di GIUSEPPE SAVAGNONE
Conferenza episcopale contro governo
Non ha avuto forse il rilievo che ci si sarebbe potuto aspettare, in un paese ancora apparentemente legato alla tradizione cattolica, la recente presa di posizione della Conferenza episcopale italiana sul progetto di autonomia differenziata, oramai in dirittura d’arrivo in parlamento. Una presa di posizione decisamente negativa, che conferma quella espressa il 5 marzo scorso dalla Conferenza episcopale siciliana. Nel comunicato finale dell’Assemblea generale dei vescovi, svoltasi dal 23 al 26 maggio, si dice senza mezzi termini: «Alcuni progetti legislativi rischiano di accrescere il gap tra territori oltre che contraddire i principi costituzionali. È in gioco il bene comune che può e deve essere promosso sostenendo la partecipazione e la democrazia».
Per di più, in una Nota approvata dal Consiglio permanente il 22 maggio, si ribadisce il principio «Il Paese non crescerà se non insieme», che aveva ispirato i due grandi documenti dedicati in passato dalla CEI alla questione dei rapporti tra Nord e Sud d’Italia: Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno, del 1989; Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, del 2010.
I vescovi ricordano nella Nota che proprio il pensiero cattolico, con Luigi Sturzo e non solo, ha sempre sostenuto il valore delle autonomie regionali. Ma, aggiungono, «solidarietà e sussidiarietà devono camminare assieme, altrimenti si crea un vuoto impossibile da colmare (…).
Ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie.
In questo senso, il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica».
Nella conferenza stampa al termine dell’Assemblea il presidente della CEI, il card. Zuppi, ha ripreso e confermato queste preoccupazioni e ne ha cautamente espresso altre sull’altra riforma proposta dal governo, quella del premierato, anch’essa in discussione in questi giorni: «A titolo personale posso dire che è necessario tenere presente lo spirito della Costituzione, scritta da forze politiche non omogenee che però avevano di mira il bene comune.
Dunque l’auspicio è che ciò che emergerà non sia qualcosa di contingente, cioè che non sia di parte. Comunque è un discorso ancora aperto, vediamo come va la discussione».
Reazioni e repliche
Le reazioni da parte del governo non si sono fatte attendere. Per quanto riguarda le critiche al progetto sull’autonomia differenziata è stato Salvini, il suo principale sponsor, a replicare ai vescovi, durante un suo tour elettorale in Calabria: «Non l’hanno letto. L’autonomia è una garanzia per i diritti essenziali al Sud che il Sud non ha mai avuto. Magari c’è qualche vescovo che, viste le polemiche che arrivano dal Vaticano, si è distratto. Manderò a chiunque voglia approfondire il testo dell’autonomia».
Immediata la replica del vicepresidente per l’area Sud della Conferenza episcopale italiana, Francesco Savino: «Dire che i vescovi calabresi non hanno letto la legge mi sembra un’offesa gratuita: l’abbiamo letta e l’abbiamo studiata con costituzionalisti e professori universitari. Il ministro Salvini deve farsene una ragione se, su questa materia, la pensiamo diversamente da lui».
Sul premierato è stata Meloni, che la considera «la madre di tutte le riforme», a polemizzare direttamente con il presidente della CEI: «Non so cosa esattamente preoccupi la Conferenza episcopale italiana, visto che la riforma non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa. Con tutto il rispetto, non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una repubblica parlamentare, quindi nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo. Facciamo che nessuno si preoccupa».
Anche qui non è mancata la replica. Intervistato da Aldo Cazzullo, Zuppi ha osservato, sorridendo, che forse la Meloni «è stata tratta in inganno da Roberto Benigni che voleva fare il campo largo con il Papa… La Chiesa ovviamente non si schiera con una parte o con l’altra. Io non sono entrato nel merito della riforma, non ho dato giudizi sul rafforzamento dei poteri del premier.
Ho solo espresso una preoccupazione: le riforme costituzionali richiedono la partecipazione più ampia possibile. Proprio perché gli equilibri costituzionali sono delicati. Questo non significa che tutti la debbano pensare allo stesso modo, ma che devono partecipare al dialogo, ritrovare lo spirito costituente. Nel dopoguerra democristiani, liberali e comunisti non la pensavano allo stesso modo, ma scrissero la Costituzione insieme. Oggi il richiamo vale per tutti, per la maggioranza come per l’opposizione».
Il significato del dibattito
Molti organi di stampa hanno considerato la presa di posizione della CEI – sia nell’Assemblea generale che nel Consiglio permanente – e le successive parole di Zuppi sulla riforma del premierato come un ritorno dei vescovi italiani sulla scena politica, dopo la lunga stagione di silenzio che era seguita all’uscita di cena del card. Ruini.
Così le hanno considerate ambienti cattolici fortemente conservatori e critici sia verso papa Francesco che verso la CEI. Su «La Nuova Bussola quotidiana», in un articolo intitolato «La CEI entra in politica», si contesta la Nota dei vescovi osservando che «dopo aver affermato la necessità di tenere insieme solidarietà e sussidiarietà non è corretto applicare il principio dando un giudizio negativo sulla riforma in atto.
Questo non è un passo che spetta ai vescovi. Se lo fanno scendono in politica diretta contro il governo». Insomma, i vescovi non si immischino in ciò che accade fuori delle chiese.
E così evidentemente le ha considerate lo stesso governo, a giudicare dalle reazioni del vice-premier e della premier. In particolare le parole della Meloni sembrano richiamare il presidente della CEI al rispetto dei confini entro cui Stato e Chiesa devono saper restare, e implicare perciò un tacito rimprovero di aver valicato questi confini. Manifestando, al tempo stesso, l’intenzione di chiudere un occhio su questa trasgressione e di non parlarne più: «Facciamo che nessuno si preoccupa».
Il mutismo dei cattolici
Ma a colpire, più che il contenuto, è il tono infastidito e noncurante di queste repliche. Alla vigilia del voto europeo, che secondo la Meloni sarà un «referendum» – non solo sul modello di Europa, ma in primo luogo, nella sua interpretazione, sul governo – la premier e il vice-premier si sono potuti permettere di liquidare in poche stizzite battute una presa di posizione dei massimi livelli della gerarchia ecclesiastica, che in altri tempi sarebbe stata considerata un grave problema per l’immagine del governo.
Con una punta di arroganza, visto che non hanno neppure ritenuto necessario rispondere alle critiche, ma le hanno attribuite a disinformazione (Salvini) o a una illegittima invasione di campo (Meloni).
La verità è che il peso delle indicazioni dell’autorità religiosa sull’orientamento politico degli stessi credenti sembra ormai minimo. Si ha l’impressione, a volte, che nessuno ascolti i vescovi e lo stesso papa.
È molto significativo che la premier, proprio alla vigilia delle elezioni, stia dando grande risalto alla creazione dei due campi di detenzione in Albania, una scelta che è in rotta frontale di collisione con la posizione della Chiesa sul problema dell’accoglienza. Per non parlare della sordità del governo agli appelli per la pace ripetuti ad ogni occasione da Francesco. Senza che per questo i cattolici che votano per i partiti di destra diano un qualunque segno di disagio o di protesta.
Ma lo stesso accade nei confronti dei partiti di sinistra. Il PD recentemente ha sollevato una violenta polemica contro la possibilità di far entrare nei consultori «soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità» – come in realtà già prevede, quasi alla lettera, l’art. 2 della legge 194 – , sostenendo, per bocca della sua segretaria, che ciò comporta un «attacco pesante alla libertà delle donne», identificata univocamente – in contrasto con il chiaro dettato della legge in questione – con il “diritto di abortire”.
E quando un candidato dem alle elezioni europee, Marco Tarquinio, dichiaratamente cattolico, ha espresso il suo dissenso su questo preteso “diritto”, è stato subito chiarito dai vertici del partito che la sua era la posizione personale di un “indipendente”, esterno al partito.
Confermando di avere ormai del tutto rimosso le origini del PD, nato dall’unione di cattolici e socialisti e che ormai – in questa linea sempre più simile a quella dei radicali di Pannella – ammesso che ci sia ancora posto per i socialisti, i cattolici non hanno più voce.
Sì, i cattolici sono scomparsi. Non solo e non tanto perché le chiese la domenica, dopo il Covid, hanno visto dimezzato il numero dei frequentanti, ma soprattutto perché – come ha rilevato ultimamente in un suo studio il sociologo Diotallevi – ormai chi va a messa ha le stesse idee di chi non ci va. Per questo ciò che dicono i vescovi è irrilevante. Non c’è più il “mondo cattolico”, intendendo con questa espressione un’area culturale e spirituale dotata di una propria identità e di propri punti di riferimento.
Questione chiusa?
Si potrebbe, con ciò ritenere chiusa la questione, se la scomparsa dei cattolici non stesse ogni giorno di più evidenziando un pauroso vuoto culturale nella nostra vita pubblica. Il paragone tra lo spessore umano dell’attuale classe politica (ma già di quella dell’era berlusconiana) e quello di personalità come De Gasperi, Dossetti, Fanfani, La Pira, che nel dopoguerra furono i protagonisti della rinascita democratica del paese non consente dubbi.
Perciò il rilancio della tradizione di pensiero che ha avuto nell’insegnamento sociale della Chiesa la sua fonte ispiratrice dovrebbe stare a cuore a tutti i cittadini italiani, credenti e non credenti. Non per dar vita a un nuovo partito cattolico, ma per immettere nuovamente, in una politica oggi ridotta ad un gioco di potere e allo scontro tra opposte propagande, un’anima che sembra perduta.
Protagonista di questa ripresa – culturale e spirituale, prima ancora che politica – dovrebbe essere il laicato cattolico. Ma, come ha sottolineato Massimo Cacciari in un suo recente intervento, se esso si muovesse decisamente in questa direzione – valorizzando la carica rivoluzionaria che la visione cristiana contiene, rispetto a questa società e questa politica disumanizzate – , troverebbe molti alleati al di fuori dell’area ecclesiale. E allora i vescovi e il papa non sarebbero più solo voci isolate che gridano nel deserto, come oggi accade.
Tuttavia.eu, 6 giugno 2024
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