mercoledì, maggio 15, 2024

Ridulfo (Cgil): “Il movimento dei Fasci fu guidato da un profondo bisogno di giustizia sociale con una profonda spinta rivoluzionaria”

L’intervento di Mario Ridulfo

Ieri ed oggi tra Palermo e Corleone si è svolto un importante convegno sui 130 anni dei Fasci dei lavoratori, organizzato dall’Università di Palermo, dall’Istituto Gramsci e dalla Cgil Palermo. A confrontarsi 19 storici e ricercatori delle università meridionali. Alla sessione inaugurale di Palermo del 14 maggio ha portato un saluto Mario Ridulfo, segretario generale Cgil Palermo, il cui intervento pubblichiamo integralmente.

MARIO RIDULFO

Che cosa fu realmente il movimento dei Fasci? Movimento popolare, guidato da un profondo bisogno di giustizia che invoca il cambiamento e che ha una forte spinta rivoluzionaria, una vocazione al conflitto sociale. Questa forza di liberazione alla fine dell’800 si esprime con il movimento dei Fasci siciliani.

Una forza profonda della giustizia, cioè che genera quella che Hegel chiamava “la dialettica” e che in termini marxisti definiamo “conflitto”. Esplode, la lotta di classe, su temi che sono politici e insieme di lotta sociale, di lotta sindacale.

Questa forza profonda, questo “dio vivente della storia” (Hegel), che è la vocazione alla giustizia, esplode nelle situazioni più impensate, anche quando partiti ufficiali, movimenti ufficiali, teorie e dottrine ufficiali, non lo prevedono o non lo propiziano.

Certamente non la vandea dei poveri, ma bensì un movimento popolare scaturito dall’arretratezza. “Un movimento di massa” (Adolfo Rossi), che coinvolse centinaia di migliaia di siciliani, oltre trecentomila, a volte inglobando la popolazione di interi paesi, con una vasta e impressionante partecipazione femminile.

Un movimento capace di moderna organizzazione dotatosi di un efficiente apparato direttivo con personalità aperte al più vasto dialogo sociale, il più vasto e il più efficiente tra quelli apparsi in Europa, senz’altro in Italia, dopo la Comune di Parigi.

“Un movimento oggettivamente antimafia perché decisamente rivolto contro il sistema del latifondo e, pertanto, minaccioso per gli interessi parassitari che in quel sistema costituiva, sul ferreo asse gerarchico baroni-gabelloti, l’apparato reale del potere mafioso al cui servizio operava la criminalità.

Nel complesso, pur segnati da contraddizioni dovute al lavorio delle stesse infiltrazioni mafiose, i Fasci siciliani diedero vita alla prima, grande esperienza di antimafia sociale”. (U.Santino)

Il contesto siciliano d’altronde è drammatico e precipita.

Dopo l’eccidio di alcuni lavoratori a Caltavuturo, in provincia di Palermo, nel gennaio 1893, seguì lo stato d’assedio: una misura drastica che conferiva pieni poteri all’esercito, e che fu promulgata nei primi giorni del nuovo anno. I motivi dell’agitazione andavano cercati allora nella struttura sociale, politica ed economica che si era creata. Era la miseria a creare il più grave disagio, a fomentare la ribellione e preparare il terreno per l’avanzata socialista. Un quadro assai desolante in cui la mafia diventa consorteria diretta alla tutela delle persone e degli interessi all’infuori delle leggi. Per questo la mafia non poteva vedere di buon occhio un movimento che poteva riuscire a destrutturare i rapporti di forza. “La mafia diventa la forza conservatrice”.

Il cosiddetto moto rivoluzionario era in realtà un movimento spontaneo, che nasceva dalle drammatiche condizioni di vita di gran parte della popolazione e dalla ribellione allo strapotere di coloro che erano i veri padroni della Sicilia: le clientele. In questi comuni siciliani le clientele locali sono capaci di ogni peggior cosa. Tre, quattro famiglie per comune, legate fra di loro da vincoli di parentela e da interessi, dispongono di tutto ciò che riguarda le altre migliaia di cittadini. Chi è della clientela, chi è del partito è uomo, chi non è della clientela, chi non è del partito, è cosa. Le istituzioni erano disinteressate della condizione dei propri cittadini per prediligere l’appoggio dei notabili locali e dei loro clienti, ai quali in cambio lasciavano mano libera per signoreggiare, nei termini che abbiamo visto, sul resto della popolazione

È importante a mio avviso sottolineare come la esperienza dei fasci siciliani si inserisce in una grande corrente di pensiero europeo e non in una esperienza isolata (e isolana), che seppur stroncata seppe continuare da lì a pochissimi anni (5-6 anni), in altre forme.

Rosario Garibaldi Bosco, fondatore del fascio prima e della Camera del lavoro dopo, ambiva a dare una forma e un'organizzazione al movimento operaio cittadino. Aspirava a costruire un processo nel quale il movimento operaio avrebbe potuto costruire il suo potere contrattuale nei confronti del padronato.

Il 1° settembre del 1901 spettò a lui pronunciare il discorso di inaugurazione della Camera del Lavoro di Palermo, davanti a tutte le società operaie aderenti (tra cui l'Unione Operaia palermitana, le cooperative dei tipografi, dei macellai, degli indoratori e verniciatori, degli ebanisti e scultori in legno, dei fornai, degli in tagliapietre, degli scalpellini, dei sellai e guarnamentai, dei murifabbri e falegnami, le leghe dei fiorai, dei mugnai, dei metallurgici, dei barbieri, degli impiegati di commercio, le società dei lavoratori del libro, del pane francese, le società di miglioramento tra gli spazzini comunali, dei battellieri del porto, dei carrettieri e caricatori del grano, degli stivatori di bordo). Un ruolo fondamentale l’ebbe l'Unione Operaia Palermitana del mandamento Tribunali, organizzazione operaia di mutuo soccorso che nell'aprile del 1901 deliberò la costituzione della sede. La proposta fu accolta da più di 50 società operaie, cooperative e associazioni e in poco tempo 6.711 operai di tutti i settori si iscrissero e ottennero la loro tessera sindacale. Inizialmente, gli scopi della Camera del Lavoro erano il collocamento, l'istruzione, l'assistenza, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Ma, secondo i suoi fondatori, il fine ultimo era quello di “elevare la condizione morale” dei lavoratori, abituandoli alla civile vita dell’associazionismo e infondendo i valori di solidarietà, rispetto e fratellanza come leva per scalzare i vecchi pregiudizi e la rivalità tra operai. A Palermo e poi in provincia, dunque l’esperienza di Nicola Barbato, di Bernardino Verro, viene ripresa con le istituzioni delle Camere del lavoro che recuperano in maniera diversa l’esperienza dei fasci e pongono le basi per la nascita di una organizzazione operaia e contadina autonoma in quella che sarà l’elaborazione successiva di Nicolò Alongi di Prizzi e di Giovanni Orcel di Palermo, cioè di una alleanza tra operai della città e contadini delle campagne.

Una lotta, repressa nel sangue, che riprenderà nel secondo dopoguerra in una vera e propria seconda lotta di liberazione che ancora nel sangue avrà i suoi momenti più gloriosi.

Il tema per una organizzazione come la CGIL e la Camera del Lavoro di Palermo, che affonda le radici nel tempo dei Fasci è: come attualizzare il pensiero e l’azione che produssero quel movimento, in questo tempo?

Scriveva Pasolini: “in fondo il ‘rapporto sociale’ che si incarnava nel rapporto tra servo della gleba e feudatario, non era poi molto diverso da quello che si incarnava nel rapporto tra operaio e padrone dell’industria: e comunque, continua, si trattava di rapporti sociali che si sono dimostrati ugualmente modificabili”.

“Ma adesso, per parafrasare Pasolini, se i rapporti sociali tra la seconda e la terza rivoluzione industriale sono stati, con le lotte “modificabili”, in questa quarta rivoluzione industriale, in cui è crescente la compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico, un mondo cioè in cui c’è una fusione di progressi in intelligenza artificiale robotica, Internet, ingegneria genetica, computer quantistici e altre tecnologie.... Ecco in questo mondo di oggi: i rapporti sociali non rischiano di essere immodificabili?

“I bisogni indotti dal vecchio capitalismo, scriveva Pasolini, erano in fondo molto simili ai bisogni primari.

I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre e che Pasolini intravvede (già nel 1975 a due giorni dal suo omicidio), sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Un capitalismo cioè che non si limita a cambiare il tipo d’uomo, ma l’umanità stessa”.

Il consumismo, l’economia lineare (quella dell’usa e getta), estremizzazione del capitalismo, crea rapporti sociali immodificabili e al posto del vecchio “clerico- fascismo”, crea un nuovo “tecno-fascismo” .......e così siamo ai giorni nostri!

Dalla esperienza dei fasci siciliani, dunque possiamo, dobbiamo, trarre insegnamento e ispirazione, per alimentare la memoria, per difendere le istituzioni democratiche e Repubblicane, per costruire il Movimento.

Mario Ridulfo

14 maggio 2024

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