martedì, giugno 11, 2024

A Noto Cultura della legalità e dell’identità popolare con il Pm Marzia Sabella


A Noto, lo scorso 8 giugno, è stato presentato l’ultimo saggio del procuratore aggiunto di Palermo, Marzia Sabella.L’evento si è svolto presso la Sala Gagliardi, organizzato dalla Galleria EtnoAntropologica, ente promotore del Premio HONOS 2024 per la legalità e la cittadinanza attiva.

Un pubblico attento, rappresentanti militari e politici, tra cui il primo cittadino di Noto Corrado Figura,ha rafforzato la profonda riflessione sulla funzione delle donne nel crimine, sottolineando la differenza tra donne d’onore e donne del disonore.

Protagonista della serata è stata la storia di Serafina Battaglia, tra le prime a schierarsi contro i boss negli anni '60.

Al centro del salotto culturale non poteva mancare un momento di memoria dedicato all’importanza di uomini come il magistrato Cesare Terranova, ucciso per mano mafiosa nel 1979 a Palermo e che ascoltò Fina Battaglia, ritenendola “fonte di verità”. 

Marzia Sabella insieme a Laura Liistro, docente e ricercatrice di storia della mafia, ha guidato i presenti in un viaggio di profonda riflessione nelle viscere della Sicilia per arrivare alle origini culturali della mafia, la dove prima di essere un articolo del codice è un modo di essere.

Tramite l’attenta analisi del saggio compiuta da Laura Liistro, il personaggio di Serafina Battaglia è rivissuto staccandosi dalle pagine e facendo rivivere la sua voce, rabbiosa e fiera, con le sue parole crude, nette, sfacciate, intense e ironiche come solo quelle dialettali sanno essere.

“Fina è stata una figura mitologica, una femmina senza timore e senza freni che usa la sua saliva per ‘schifiare’ i mafiosi” così il Pm Marzia Sabella, con semplici parole, ha presentato al pubblico Serafina Battaglia, sottolineando l’essenza di questa donna in lotta per la verità, contro pregiudizi e regole imposte, contro l’ipocrisia, ma anche, paradossalmente, libera.

Serafina fu quella donna coraggiosa capace di denunciare la mafia negli anni Sessanta, subito dopo l'omicidio del compagno e, soprattutto, del figlio Totò, definito da lei "u picciliddu", nonostante i suoi "21 anni, 5 mesi meno 3 giorni.

Dopo i due lutti, decise di rompere il muro dell’omertà parlando con il giudice Cesare Terranova.

Ma Fina era prima di tutto una donna di mafia, perché sapeva e conosceva i mafiosi come tutte le donne dei boss, silenziose e silenziate, ma in realtà forse più potenti di loro. 

Marzia Sabella dichiara di aver scritto questo saggio dopo aver ascoltato la voce di Serafina Battaglia e dopo aver riflettuto sulla sua persona.

Un saggio ispirato ad una triste realtà, tessuto con eleganza tra immaginazione e storia da inserire tra i volumi "mafiologici" in cui viene compiuto un viaggio nelle viscere della Sicilia tra lo sterco umano e l’antico orgoglio criminale, toccando contraddizioni profonde per giungere ai "valori mafiosi". 

La "vedova con la P38" , così definita Serafina Battaglia perché girava sempre con l'arma che sapeva usare anche meglio dei maschi, temeraria, a tratti fragile, eppure così potente, aveva una vera arma, il suo sputo, come ha rimarcato Sabella che, se fosse stato però praticato da tutti negli ultimi decenni, ci avrebbe portato ad una storia diversa.

Nel libro volteggia l’aria della rivoluzione, ma quella mancata, purtroppo, perché pensandoci bene e osservando il nostro presente, ci vorrebbe un po' più di saliva e di coraggio di Serafina Battaglia per evitare il diffondersi della cultura mafiosa che dilaga senza timore tra le nuove generazioni, sia nel modo di fare che del pensare.










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