Palermo 20 giugno 2024 – Sabato 22 giugno la Cgil ricorda la strage di Partinico in cui 77 anni fa morirono Giuseppe Casarrubea e Francesco Lo Iacono. La commemorazione si terrà alle ore 10, in Corso dei Mille, 321, sul luogo dell’eccidio. Interverranno: Tanino La Corte, segretario della Cgil di Partinico, Dino Paternostro, responsabile dipartimento Archivio e memoria storica Cgil Palermo, Pietro Rao, sindaco del comune di Partinico, Erasmo Briganò, presidente del consiglio comunale, e Enza Pisa, segretaria generale Flai Cgil Palermo.
I due dirigenti sindacali furono colpiti a morte durante l’assalto alla Camera del Lavoro, il 22 giugno del 1947. Casarrubea morì sul colpo. Lo Iacono, ferito con trenta colpi di arma da fuoco, morì dopo sei giorni in ospedale. “A Partinico quella sera di giugno persero la vita due nostri dirigenti nel fiore degli anni e rimasero feriti Leonardo Addamo, Salvatore Patti e Giuseppe Salvia, che solo per caso non persero la vita – dichiara Dino Paternostro – Pur di fermare il movimento sindacale, i contadini e la sinistra, la banda Giuliano, i mafiosi e le destre reazionarie non esitarono a consumare una terribile strage. Casarrubea e Lo Iacono saranno ricordati come espressione delle lotte per il lavoro, i diritti e la democrazia e nel loro nome, e nel nome degli altri martiri, continuiamo la lotta per una Sicilia migliore. Invece i mafiosi e i loro complici resteranno inchiodati per sempre alle loro gravissime responsabilità”.
“L’assalto alla Camera del Lavoro era stato preceduto, l’8 maggio del 1947, dall’assassinio, sempre a Partinico, di Michelangelo Salvia, militante comunista, per impedirgli di testimoniare sulla strage di Portella – ricorda il segretario della Camera del Lavoro Tanino La Corte – Da quegli episodi è partita una grande mobilitazione del movimento contadino che prima ha portato la Camera del Lavoro di Partinico con Turiddu Termine e col sociologo Danilo Dolci al famoso sciopero alla rovescia del febbraio del 1956 e successivamente alle lotte per la costruzione della Diga dello Jato negli anni 70”.
E aggiunge Enza Pisa, segretaria generale Flai Cgil Palermo: “Troppo cara è costata alla nostra categoria, quella dei braccianti agricoli, la conquista dei diritti, della libertà e delle tutele per tutti i lavoratori. Riportare alla memoria i fatti accaduti a Partinico 77 anni fa per noi è un impegno quotidiano per ribadire che i diritti non si conquistano e basta: poi serve ogni giorno agire e lottare per la loro affermazione, attuazione e per non perderli”.
Nota sulla strage di Partinico e gli assassinii di Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lo Iacono (a cura di Dino Paternostro)
Il 22 giugno 1947, un “commando” terroristico prese d’assalto a colpi di mitra e di bombe a mano la sede della Camera del Lavoro di Partinico, che allora ospitava anche la sezione del Pci. In quella strage furono assassinati i dirigenti sindacali Giuseppe Casarrubea nato il 1 ottobre 1899 a Partinico (Palermo), falegname, comunista, e Vincenzo Lo Iacono, nato a Partinico il 12 novembre 1909, contadino, e feriti Leonardo Addamo, Salvatore Patti e Giuseppe Salvia, che si trovavano davanti la sede sindacale.
Dopo la strage, la CGIL nazionale dichiarò uno sciopero nazionale di mezz’ora e le fabbriche si fermarono in tutta Italia per protestare contro il fatto di sangue, attribuito al tentativo della mafia e delle forze politiche neo fasciste di impedire il cammino della nuova Italia repubblicana. La matrice terroristica dell’attentato fu sottolineata anche dal quotidiano “L’Unità” del 24 giugno 1947, che riportava in prima pagina il titolo Sanguinose aggressioni fasciste in Sicilia e un articolo di fondo di Pietro Ingrao sulle Forze del disordine.
L’Assemblea Costituente sospese i lavori ed espresse la condanna contro i mandanti e gli assassini. Lo stesso ministro dell’Interno Mario Scelba, anche se indicava nel bandito Giuliano la pista su cui indagare, informava De Gasperi sulla natura terroristica degli attentati del 22 giugno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si rivolgeva al Governo siciliano parlando apertamente di “minaccia terroristica”.
Gli assalti del 22 giugno rappresentarono la diretta prosecuzione della strage di Portella della Ginestra, come dimostrarono i giudici di Viterbo che unificarono le indagini giudiziarie relative ai due gravi fatti e li esaminarono come unico episodio di una stessa manovra stragista.
“Dopo l’assalto alla Camera del lavoro in cui mio padre perse la vita (allora avevo poco più di un anno) io e mia madre restammo soli”, ha raccontato in una struggente lettera del 22 settembre 2002 Giuseppe Casarrubea, insegnante e dirigente scolastico per 40 anni. Adesso è in pensione, ma continua a dedicare il suo tempo alla ricerca storica sul movimento contadino e sulla catena di stragi e omicidi del secondo dopoguerra. È autore di diversi saggi storici e, da qualche anno, insieme a Mario Cereghino, ha costruito un imponente archivio che contiene documenti desecretati dei servizi segreti americani, inglesi e sloveni.
Ecco come prosegue il suo racconto: «Abitavamo in una piccola casa a Partinico, in via La Perna, che ricordo ancora benissimo, come gli inverni, il vento furioso che scuoteva le porte e filtrava attraverso le fessure; le notti in cui ero accucciato con lei, che mi dava, col suo respiro caldo, una certezza interiore che non ho mai smarrito: mi teneva abbracciato come se avesse paura che qualcuno le togliesse l’unica cosa che le era rimasta, anche questa indifendibile. Le notti della mia infanzia sono state notti di continui soprassalti e di persistenti certezze: i soprassalti della violenza che sentivamo attorno a noi per l’uccisione di mio padre; la certezza che i mandanti e persino i killer erano ancora liberi, e magari ci guardavano di giorno commiserandoci; il soprassalto del trauma che accompagnò mia madre dopo la tragedia, lo scuotimento che la travolse lasciandole addosso i segni dell’angoscia e della paura; la certezza del suo affetto e le sue mani sempre protese verso di me, come un tesoro da custodire in uno scrigno. Ma c’è in questa memoria la luce solare delle estati, i fichi secchi della vicina stesi al sole, la vita quotidiana delle famiglie della borghesia di Partinico….
L’alba era segnata dal rituale dei carri che si uscivano dalle stalle e s’attaccavano ai cavalli, dal rumore delle ruote che lentamente scorrevano lungo i selciati e si allontanavano verso le campagne. Poi ci eravamo trasferiti da mia nonna, anche lei vedova, a pochi metri dalla sede del PCI/Camera del Lavoro presa d’assalto quel giorno, e dove mio padre era stato portato dopo la strage in cui aveva perso la vita anche un altro militante sindacale comunista: Vincenzo Lo Iacono. Ricordo quando le due povere donne andarono a Viterbo nel 1950-’51, perché erano state citate come testimoni al processo che si doveva tenere in quella città. Ero rimasto solo, per qualche tempo, con mia nonna e di quel processo non ho altro ricordo che il regalo che mi portò mia madre quando finalmente fu di nuovo con me. Ai giudici disse: “Voi che mi state interrogando ne sapete più di me. Cosa volete che vi dica io? Consegnatemi gli assassini e i mandanti dell’uccisione di mio marito”. Allora erano stati convocati anche i feriti presenti a Portella, in quanto il processo per le due stragi era stato unificato».
Le vedove Casarrubea e Lo Iacono rimasero alcuni giorni a Viterbo, poi ritornarono deluse a Partinico. «I giudici non ci consegnarono nessun mandante; assolsero i mafiosi e presero atto che i principali testimoni che avrebbero potuto dire la verità erano stati già ammazzati – si disse – in regolari conflitti a fuoco. Ma le stragi non si cancellano col passare del tempo, la nostra memoria è scritta sulla nostra pelle e nessun morto va in prescrizione».
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