di Maria CalabreseIl prof. Vincenzo Provenzano
L’autonomia differenziata potrebbe cambiare il volto politico ed economico delle regione italiane. In peggio o in meglio, ancora non si sa, ma è certo che il funzionamento della macchina amministrativa non sarà uguale per tutto lo Stivale, soprattutto per quanto riguarda alcune questioni calde in Sicilia: prime fra tutte istruzione e sanità.
Intanto la legge stabilisce, tra le altre cose, che l’attribuzione di funzioni riferibili ai diritti civili e sociali, garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i cosiddetti Lep. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il riconoscimento di una o più “forme di autonomia” è subordinata alla definizione di criteri che stabiliscono il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio italiano. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avviene sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Il negoziato per l’attribuzione di nuove funzioni viene proposto dalla Regione interessata al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali. A questo punto il presidente del Consiglio può limitare l’oggetto del negoziato relegandolo ad alcune materie.
Il professore di Economia regionale presso l’Università di Palermo, Vincenzo Provenzano, mette a fuoco i temi del regionalismo differenziato attraverso una ricostruzione obiettiva dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall’applicazione pratica di questo principio, e scevra da ogni riferimento politico. Sicuramente il quadro delineato non è dei più confortanti, perché il problema cruciale è che Nord e Sud non sono preparati allo stesso modo per affrontare gli effetti dell’autonomia differenziata: i nastri di partenza sono molto diversi. Secondo Provenzano ci sarà il regionalismo dei ricchi, come quello di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, e quello dei poveri appartenente alle regioni del Sud. Insomma, un’autonomia differenziata a due velocità.
“Prima di fare le leggi, bisognerebbe fare due conti”, ha spiegato il professore Provenzano. C’è un aspetto fondamentale che rappresenta il fil rouge dell’impianto normativo: la determinazione dei Lep che rappresentano il nucleo di prestazioni da fornire in modo omogeneo in tutta Italia per garantire a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione di residenza i servizi pubblici essenziali come scuola, assistenza sanitaria, giusto per citarne alcuni. Se non verranno determinati in modo preciso, sarà impossibile ribaltare alle regioni del Nord le risorse finanziarie oggi detenute dallo Stato. Il trasferimento delle funzioni sarà possibile solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. La mancanza di definizione dei Lep e del loro finanziamento non sarà possibile per una Regione ottenere un livello maggiore di autonomia.
Su questo fronte il Governo romano è delegato a determinare, entro 24 mesi dall’approvazione della legge, i livelli essenziali delle prestazionimentre il trasferimento delle funzioni attinenti a materie riferibili ai Lep può essere deciso soltanto successivamente alla definizione di tali livelli e ai relativi costi e fabbisogni standard e comunque dopo lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie. Inoltre, è stato specificato che tali risorse devono assicurare gli stessi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese. Poi, dovrà essere garantita l’invarianza della proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, insieme alla perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Un esempio pratico per comprendere il punto è quello fornito da Provenzano nell’ambito della sistema sanitario pubblico e che concerne i Lea, i quali chiariscono ancora di più il divario tra Nord e Sud. L’esperienza trentennale della determinazione dei livelli essenziali di assistenza in sanità ha mostrato tutte le complessità rispetto al confronto regionale tra quantità e qualità dei servizi offerti. I due anni previsti per la determinazione dei Lep approvata in Senato è una ipotesi ottimistica, a ciò si aggiungono i 10 anni di regime provvisorio, più altri dieci di rinnovo automatico dell’autonomia differenziata.
L’altro tema è la scuola. Cosa accadrà in Sicilia, se pensiamo che l’istruzione sarà gestita a livello regionale insieme alle risorse corrispondenti? Gli effetti saranno diversi da regione a regione. Un esempio su tutti è il Veneto. Provenzano tira le somme. Potendo usufruire di una parte del proprio residuo fiscale a disposizione – cioè la differenza tra tasse pagate rispetto ai servizi ricevuti – è facile capire e prevedere che gli insegnanti veneti saranno pagati di più rispetto a quelli siciliani. Il riflesso automatico? “Un docente palermitano sarà spinto a lasciare il proprio paese, per andare a lavorare al Nord, depauperando la Sicilia delle migliori risorse professionali che abbiamo sul campo”. Ecco che le “gabbie salariali” dilateranno la forbice tra le varie regioni.
In questo quadro, già critico, la redistribuzione delle risorse avrà un impatto sostanziale sull’intero funzionamento dello Stato. Si innescherà un altro meccanismo per cui “La regione che ha di più e che può spendere di più, vorrà godere di vantaggi specifici. È un regionalismo rapace, duro, per nulla solidale. E non è solo un problema tecnico, ma anche politico. Chi definirà le regole del gioco in un Paese in cui già da anni le regioni più avanzate e più forti economicamente sono in grado di influenzare l’andamento delle cose? Una locomotiva della crescita che sarà sempre guidata egoisticamente dalle regioni del Nord. Si spaccherà lo Stato. Da noi ci sono problemi sociali ed economici rilevanti”.
“L’autonomia siciliana è stata gestita male. Poi ci sono servizi e aree di intervento che sono indivisibili, come la Protezione civile e la difesa dello Stato. Aggiungo che si tratta di uno strumento che, per come è stato strutturato, non può funzionare. La riforma tecnicamente non è chiara e poi non farà che acuire le tensioni in Italia che perde di credibilità. Che tipo di forze centrifughe scateneranno questi processi?”.
IlSicilia.it, venerdì 21 Giugno 2024
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