Condividiamo la necessità di «rilanciare l’idea di un fronte unico che punti a un cammino unitario dell’antimafia sociale, che favorisca in tutti i cittadini di sentirsi parte in causa».
La lotta alla mafia deve essere declinata nella lotta per i diritti, tutti i diritti: al lavoro, alla casa, all’ambiente, alla scuola, alla salute, ai diritti civili e di genere. Per questo, noi diciamo: non bastano le sole commemorazioni. Ma l’antimafia sociale non può essere cerimoniale. Per questo a Palermo, abbiamo dato vita assieme ad una rete di associazioni, al «Coordinamento Sociale Antimafia».
Noi tutti, dobbiamo rispetto per le Istituzioni. Questo rispetto, però non può essere misurato in ragione dei fondi elargiti. I finanziamenti pubblici non possono condizionare l’antimafia sociale. Nessuna rassegnazione ci è consentita, né nei confronti della politica della mafia, né nei confronti della mafia della cattiva politica, di quella che parla di Falcone e Borsellino e poi scende a compromessi a fa affari con la mafia. Noi non possiamo accontentarci di una antimafia che fa retorica celebrativa, perché da sempre, allo stesso modo e allo stesso tempo, la lotta alla mafia è lotta per la giustizia sociale. In molte parti delle nostre città il voto non è libero è sotto ricatto, è comprato e venduto. Noi non diciamo nulla di nuovo, ma lo diciamo da tempo: esiste un mercato del voto, cioè soldi. Un traffico di voti sporchi, che per la mafia diventano soldi, che mina l’esistenza stessa della nostra democrazia. Questo malaffare lucra sui bisogni della gente, alimentando una economia nera, illegale, che alimenta le fortune di alcuni cacicchi. Se la politica vuole fare pulizia, deve guardarsi dentro e cominciare da sé stessa, ma questo vale anche per il resto della società civile, dalle associazioni di impresa alle stesse associazioni antimafia, alle chiese, al movimento sindacale. La lunga stagione di lotta alla mafia affonda le radici nella prima forma di associazionismo antimafia (senza fondi e senza retorica), fatta da contadini e operai siciliani. Senza loro e senza il sacrificio di persone come Pio La Torre, noi oggi non avremmo l’attuale legislazione antimafia. È stata la loro capacità di ascolto, diremmo oggi di «connessione» con le persone, che ha portato all’intuizione che è diventata la legge sul sequestro, la confisca e poi il riuso dei beni sottratti alla mafia. Una «idea dal basso» di riappropriazione democratica delle cose, del territorio, insomma di ciò che la mafia accumula con la violenza sulle persone, governando come uno Stato nello Stato. Ma, lo Stato quello democratico, non si può presentare solo con il suo apparato repressivo o in campagna elettorale (in cui tra l’altro, al momento del voto, ormai partecipa meno di un elettore su due). Noi siamo contro la mafia e contro la cattiva politica, che esercita il potere della corruzione e che corrompe e inquina le istituzioni. Bisognerebbe, dunque, avere tutti questa volontà, perché la lotta alla mafia non è una cerimonia.*Segretario generale Cgil Camera del Lavoro di Palermo
GdS, 18/5/2024
Nessun commento:
Posta un commento