Un convegno dedicato a “Francesco Renda storico della Sicilia”. Si è inaugurato il 27 giugno nella “Sala Piersanti Mattarella” del Palazzo Reale a Palermo, ed è proseguito nei giorni 28 e 29 giugno all’Istituto Gramsci Siciliano.
Numerosi gli studiosi di varia estrazione e provenienza che hanno illustrato l’attività e l’opera di Renda, prestigiosa figura di politico e docente universitario, autore di fondamentali contributi di conoscenza della storia siciliana.
I lavori sono stati aperti dal prof. Salvatore Nicosia, presidente dell'Istituto Gramsci siciliano. Tra i saluti istituzionali quelli del segretario generale Cgil Palermo Mario Ridulfo, e di Emilio Miceli, neo presidente del Centro Pio La Torre. Il 28 pomeriggio l’intervento di Dino Paternostro, responsabile del dipartimento Archivio e Memoria storica Cgil Palermo.
Ecco il suo intervento:
Francesco Renda a Corleone: la vicenda Bernardino Verro
di DINO PATERNOSTRO
Ricordo il mio primo incontro col prof. Francesco Renda nel salone Bernardino Verro della Casa del Popolo di Corleone. Era la metà degli anni ‘70. Ci disse che venendo in paese aveva constatato che la strada che da Palermo portava a Corleone era la vecchia mulattiera borbonica. Solo un poco più vecchia…
Quella di Renda non fu una sottolineatura storica a nemmeno un’indicazione geografica. Ma la denuncia politica dello stato di abbandono di una tipica zona interna come quella del Corleonese. Un abbandono che per tanti versi deriva dal tipo di soluzione data alle istanze di sviluppo posto dal movimento dei fasci dei lavoratori di fine ‘800: le stragi, la repressione, il carcere.
Non capirete mai veramente la storia di Corleone, ci ripeteva, se non tenete conto che è stata una CITTÀ DEMANIALE. Non era una città feudale, di proprietà di qualche ricco signore, ma una città libera (per come allora si potesse essere liberi), con un sindaco, un consiglio comunale e per alcuni anni anche il potere di amministrare la giustizia civile e penale.
Il carattere fiero dei corleonesi deriva da questa storia importante, non dalla presenza dei mafiosi.
Per noi che quasi ci vergognavamo di essere corleonesi per non venire assimilati ai mafiosi, questa lezione di di Renda ci aiutò molto a rivendicare con fierezza il pezzo di storia di cui ci sentivamo davvero figli.
Renda ci parlò anche della Casa del Popolo costruita pietra su pietra dai contadini di Corleone, guidati da Bernardino Verro, che ogni sera tornando dal lavoro nei campi ne portavano una a dosso di mulo.
Il 19 marzo 1979 organizzammo un convegno sui Fasci e Bernardino Verro al liceo classico, dal titolo: “Corleone capitale contadina”.
Fu la prima volta che la scuola a Corleone apriva le porte alla cultura laica di sinistra.
Fu possibile anche grazie al preside socialista Giuseppe Governali. A quel convegno intervennero Francesco Renda e Giuseppe Casarrubea. Con loro c’era anche il famoso giornalista Marcello Cimino, che scrisse una bella pagina sul giornale L’Ora.
Trovammo argomenti ed entusiasmo per chiedere al comune di rifare il busto a Bernardino Verro, che nel 1922, 65 anni prima era stato distrutto e fatto sparire dai mafiosi. Era stato istallato in piazza Nascè nel 1917 dai municipi socialisti d’Italia. Il busto lo rifece lo scultore corleonese Biagio Governali, ma per collocarlo in Villa comunale passarono altri sei anni.
Cominciai a frequentare casa Renda, in via Onorato 44. Al citofono mi rispondeva la cara Antonietta Marino, Ninuzza, come la chiamava il professore.
Un giorno a metà degli anni ‘80 ci arrivai col fiatone in via Onorato 44.
Mi avevano donato una copia della sentenza di rinvio a giudizio per l’assassinio di B. Verro del 1917. Molto interessante, tanti particolari che sconoscevo. Interessante per esempio sapere che i mafiosi a Corleone tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 si chiamavano “fratuzzi”, come a Bagheria. E diversamente da Monreale dove invece si chiamavano “stuppagghieri”.
Interessante apprendere anche che la mafia anche allora era un’organizzazione verticistica, con propri capi, con un proprio rituale di affiliazione, con parole d’ordine e segni di riconoscimento.
Ma sconvolgente per me fu leggere - come scriveva il regio procuratore del Re - che in un memoriale, allegato agli atti del processo, lo stesso aveva raccontato che nell’aprile del 1893 aveva aderito alla mafia.
Perché? Per proteggersi dagli agrari che volevano sopprimerlo. Per paura, quindi. Per una non adeguata conoscenza del fenomeno mafioso.
Possibile.
Bussai in via Onorato 44. Consegnai la copia della sentenza a Renda, gli feci leggere le pagine incriminate. E ingenuamente gli chiesi:
- E adesso che facciamo?
- L’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare: raccontare la verità, mi rispose.
Ecco la lezione di storia e di etica che mi diede il prof. Renda.
Verro, il mitico capo dei fasci, tornò ad essere un eroe, ma un eroe umano, con tutti i limiti e le debolezze degli umani. Per paura degli agrari che volevano ucciderlo accettò la protezione dei fratuzzi. Ma in poche settimane capi l’errore commesso. E per tutto il resto della sua vita combatté la mafia con tutte le sue forze. Era riuscito ad elaborare il primo contratto scritto dell’Italia capitalistica per i braccianti agricoli il 7 maggio 1893; il 30 luglio 1893 aveva elaborato i famosi “Patti di Corleone”, che innovavano i contratti agrari angarici che i gabelloti mafiosi imponevano ai contadini.
Riuscì anni dopo con il movimento contadino a strappare ai gabelloti mafiosi tanti ex feudi con le affittanze collettive, riuscì a strappare il municipio ai padroni di sempre e a diventare sindaco, il primo sindaco socialista di Corleone.
L’assassinarono il 3 novembre 1915. Oggi a Verro è intitolata la sala consiliare del comune di Corleone, una strada, e la Casa del Popolo. Vi sono tre busti a lui dedicati nella sala consiliare, in Villa comunale e a piazza Nascè, la piazza dove parlava ai contadini. La sua vicenda umana e politica è studiata dai ragazzi delle scuole.
Abbiamo combattuto per ottenere questi risultati, ma gli stimoli e il sostegno politico, etico e culturale che allora ci diede il caro e indimenticato Francesco Renda fu fondamentale. E di questo gli saremo sempre grati.
Dino Paternostro
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