Fabio Geraci
Palermo - Il potere di Cosa nostra appare in declino dopo la morte di Totò Riina: la leadership non c’è più, o almeno è talmente azzoppata che la crisi ha imposto una trasformazione. A metterlo nero su bianco è la Dia, la Direzione investigativa antimafia, nella relazione sull’attività e sui risultati conseguiti nel primo semestre del 2023.
«Le innumerevoli attività di contrasto eseguite nel corso degli anni – si legge – anche con la cattura di importanti latitanti, e l’apprensione da parte dello Stato dei patrimoni illeciti accumulati in decenni di attività criminale hanno fortemente ridimensionato il potere di Cosa nostra incrinandone la tradizionale struttura
verticistica» tanto da essere «alla ricerca di una leadership che, dopo la morte di Riina nel 2017, non risulta essersi più ricostituita. Ogni tentativo di ricostituzione della commissione provinciale è stato vanificato dalle incessanti attività investigative che ne hanno compromesso la compattezza e la forza». Anche la scomparsa dell’ultimo boss catturato, cioè Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo il 16 gennaio dell’anno scorso e morto il successivo 25 settembre nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila, «genererà ripercussioni nel panorama mafioso siciliano e con particolare riferimento nella provincia di Trapani» perché, sia dal punto di vista materiale che da quello formale, «sulla provincia di Palermo e su tutta Cosa nostra ha svolto una funzione carismatica, nel senso che essendo l’ultimo stragista libero e il soggetto in qualche misura anche mitizzato il cui ruolo è cresciuto in forza della sua importanza anche a mano a mano che gli altri venivano catturati, è chiaro che alcune decisioni che riguardavano vicende importanti dell’organizzazione mafiosa hanno ottenuto il suo consenso o quantomeno il suo non dissenso».Le nuove strategie
Il nuovo assetto si propone di individuare «nuovi soggetti da porre al vertice, per lo più giovani che vantano un’origine familiare mafiosa» che però verrebbe frenato «dalla presenza di anziani uomini d’onore che, tornati in libertà, pretendono di riacquisire il proprio ruolo di rango all’interno dell’organizzazione». Senza i boss di una volta, in grado di tenere con il pugno di ferro le redini di un giro miliardario, è stato necessario un radicale cambio di strategia. Meno violenza, più affari e corruzione, in particolare nel settore della pubblica amministrazione, anche se i business «tradizionali» come il traffico di droga e le estorsioni restano sempre le principale fonti di reddito per finanziare l’attività delle famiglie mafiose. In difficoltà ma evoluti, e dunque al passo dei tempi, i nuovi «picciotti» utilizzano il web per vendere le sostanze stupefacenti ma sfruttano la tecnologia soprattutto per non farsi scoprire dalle forze dell’ordine e per creare i contatti con le altre organizzazioni criminali in giro per il mondo. «Con il liberarsi dal modello di una mafia di vecchia generazione – continua la relazione della Dia - aderendo piuttosto alla nuova ed accattivante immagine imprenditoriale, l’uso della tecnologia assume un ruolo determinante per l’attività illecita delle organizzazioni criminali che, con sempre maggiore frequenza, utilizzano i sistemi di comunicazione crittografata, le molteplici applicazioni di messaggistica istantanea e i social».
Gli affari
Al centro resta ancora la droga che «rimane per le mafie siciliane una delle più sicure fonti di reddito, garantendo rapporti di cooperazione con altre organizzazioni criminali finalizzate all’approvvigionamento di grossi quantitativi su larga scala. In considerazione della fondamentale importanza del settore, non può escludersi che cosa nostra possa aspirare a riconquistare posizioni di leadership nella gestione dei canali di approvvigionamento degli stupefacenti». Di capitale importanza anche il pizzo. «Il ricorso alla pratica estorsiva oggi viene declinato con modalità più persuasive, limitandosi all’imposizione di forniture di beni, servizi e manodopera, anche a prezzi leggermente al di sopra di quelli di mercato» mentre le inchieste sul piano patrimoniale hanno evidenziato «la tendenza da parte dei principali gruppi mafiosi a garantirsi la gestione, diretta o indiretta, di società concessionarie di giochi e di sale scommesse, anche solo imponendo l’installazione di slot machine in bar o tabaccherie». Importanti anche gli stretti collegamenti tra esponenti legati alla famiglia mafiosa dei Gambino di New York con i mafiosi siciliani. Negli ultimi anni sarebbe cresciuto l’interesse verso Malta e la Spagna per il traffico di cocaina, proveniente dalla Colombia, che si sviluppa anche attraverso la tratta del Marocco.
Il fenomeno nell’Isola
Cosa nostra palermitana, che ha rappresentato la principale radice storica del fenomeno mafioso siciliano, ha tentato senza successo di ricostruire e rilanciare la Cupola «cercando di individuare figure capaci di condensare autorevolezza e leadership riconosciute da tutte le famiglie dei mandamenti». Tuttavia l’assenza di una struttura di comando ha comportato solo la realizzazione di accordi locali tra gli esponenti dei 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia) e delle 82 famiglie (33 in città e 49 in provincia), tutte gerarchicamente ordinate al loro interno. La Stidda risulta localizzata a Caltanissetta, Ragusa e Agrigento, anche se soprattutto in quest’ultima provincia è riuscita con gli anni a elevare la propria statura criminale. L’area metropolitana di Catania, che rappresenta il fulcro economico e infrastrutturale dell’Isola, è ormai «il centro di gravità dei principali interessi criminali la cui gestione e controllo è saldamente nelle mani delle più importanti sodalizi criminali operanti nella provincia». Secondo la Dia, infatti, in questo territorio «operano importanti famiglie mafiose riconducibili a Cosa nostra» ma l’universo criminale catanese presenterebbe «una maggiore fluidità rispetto al canone palermitano e un orientamento affaristico che si declina anche nelle aree di proiezione ultra regionali». A Siracusa e Ragusa, invece, sarebbe evidenti «le influenze di Cosa nostra catanese e, in misura minore, della Stidda gelese nel solo territorio ibleo». Per quanto riguarda la criminalità organizzata a Messina «la peculiarità delle consorterie presenti è quella di avere da un lato un modus operandi assimilabile a Cosa nostra palermitana, dall’altro di risentire dell’influenza dei gruppi criminali etnei».
La mafia rurale
Anche la vocazione agroalimentare e pastorale della Sicilia farebbe gola alla mafia che, per mezzo di prestanome e professionisti compiacenti si sarebbe accaparrata «terreni agricoli da parte di aziende mafiose o infiltrate da soggetti vicini a personaggi della criminalità per ottenere contributi di sostegno allo sviluppo rurale» ottenendo «ingiusti profitti attraverso false attestazioni o condotte fraudolente». In generale, però, le mafie siciliane sono «organizzazioni criminali che ricorrono alle più avanzate metodologie d’investimento, riuscendo a cogliere anche le opportunità offerte dai fondi dell’Unione Europea» e non può escludersi che «possano manifestare interesse per gli investimenti relativi allo stanziamento economico previsto dal Pnrr. In ragione di tale possibile minaccia va tenuta alta la guardia al fine di scongiurare ogni tentativo di infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici siciliani». (*fag*)
GdS, 19/6/2024
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