PROPOSTA

Innanzitutto bisogna parlarsi: allora sarebbe opportuno creare un Tavolo di lavoro permanente tra Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, ministero dell’Agricoltura e i rappresentanti del Terzo settore e delle associazioni firmatarie della lettera “per ridurre al minimo le possibilità di non riuso di un terreno agricolo”. E poi ecco alcuni suggerimenti di correzioni all’Accordo: “contenga le indicazioni su un partenariato fra soggetto privato profit e soggetti sociale per garantire un accompagnamento costante rispetto alla implementazione, non solo di un progetto sociale, ma di percorsi di integrazione e reinserimento lavorativo di categorie vulnerabili, nonché allo sviluppo di filiere etiche di produzione e commercializzazione dei prodotti; i progetti di imprenditoria agricola vengano realizzati nel rispetto di vincoli per coltivazioni sostenibili sotto il profilo ambientale e sociale oltre che economico”.

Poi il lavoro, scrivono le associazioni: “Alle lavoratrici e lavoratori venga garantita la corretta applicazione dei contratti nazionali definiti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le norme di tutela della salute e sicurezza, prevedendo altresì espresso divieto del subappalto nella filiera agricola”. Infine: “Che vengano indicate con maggiore dettaglio le penalità e sanzioni previste in caso di mancato adempimento di quanto previsto negli accordi, fino alla esclusione, in caso di gravi inadempienze”.

La lettera è partita, i toni sono gentili e propositivi, arriverà risposta?

Collettiva.it, 23 luglio 2024 

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IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA

Il primo di luglio del 2024 è stato firmato un Accordo Istituzionale tra ANBSC e MASAF che prevede la pubblicazione di bandi pubblici finalizzati alla assegnazione dei terreni agricoli confiscati e non optati a giovani agricoltori, verso la corresponsione di un canone agevolato.

Siamo consapevoli che sul territorio nazionale insiste un ingente patrimonio fondiario proveniente da procedure di confisca e non assegnato e, pur consapevoli che spesso la mancata manifestazione di interesse verso i beni messi a bando è stata legata ad una oggettiva difficoltà di accesso agli stessi beni ed ai dati indispensabili alla progettualità finalizzata al loro riuso, riteniamo comunque opportuno un intervento finalizzato ad accrescere la possibilità del riuso per evitare che, oltre a trasmettere un messaggio simbolico del tutto controproducente, il bene non utilizzato rappresenti un mancato investimento economico e sociale, con danni ingenti anche alla tutela dell’ambiente.

Si condivide, quindi, l’esigenza di arginare il processo di riorganizzazione che da anni sta subendo il settore agricolo, a danni delle piccole medie aziende che vengono espulse dal mercato, lasciando interi territori dell’area interna all’abbandono.

Ciò premesso, le scriventi associazioni nazionali ritengono che vada evitato il rischio che l’assegnazione prevista dal suddetto Accordo, possa rappresentare il volano di un nuovo corso verso la privatizzazione di un patrimonio pubblico di ampia portata simbolica, oltre che economica, che rappresenterebbe anche l’allontanamento dagli indirizzi della legge 109/96 e dell’articolo 48 del codice antimafia chiaramente indirizzati al riuso sociale dei beni attraverso progetti a carattere collettivo.

Data la delicatezza ed importanza degli interventi previsti, sarebbe stato opportuno ascoltare i suggerimenti avanzati dalle realtà nazionali interessate, che da anni dedicano risorse e impegno su tali rilevantissime questioni, in collaborazione con gli Enti e le Istituzioni territoriali e la stessa ANBSC

Il testo, così come presentato, apre la possibilità di affitto dei terreni solo a imprese agricole giovanili, soggetti economici totalmente privati e profit, senza prevedere il coinvolgimento dei Comuni, del Terzo Settore, della cooperazione e del sindacato, che potrebbero svolgere un ruolo di promozione, affiancamento e coinvolgimento delle comunità locali rappresentato dalle buone pratiche di economia sociale. Sarebbe viceversa , utile valorizzare le esperienze svolte in 29 anni di riuso sociale, che sono state in grado di aprire la strada a modelli di sviluppo alternativo e nuove forme di economia civile, anche con il coinvolgimento di altre tipologie di imprese in filiere produttive improntate ai valori etici, di legalità e giustizia sociale e ambientale.

Occorre, infatti, riaffermare il senso profondo del riuso sociale dei beni confiscati, che ha animato la legge 109\96 e, di conseguenza, tutta la codificazione in materia di riutilizzo dei beni confiscati.

Allo stesso tempo riteniamo che si possa intervenire per arginare la mancata assegnazione dei terreni a realtà non profit, creando una rete che aiuti il soggetto gestore a farsene carico, anche coinvolgendo attivamente realtà private: in questo caso, la portata sociale di progetto presentato da un soggetto del terzo settore potrebbe integrarsi con le caratteristiche tipiche di una realtà profit. Con questa previsione si salvaguarderebbe l’economia dell’intero territorio e il completo riuso dei terreni confiscati.

A tal riguardo e al fine di limitare il più possibile conseguenze pregiudizievoli del buon esito della procedura, riteniamo che vadano inserite esplicite previsioni delle caratteristiche che dovranno possedere le imprese private interessate ad essere coinvolte nei percorsi di riutilizzo dei beni. In particolare, occorre che i progetti di imprenditoria agricola vengano realizzati nel rispetto di vincoli per coltivazioni sostenibili sotto il profilo ambientale e sociale oltre che economico.

Nella consapevolezza che lo spirito del provvedimento che emerge con chiarezza sia quello di evitare che terreni già portati alla destinazione degli enti pubblici e del terzo settore e non optati vengano abbandonati all’incuria. 

Nello specifico proponiamo di intervenire affinché:

a. l’accordo contenga le indicazioni su un partenariato fra soggetto privato profit e soggetto sociale (come già succede in molti altri campi), per garantire un accompagnamento costante rispetto alla implementazione, non solo di un progetto sociale, ma di percorsi di integrazione e reinserimento lavorativo di categorie vulnerabili, nonchè allo sviluppo di filiere etiche di produzione e commercializzazione dei prodotti;

b. sostenibili sotto il profilo ambientale e sociale oltre che economico.

c. Che alle lavoratrici e lavoratori, venga garantita, la corretta applicazione dei contratti nazionali definiti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le norme di tutela della salute e sicurezza, prevedendo altresì alcuni emendamenti volti ad agire in coerenza e salvaguardia dell’esperienza maturata in materia di riutilizzo di beni immobili confiscati.

  I progetti di imprenditoria agricola vengano realizzati nel rispetto di vincoli per

coltivazioni; espresso divieto del subappalto nella filiera agricola. 

d. Che vengano indicate con maggior dettaglio le penalità e sanzioni previste in caso di mancato adempimento di quanto previsto negli accordi. 

Chiediamo quindi di avviare una interlocuzione finalizzata a valutare la possibilità di creare un tavolo di lavoro permanente tra ANBSC, MASAF con i rappresentanti del terzo settore e con le scriventi associazioni, per ridurre al minimo le possibilità di non riuso di un terreno agricolo.

Certi di ascolto e con l’obiettivo di ricercare le migliori soluzioni possibili alle questioni che evidenziamo rimaniamo in attesa di riscontro.

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