Al centro degli affari la provincia di Trapani
GIOVANNI BURGIO
Nella storia di Cosa Nostra la città di Trapani e la sua provincia hanno sempre rappresentato un ricco forziere per i boss. Era qui che nei decenni passati il rapporto fra sportelli bancari e popolazione residente era il più elevato di tutt’Italia. E la conferma di questa particolare caratteristica della provincia più occidentale della Sicilia si è avuta il 16 aprile, quando 11 persone sono state arrestate e altre 12 indagate.
Da quest’ultima indagine della DDA palermitana è emerso proprio l’aspetto bancario-finanziario delle operazioni illecite concepite dagli uomini delle famiglie mafiose e dai loro esperti in materia. Anche se sembra, tuttavia, che alcune di queste attività non siano andate a buon fine.
Sarebbero stati Salvatore e Andrea Angelo, padre e figlio, di Salemi, vicini a Matteo Messina Denaro, i principali attori delle azioni messe in atto in questi ultimi anni. A loro si sarebbero rivolti alcuni boss palermitani per recuperare il denaro conservato in Germania. Michele Micalizzi, figura di rilievo del mandamento San Lorenzo – Tommaso Natale di Palermo, Vincenzo Lo Piccolo, Salvatore Lotà e Salvatore Marsalone, per il tramite di Michele Mondino con gli Angelo, avrebbero affidato a Giuseppe Burrafato il delicato compito di trasferire dalla Germani fin nelle loro tasche due ingenti somme di denaro, una di 12 e l’altra di 5 milioni di euro.
Prelevati dapprima 12 milioni di euro dalla Deutsche Bank di Francoforte e depositati in una filiale della Hsbc sempre della medesima città, successivamente la somma sarebbe andata a finire sul conto di una società. A questo punto si sarebbero dovute individuare le persone pronte ad accettare il denaro (nelle intercettazioni si parla di “Una signora che ha 40mila palle, che conosce tutto il mondo, parla 4 o 5 lingue”, ma si discute anche di imprenditori spagnoli e irlandesi). Ed è in questo momento che si perdono le tracce del denaro.
I “codici di scarico” che il metodo Swift prevede per potere prelevare le somme, sono confusi, imprecisi: “Vedo cose sbagliate, numeri sbagliati. Tu mi dici un numero e lui mi dice un altro numero” dice Lo Piccolo a Burrafato. Il quale a sua volta è perplesso, se non addirittura arrabbiato: “Io domani lo capisco subito se è una cosa vera o è una minchiata. La sensazione è che sono tutte fesserie”. Un consulente dei magistrati ha affermato che tutta l’operazione finanziaria “non avrebbe mai passato la valutazione dello standard operata da una rete Swift”, e da qui l’ipotesi degli inquirenti che qualcuno abbia tentato di truffare i boss. Oppure, aggiungiamo noi, non si è stati capaci tecnicamente di aggirare gli ostacoli.
L’altro affare che vedrebbe sempre gli Angelo al centro di transazioni monetarie è il cambio di ingenti somme da vecchie lire in euro. Questa volta, però, sono i calabresi che trattano la partita finanziaria, in particolare Paolo Nirta dell’omonima ‘ndrina di San Luca. E ancora una volta ci sarebbero di mezzo Giuseppe Burrafato e la Germania. Si tratterebbe di quantità milionarie provenienti dai sequestri di persone. Di sicuro c’è l’attuale forte e preminente ruolo della ‘ndrangheta nei traffici illeciti in tutta Europa: “Nirta ha un potere a livello europeo che tu nemmeno hai l’idea – dice Burrafato – Lì parliamo di gente che hanno tre-quattro-cinquemila uomini a disposizione”.
In quest’inchiesta c’è anche Favignana e la sua rete elettrica. Elisabetta Bonsignore, procuratrice speciale della Sea, la società che gestisce la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica nell’isola di Favignana, avrebbe preteso soldi e tangenti in cambio dell’affidamento di appalti del valore di cinquecentomila euro. Per i lavori di scavo e ripristino di alcune linee di distribuzione di energia e per la fornitura di carburante per la centrale termoelettrica, grazie a offerte concordate con imprese conniventi, sarebbero state favorite la Omnia di Antonio Putaggio e la Fb Trasporti di Natale e Giovanni Beltrallo.
Un’operazione andata sicuramente a vuoto è quella in cui si sarebbero dovuti investire alcuni soldi sporchi nell’acquisto di dodici supermercati a marchio COOP nella Sicilia occidentale.
Giovanni Burgio
12.5.24
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