mercoledì, giugno 19, 2024

Il bracciante Singh ucciso dal cinismo e dallo sfruttamento

Satnam Singh

Marco Omizzolo

È morto Satnam Singh, il bracciante indiano sikh di 31 anni che, nella giornata di lunedì scorso, mentre lavorava nell'azienda Agrilovato di Latina, ha subito un grave indicente sul lavoro, il suo braccio è stato tranciato di netto da un macchinario agricolo.

Satnam era impiegato insieme alla moglie senza un regolare contratto e dopo il gravissimo incidente è stato caricato su un furgone e scaricato davanti la sua abitazione, a borgo Santa Maria, ancora a Latina, insieme a una cassetta contenente il suo arto. Un comportamento criminale e atroce.

È stata la Flai Cgil a lanciare per prima l'allarme e a raccontare quanto accaduto, permettendo l'arrivo dei carabinieri e dei primi soccorsi. «Siamo sconvolti e pronti a mobilitarci, oltre che ad aiutare la moglie del nostro connazionale in tutte le forme possibili», racconta Harbhajan Ghuman del collettivo dei braccianti indiani pontini, da anni impegnato contro ogni forma di sfruttamento e violenza contro lavoratori e lavoratrici indiani.

«Dopo anni di lotte, di denunce e di processi, molti anche vinti, continuiamo a vivere episodi brutali che meritano una risposta netta da parte nostra e delle istituzioni italiane. Siamo stanchi di pagare con la vita la fame di denaro dei padroni italiani», continua Harbhajan. Una vicenda sconvolgente e che interroga quella parte di Paese che non accetta queste forme di sfruttamento e di umiliazione. Bruno Giordano, magistrato di Cassazione e già direttore generale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, ad esempio, si domanda «chi chiederà perdono per Satnam Singh? Se sei straniero, irregolare, hai bisogno di un pezzo di pane per campare», dice il magistrato, «devi lavorare a nero, senza sicurezza, senza dignità, senza speranza». E «se mentre raccogli la frutta che vogliamo avere fresca al supermercato o mieti il grano per il nostro pane quotidiano, ti strappano un braccio, non chiamano nemmeno un'ambulanza, ti scaricano da un furgone sul ciglio di una strada e buttano il tuo braccio in un campo, e muori dissanguato», conclude Giordano.

Tutto questo è accaduto ad appena 80 chilometri dal parlamento italiano, dove il governo in carica si guarda bene dal prendere parola su un fatto tanto grave. Mentre, infatti, il Partito democratico con Elly Schlein presenta alcune interrogazioni parlamentari, resta inaccettabile il silenzio di alcuni autorevoli esponenti del governo in carica. Tra tutti, in primis, la presidente Giorgia Meloni, che nella passata legislatura fu eletta proprio a Latina, nel giorno di insediamento da presidente del Consiglio disse la famosa frase: «Chi produce non verrà disturbato».

Chissà se dinanzi a questa tragedia è rimasta della stessa opinione o ha ripensato alla gravità delle sue parole. Silenzio inquietante anche da parte del ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, sempre pronto invece ad affermare tesi come quella della sostituzione etnica o dei poveri che mangerebbero meglio dei ricchi. Tesi che crollano miseramente dinanzi alle storie di lavoratori e lavoratrici come Satnam, morti mentre lavorano per imprenditori criminali che se ne fregano di loro, del diritto, dei controlli, peraltro sempre più rari, ma che hanno come unico scopo quello di arricchirsi e di sentirsi padroni a casa nostra. Satnam non è però, purtroppo, l'unico caso.

Come non ricordare Soumayla Sacko, che il 2 giugno del 2018 muore a causa di un italiano che gli spara un colpo di fucile alla testa mentre si trovava nella ex fornace "La tranquilla", discarica del Comune di San Calogero, in Calabria, assieme a due amici, per recuperare materiale per la sua baracca. Una tragedia che arrivava nella stazione di Matteo Salvini ministro dell'Interno che molti ricordano per la fase è «finita la pacchia» in riferimento ai flussi migratori.

Evidentemente sbagliava, perché per Soumayla, Satnam e molti altri, non è affatto finita la pacchia ma inesorabilmente la vita, uccisi da un sistema che ne ha determinato lo stato di marginalità e di sfruttamento, a partire dalla sempiterna Bossi-Fini. L'Agro Pontino è anche la provincia del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, riferimento di Salvini e artefice di gran parte del programma leghista sul lavoro che ha contributo a determinare forme di segmentazione e segregazione del mercato del lavoro italiano a grave danno dei diritti democratici. Anche da parte sua silenzio assordante.

Quanto accaduto a Satnam segna dunque la coscienza di questo Paese ma non di questo governo, che disvela l'intima natura di un sistema di sfruttamento che permette a padroni italiani e a caporali di ottenere profitti milionari a fronte di un lavoro che costa la vita a migliaia di lavoratori e lavoratrici spesso di origine straniera.

Marco Omizzolo

Domani.it, 20/6/2024

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