di Nino Cuffaro
Appena concluse le elezioni europee, nel Partito Democratico siciliano ha avuto inizio la campagna per il prossimo congresso regionale, che dovrebbe definire i nuovi assetti del partito in linea con la nuova fase costituente che ha portato alla guida la segretaria Elly Schlein.
Se il risultato elettorale ha premiato ampiamente il PD a livello nazionale, con oltre il 24% dei consensi, relega invece il partito siciliano a fanalino di coda. Nella nostra regione il partito è sotto di circa 10 punti rispetto al dato nazionale, mentre nel confronto con le altre regioni la Sicilia è l’ultima per consensi, con uno striminzito 14,35%, due punti e mezzo in meno rispetto alle passate elezioni europee. Calo di voti che ha comportato la perdita di un seggio. Il PD ha sempre conquistato due seggi nella circoscrizione Isole, quest’anno invece ha avuto attribuito un solo seggio.
C’è molto su cui discutere, a partire dal modo in cui è stata preparata la lista. Il dibattito è stato pressoché inesistente nel partito, tutte le decisioni sono state accentrate nelle mani del cerchio magico del segretario regionale, poche le attenzioni ai territori e all’associazionismo. La stella polare nella scelta delle candidature e stato l’equilibrio tra le correnti, che hanno portato alla esclusione di candidature forti e meritevoli come quelle di Leoluca Orlando e Giuseppe Antoci (vicinissimo alla candidatura con il PD già nel 2019) nonché alla mortificazione di Pietro Bartolo. Quest’ultimo, unico parlamentare europeo uscente, invece di essere valorizzato come avrebbe meritato, con l’inserimento in lista subito dopo Elly Schlein, si è dovuto accontentare del quarto posto, dando la precedenza al sen. Antonio Nicita sostenuto dalla segreteria regionale. Unica nota positiva, la candidatura di Lidia Tilotta, che ha ottenuto un lusinghiero risultato personale di 37.389 preferenze, pur non disponendo del supporto di una corrente organizzata. Segno evidente della presenza attorno al PD di un mondo di associazionismo e volontariato pronto a mobilitarsi per quelle candidature capaci di rappresentarne i valori con credibilità e coerenza.
Il dibattito post-elettorale nel partito, anche in vista del prossimo congresso regionale che si terrà entro l’anno, oscilla tra narrazioni comode e attacchi frontali. Il segretario regionale Antony Barbagallo pensa di accreditarsi tra i vincitori, glissando sulla perdita di un seggio e sul risultato deludente della Sicilia, cercando di uscire indenne dalla evidente sconfitta con una dichiarazione ecumenica, attaccandosi all’ottimo risultato nazionale e ribadendo la sua fedeltà alla segretaria Elly Schlein. Di tutt’altro avviso il sen. Antonio Nicita, persona di spessore politico e culturale, che si è lasciato andare a considerazioni molto critiche, che danno l’esatta misura di quale sia oggi il vero clima da resa dei conti tra le correnti del partito isolano.
Ad urne ancora calde, nel commentare il risultato personale, Nicita afferma: un risultato ottenuto in poche settimane, nonostante le resistenze e le chiusure, in Sicilia, della vecchissima politica di un pezzo della deputazione regionale, nonché di logiche asfittiche di contrapposizione e bande prive di respiro e di innovazione.
È vero senatore, in Sicilia domina ancora la vecchia politica, anche se spesso ha il volto giovane; il partito è asfittico, chiuso in sé stesso, poco permeabile a quel fermento vivo che cresce nel mondo dell’associazionismo; spesso le contrapposizioni tra le diverse anime hanno poco contenuto programmatico, ma si presentano come guerre di potere prive di visione politica. Un solo appunto al senatore Nicita: anche la sua candidatura è figlia di quelle logiche di schieramento denunciate con tanta passione, o almeno così è apparsa.
La breve storia del PD in Sicilia è piena, purtroppo, di episodi poco edificanti. Uno dei primi segretari regionali è stato quel Francantonio Genovese che, in relazione alla gestione di corsi regionali di formazione professionale, è stato condannato in via definitiva a 6 anni e 8 mesi di carcere con le imputazioni di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione a delinquere, riciclaggio, frode fiscale e tentata concussione.
Nel 2013 è arrivato alla presidenza dell’assemblea regionale del partito l’agrigentino Marco Zambuto, proveniente da Forza Italia. Candidato alle elezioni europee del 2014 con il PD, ritornerà dopo appena due anni in Forza Italia. Oggi in politica viaggia in coppia con Totò Cuffaro di cui è diventato il genero.
Nel 2017 viene candidato alle regionali Luca Sammartino, record di preferenze a Catania. Il suo è un breve passaggio prima di approdare alla Lega di Salvini. Oggi è indagato dalla procura di Catania per scambio elettorale politico – mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, corruzione aggravata, istigazione alla corruzione e turbata libertà degli incanti. Chissà cosa ne pensano da lassù Piersanti Mattarella e Pio La Torre.
Non può mancare un riferimento anche alla vicenda di Caterina Chinnici. Assessore della giunta regionale di Raffaele Lombardo, per due volte eletta parlamentare europeo nella lista del PD. Nel 2022 è candidata, fortemente voluta dall’attuale gruppo dirigente del partito, a presidente della regione, distinguendosi per le sue aperture al Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo e alla costruzione del ponte sullo stretto, definito una “opera strategica per lo sviluppo”. Pochi mesi dopo, il suo abbandono del partito e l’iscrizione a Forza Italia.
Ad Agrigento poi, in occasione delle comunali del 2015, il PD approvò la celebrazione di primarie elettorali per la scelta del candidato sindaco in alleanza con Forza Italia. Il candidato vincente fu Silvio Alessi di Forza Italia, che si presentò affermando che in città la mafia non esisteva. Per fortuna, ci pensò l’allora segretario regionale Fausto Raciti a metterci una pezza, sconfessando il partito locale ed archiviando l’accordo con Forza Italia.
Per completare il quadro si potrebbe fare cenno alle due esperienze di governo come stampella di Raffaele Lombardo nel 2010 e a supporto di Rosario Crocetta fino al 2017: non proprio esperienze indimenticabili.
Si tratta di casi eclatanti di scelte discutibili, ma nelle varie realtà siciliane sono tantissimi gli episodi simili, che danno l’idea di un partito che decide di frequente senza una bussola, a volte carente di una robusta anima valoriale, spesso preda di voraci “dirigenti” privi di una visione politica e alla ricerca di pezzi di potere da gestire.
Di queste scelte sbagliate e della loro influenza nefasta sulle scarse fortune del PD in Sicilia, non si è mai parlato abbastanza nel dibattito interno al partito. Si è preferito sempre sorvolare, archiviare in fretta le vicende scomode, invece di farne materia di riflessione per apportare le necessarie correzioni e selezionare al meglio la classe dirigente.
Lo scorso anno il “congresso costituente” del partito, quello che doveva ridefinire il nostro orizzonte culturale e politico, poteva essere una grande occasione di dibattito interno anche sulle scelte errate degli ultimi anni, ma in Sicilia di costituente non c’è stato proprio nulla. Perché se ad ogni svolta politica i primi a svoltare sono i titolari del vecchio potere, ogni speranza di cambiamento è vanificata. Pertanto, si è svolto un congresso stanco, senza alcuna spinta rinnovatrice, privo di entusiasmo (con qualche lodevole eccezione) che è consistito nella mera conta dei consensi da attribuire alle varie correnti, per regolare i loro rapporti interni, che ben si riflettono nella composizione della lista per le elezioni europee.
Ora che ci avviamo al congresso regionale, lo stato del partito non è per nulla cambiato. I nuovi tesserati sono mosche bianche e qualcuno che aveva aderito sull’onda dell’entusiasmo innovatore di Elly Schlein, constatato meglio lo stato del partito, non ha rinnovato la tessera. I circoli, nella stragrande maggioranza, non sono dei luoghi di confronto e di iniziativa politica, ma gusci vuoti che si animano solo in occasione dei congressi e delle campagne elettorali. A volte si ha la sensazione che non siano gli iscritti ad eleggere i dirigenti, ma quest’ultimi a crearsi la base di partito che gli fa comodo, che sia funzionale a certe carriere personali.
In queste condizioni il congresso regionale difficilmente sarà un momento di analisi degli errori e delle insufficienze del partito in questi anni, di confronto sulle possibili correzioni ad una linea politica inadeguata, di crescita culturale e politica necessaria per affrontare le sfide del presente.
Dovremmo occuparci dei temi della pace e della guerra, che stanno trasformando la Sicilia in una piattaforma militare nel cuore del mediterraneo, snodo sempre più centrale nel confronto planetario tra Occidente e Oriente; dei cambiamenti climatici e della siccità che sta assumendo contorni sempre più drammatici; dello spopolamento delle zone interne e dei temi dell’emigrazione e dell’immigrazione; della scellerata autonomia differenziata che spaccherà il paese e penalizzerà ancor di più il meridione; del disastro dei servizi e delle infrastrutture; delle cosche mafiose che prosperano nel silenzio e nella disattenzione della politica.
Di questi argomenti, probabilmente, si parlerà poco e svogliatamente. Il congresso si sostanzierà prevedibilmente in un momento di democrazia posticcia e, naturalmente, non porterà a quel ricambio urgente della classe dirigente regionale che sarebbe quanto mai necessario. Difficilmente produrrà l’innesto di forze nuove in grado di rappresentare meglio quel cambiamento di visione e di pratica politica, che esalti la passione civile e la speranza di futuro che la segretaria nazionale ha saputo imprimere in quest’ultimo anno. Si risolverà tutto in una conta ragionieristica delle truppe in campo, con il passaggio del testimone dalla corrente dell’attuale segretario (che ha perso le elezioni europee e non solo quelle) alla corrente di Giuseppe Lupo, uscito vincitore dall’ultimo confronto elettorale. Il resto, logiche di potere comprese, resterà immutato.
Tutto questo, a meno che la segretaria, preso atto dell’inadeguatezza della gestione del partito in Sicilia, decida di fare la mossa del cavallo. Negli scacchi il movimento del cavallo ha un effetto spiazzante: rispetto alla linearità del movimento degli altri pezzi, il cavallo si muove con una traiettoria ad “L” che gli consente di superare l’ostacolo frapposto dagli altri elementi. In politica la mossa del cavallo è quella che permette di scavalcare un impedimento e di uscire da una situazione critica. In buona sostanza, la segretaria dovrebbe intervenire d’imperio, commissariando il partito siciliano (motivi non ne mancano) per garantire così un ricambio di uomini e obiettivi politici in linea con il nuovo corso del Partito Democratico nazionale.
Forza Elly, batti un colpo.
bacac.eu, 23 giugno 2024
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