mercoledì, giugno 05, 2024

PICCOLI MAFIOSI CRESCONO NELLE INCUBATRICI DELLA VIOLENZA


di Daniele Billitteri 

ventisette finiti nell’inchiesta sul malaffare sono prevalentemente giovani attorno a 30 anni. Due sono solo indagati perché minorenni. Vivevano a Cruillas, al CEP e a Borgo Nuovo. Ora, per uscire dalla tentazione di scrivere l’equazione sulle periferie degradate che producono mafia, vorrei assicurarvi che Borgo Nuovo è ormai un quartiere piccolo borghese dl case ex popolari ormai quasi completamente riscattate e quindi, come si dice, “di proprietà”. 

Cruillas è un’antica borgata un tempo agricola, una di quelli che, come scriveva Salvo Licata su L’Ora, sono “ridenti per definizione, come la fame è nera e la morte è orba”. Il CEP è fanalino di coda, d’accordo. Ma non è lo ZEN2 che pare Fort Alamo.

Nessuna delle accuse che vengono rivolte a questo bella squadra fa riferimento alla mafia. Nessun 416 bis, per intenderci. Nessun boss coinvolto tranne una “spalla ingessata” (sinonimo di “pezzo da novanta”) che, dicono le carte, provvedeva a rifornire di materia prima le squadre che gestivano ben quattro piazze di droga.

Ma chi pensa alla solita gang tipo Gomorra sta sbagliando e si perde il bello di questa storia.

C’era un ragazzo che come tanti, amava neomelodici e “trappers”. Un giovanotto di 34 anni del CEP cui la condizione di ristretto ai domiciliari, in tutta evidenza non ha impedito di manifestare tutto il proprio talento gestionale. Accanto a casa sua c’era un terreno che ovviamente non era il suo ma come tale lo usava. “Picchi, chi c’è”. che è il “mantra” di quelli che pensano la versione criminale di “io so io e voi non siete un cazzo”. Che pena lasciare vuoto quel terreno. Allora meglio usarlo come deposito per un bel traffico di rifiuti che tanto rifiuti non erano: alluminio, rame, altri metalli. Tutta roba che veniva poi rivenduta, dicono i caramba, con la complicità di una ditta del settore ed acquistate con una buona dose di propensione all’incauto acquisto, da aziende anche del Nord.

Al giovanotto del CEP e alla sua “azienda” questo giro (profitti da 50 mila euro al mese) non bastava. Allora aggiungiamo il controllo di quattro piazze di droga. Niente di troppo impegnativo: coca, erba e marocchino. Resa delle piazze: 40 mila alla settimana, euro più euro meno. Basta? Macché.

Mettiamo che vi fregano il motore o la macchina. Che fate? Il codice di procedura palermitana prevede che prima di andare dai caramba, andate da chi magari ne sa qualcosa e può sistemare la faccenda senza burocrazia. Nel comunicato dell’Arma, spiegano che questa procedura si chiama “cavallo di ritorno”. Perché se un cavallo scappa dal “corral” ti deve pur costare qualcosa da dare a chi te lo va a riprendere. Le “tariffe” erano quasi, a loro modo, assicurative. Fare tornare un’auto nuova fiammante costava ovviamente di più che recuperare una scassumella. Lo stesso vale per i motori: vuoi mettere una super bike con un Kimco150?

Quando è così magari ti viene in testa che la tua parola pesa a prescindere dalle trattative commerciali e imprenditoriali. Perché il potere è una delle materie che si studia alla scuola di mafia e si può anche cominciare con un sorriso. Che fare, infatti, di fronte alla anziana signora che va a lamentarsi col potente “preside” per il fatto che una comarca di ragazzini della “scuola primaria” gli arma un casino sotto casa giocando al pallone o a acchiana u patri cu tutti i so figghi? L’uomo del CEP interveniva, chiamava i genitori dei cornutelli e spiegava loro che cosa si fa e che cosa non si fa. E magari in quel momento si sentiva come don Corleone al matrimonio della figlia Connie: riceve, ascolta, promette e risolve.

Ma, al netto della presunzione di innocenza che qui solennemente abbraccio, qual è il succo di tutta questa discussione? Che se voi pensate che c’è la piccola criminalità e, poi, c’è la mafia, state sbagliando e, senza accorgervene, collaborate alla immortalità “culturale” di Cosa nostra. Perché al CEP, al Borgo Nuovo e a Cruillas, ancor più che a Ballarò o alla Vucciria, ci sono le incubatrici, uno sterminato reparto di maternità che diventa un bacino di prelievo. Quando Cosa nostra era più forte di quanto non sia adesso, i boss tenevano sotto osservazione perfino i ragazzotti che nelle taverne giocavano al “tocco”. E ciò perché quel gioco comportava di mettere in atto comportamenti il cui valore aggiunto andava ben oltre l’obiettivo classico del gioco, cioè di fare ubriacare qualcuno o lasciare qualcun altro “accucchiato”. Ecco perché non bisogna mai disertare queste incubatrici, perché è proprio lì che crescono i neonati che non piangono e ti guardano che già sembra stiano dicendoti: “Picchì, chi c’è?”

L’Ora, Edizione straordinaria, 28/5/24

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