di GIUSEPPE LUMIA
Mi capita spesso di dialogare con Silvia. Silvia è una donna intelligente, piena di curiosità, non credente ma aperta alle domande più radicali che la vita ti pone e, recentemente, molto interessata a comprendere la dimensione religiosa sul pensare e dire Dio dentro i duri travagli del nostro tempo.
Cara Silvia, da mesi mi stimoli a focalizzare il rapporto attuale tra Dio e la politica. Sì, è vero, il dibattito politico, dispiace dirlo, è scaduto e di molto e sta ormai raggiungendo livelli insopportabili di cattiveria, violenza e miseria culturale.
Abbiamo condiviso anche l’evidente rigurgito del continuo richiamo strumentale a Dio nella politica, non solo nei Paesi a forte impronta islamica ma pure da noi, in Occidente. La sintesi è presto fatta: più si è populisti, più si è di destra, più si è sovranisti, più si utilizza il buon Dio per legittimare la propria scalata elettorale e la propria leadership.
Cara Silvia, purtroppo non è una novità nella storia. Eppure fa sempre specie constatare che succeda oltre modo nelle società laiche, europee ed occidentali.
Trump ad esempio cerca di fare incetta di consensi proprio con il riferimento al suo rapporto con Dio, soprattutto dopo aver subito l’attentato. Ma non mancano altri e diffusi esempi sparsi in Europa o nel nostro Paese.
Il dato ricorrente nella storia è che, quando la politica è a corto di visione, progettualità e di capacità di governo, miete elevati consensi elettorali proclamando addirittura che Dio è dalla sua parte.
Ora, Silvia, c’è anche una spiacevole novità, perché stiamo passando dal comunque orribile, tragico e spregevole “Gott mit uns”, cioè “Dio è con noi”, utilizzato perfino dai nazisti, al più ignobile ancora “Dio è con me”! Questa ulteriore degenerazione discende dalla deriva che sta destrutturando da tempo il pensiero politico moderno, con il prevalere dell’ossimoro del “Partito Io”, che coincide con la leadership diffusa dell’Io-comunicativo, ossessionato dalla proiezione diretta e autoreferenziale della propria immagine sui cittadini.
Tra l’altro, il richiamo a Dio viene paradossalmente usato proprio da quei personaggi politici che hanno una vita privata per niente ispirata ai principi religiosi e con un profilo pubblico aggressivo, violento e autoritario.
Per restare alla campagna elettorale statunitense, Trump sta sostenendo che Dio lo avrebbe preservato dall’attentato per affidargli la missione di salvare l’America. Eppure al tempo stesso ha annunciato una “deportazione di portata storica” a danno di quelli che sono stati individuati come il male dei mali, gli immigrati, oggi tra i più diseredati e maltrattati della Terra.
È così, Silvia: c’è molto da riflettere e da ripensare soprattutto sul piano culturale ed educativo, se vogliamo evitare quelle derive che la storia tragicamente già ci ha consegnato e soprattutto se vogliamo attrezzare una progettualità politica all’altezza delle drammatiche sfide che abbiamo di fronte. Pensiamo in particolare al ritorno devastante dell’uso delle guerre come strumento di risoluzione dei conflitti, al galoppante e innegabile cambiamento climatico, al dilagare delle disuguaglianze di reddito, di genere, generazionali e territoriali, all’incapacità di regolare la finanziarizzazione dell’economia e l’uso dell’intelligenza artificiale, al diffondersi delle dipendenze a tutti i livelli di età e di condizione sociale, al primeggiare in diverse realtà delle mafie.
Cara Silvia, in effetti il Dio del Vecchio Testamento si presta meglio ad un certo uso strumentale e violento: è un Dio che irrompe nella storia spesso con un piglio deciso, sferzante e severo, ma a ben vedere è anche un Dio che raccoglie il grido di dolore e si affida al cammino di liberazione dell’umanità. Basti pensare al Libro dell’Esodo, alla ricerca della Terra Promessa del Popolo Ebraico dopo la pesante e lunga schiavitù sotto il dominio dei Faraoni egiziani. Proprio recentemente ho ripreso tra le mani un libro della mia formazione giovanile che aiuta molto a comprendere il significato dell’Esodo nel rapporto con la politica: si tratta di “Esodo e Rivoluzione” del famoso e tuttora brillante filosofo e politologo americano Michael Walzer.
Il Dio del Nuovo Testamento poi fa un salto di qualità ulteriore: ama così immensamente l’umanità e la Terra in cui vive da inviare il Figlio, Gesù Cristo e Signore, a condividere ansie e speranze delle donne e degli uomini e a tracciare insieme un inedito e profondo percorso di pace, fraternità e giustizia. È illuminante il riferimento al passo delle Beatitudini, dove si comprende bene come Dio intenda camminare insieme a noi: “beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli; beati gli afflitti, perché saranno consolati; beati i miti, perché erediteranno la Terra; beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati; beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia; beati i puri di cuore, perché vedranno Dio; beati quelli che fanno cordoglio, perché essi saranno consolati…”
Di recente ho ripreso a leggere gli scritti di don Tonino Bello, un vescovo che è stato un credibile costruttore di pace e fratellanza. Sulle Beatitudini, in particolare, mi ha arricchito un testo che considero ricco e stimolante, “Le beatitudini secondo don Tonino Bello: gustare le gioie genuinamente umane”, di Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca.
Cara Silvia, non dobbiamo giungere alla scelta che il Dio vada tenuto lontano dai travagli anche politici dell’umanità di oggi, perché inevitabilmente si rischia di fare del male al prossimo e alla laicità dello Stato e della stessa politica. Semmai, va tenuta lontana la presuntuosa e pericolosa convinzione che “Dio è con me”.
La laicità della politica e dello Stato rimane, con tutte le innovazioni necessarie, una risorsa di convivenza e di libertà e, al contempo, di responsabilità e di condivisione, perché il buon Dio che irrompe nella storia ispira amore, pace, giustizia, fratellanza, salvaguardia del creato, liberazione dai mali interiori e sociali. Il resto è niente…
28 luglio 2024
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