venerdì, giugno 28, 2024

Lotta al racket. I vent’anni di Addiopizzo


La notte fra il 28 e il 29 giugno del 2004 Palermo fu tappezzata di adesivi: “Un intero popolo che paga è un popolo senza dignità”. 

di Salvo Palazzolo

«Vent’anni fa volevamo solo aprire un pub nel centro storico», sorride Raffaele Genova, che oggi fa il medico. «E mentre fantasticavamo piombò la domanda – ricorda Laura Nocilla – se poi ci vengono a chiedere il pizzo che facciamo?» . Fra una birra e l’altra, qualcuno propose: «Riempiamo Palermo di adesivi». Bella idea, ma per scrivere cosa? Fu Vittorio Greco a inventare la frase diventata il simbolo di Addiopizzo, l’associazione di cittadini che ha definitivamente infranto il muro dell’omertà in Sicilia: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». 


Vent’anni fa, la notte fra il 28 e il 29 giugno, in sette tappezzarono in gran segreto il centro di Palermo di adesivi. Il giorno dopo, successe il finimondo. Arrivò a riunirsi anche il comitato provinciale ordine pubblico, in prefettura, per interrogarsi sui misteriosi autori del “raid”. «Erano i giorni in cui l’ottanta per cento di commercianti e imprenditori pagava il pizzo – racconta ancora Raffaele Genova – ma nel tessuto sociale, economico e politico non si riconosceva la gravità di tale fenomeno » . Eppure, già nel 1991, un imprenditore coraggioso aveva pagato con la vita il suo no al pizzo, era Libero Grassi. È ancora oggi un punto di riferimento per i ragazzi di Addiopizzo. « Perché la lotta alla mafia è tutt’altro che conclusa » , dice Nino Di Gregorio. 
Però, questa sembra davvero un’altra Palermo. Dopo quella notte di attacchinaggio clandestino, Addiopizzo è diventata la principale associazione antiracket italiana formata da semplici cittadini: «Sono 300 i commercianti e gli imprenditori che abbiamo accompagnato a denunciare, affrancandosi così dai condizionamenti mafiosi » , spiega l’avvocato Salvatore Caradonna. Nel frattempo, le intercettazioni disposte dalla procura di Palermo hanno registrato i mafiosi che ripetono, quasi ossessivamente: « Da quelli che mostrano l’adesivo di Addiopizzo non dobbiamo andare a chiedere il pizzo. Perché ci denunciano subito » . E poco a poco, in questi vent’anni, gli adesivi di Addiopizzo sono diventati più di mille: « Non si poteva pretendere che commercianti e imprenditori denunciassero se il tessuto sociale restava indifferente » , spiega Linda Vetrano, anche lei nel gruppo storico dell’associazione. « Così è nato un altro slogan importante: “ Contro il pizzo cambia i consumi”. Ovvero, “pago chi non paga”, per sensibilizzare i cittadini a scegliere i commercianti che si oppongono ai condizionamenti di Cosa nostra » . Le intercettazioni nelle viscere dell’universo mafioso si sono fatte sempre più roventi. Un boss in carcere meditava di organizzare « qualche scherzetto a questi di Addiopizzo » . Intanto, la prese di posizione sono aumentate sempre più. Nel 2016, è arrivata una delle più importanti denunce collettive, fatta da commercianti di una stessa strada: «Ma non erano italiani, bensì bengalesi – racconta l’avvocato Caradonna – un gesto di grande senso civico. Come quello che più di recente hanno fatto gli operai di un imprenditore che ha denunciato gli esattori: pure loro si sono costituiti parte civile». 
In questi giorni, c’è gran fermento nella sede dell’associazione, in via Lincoln, un tempo era una delle basi operative del boss Masino Spadaro. Pico Di Trapani sta finendo di sistemare i pannelli della mostra che verrà presentata domani mattina al “No Mafia Memorial” di corso Vittorio Emanuele, sui vent’anni dell’associazione. Ci sono articoli, foto, comunicati e prese di posizione. Addiopizzo è ormai un “ metodo” di antimafia, che viene studiato pure all’estero. E questi cittadini impegnati non si sono limitati a fare da tramite fra gli operatori economici e la procura della repubblica, le forze dell’ordine: «Chiediamo anche a chi ricopre ruoli di politica rappresentativa di comportarsi in modo esemplare, soprattutto nel momento della raccolta del consenso in campagna elettorale – dice Pico Di Trapani – altrimenti come potremmo pretendere da commercianti e imprenditori scelte di rottura?». In sede arrivano altri due imprenditori per chiedere informazioni e fare un colloquio. « Ancora oggi c’è chi paga e non denuncia – dice Daniele Marannano – ma c’è bisogno di aggiornare l’analisi e la narrazione: molti operatori economici più che subire, ricercano la messa a posto, in un contesto il cui il pizzo costituisce il prezzo che viene corrisposto per avere in cambio spazi di mercato o più semplicemente servizi». Un imprenditore voleva il monopolio di un certo prodotto e si rivolse ai mafiosi. Un commerciante voleva invece recuperare un credito, un altro puntava a riavere quanto gli era stato rubato. « A Palermo continua ad esserci una gran voglia di mafia», dicono i ragazzi di Addiopizzo. «Per questo il nostro è anche un impegno culturale sul territorio » , spiega Orietta Piazza. «Proprio nel quartiere dove si trova la nostra sede, alla Kalsa: lavoriamo con bambini e famiglie che vivono in condizione di marginalità sociale». 
È la Palermo che cambia. Ma, ogni tanto, sembra che le lancette del tempo tornino pericolosamente indietro. Qualche giorno fa, Addiopizzo si è costituita parte civile non contro i mafiosi, ma contro 31 commercianti della periferia orientale, che hanno preferito non denunciare il pizzo. Anche quando sono stati chiamati in caserma e hanno saputo che gli esattori del racket erano stati intercettati. «La lotta alla mafia prosegue», ripetono i ragazzi di Addiopizzo. 
La Repubblica Palermo, 28/6/2024

Nessun commento: