Cos’è l’antropo psichismo mafioso? E come incide nell’analisi di Cosa Nostra? Dalle stragi mafiose alla cattura di Matteo Messina Denaro, la mafia sta cambiando: muta la mentalità, la famiglia, gli stili di vita, così come quel mondo un tempo impermeabile. L’antropo-psicologia vuole dare una risposta a tutto questo, cominciando con il chiedersi a che punto sia oggi l’antropopsichismo mafioso, dopo i grandi stravolgimenti degli ultimi decenni.
Lo fa con un convegno che si tiene il 17 e il 18 maggio, a Palermo, presso la Sala delle Bifore di Palazzo Sclafani, in piazza San Giovanni Decollato: due giornate di incontri e dibattiti con i massimi studiosi di una materia che ha cambiato il modo di guardare la mafia.
Il convegno vuole essere anche un omaggio a Giovanni Falcone, colui che è stato il più grande esperto del fenomeno mafioso, che ne ha rivoluzionato l’approccio, utilizzando un metodo anche antropo-psicologico nei confronti della mafia e dei collaboratori di giustizia. Basti pensare all’uso nella relazione con Buscetta del metodo analitico: massima alleanza, ma nessuna collusione.
Con il coordinamento scientifico di Girolamo Lo Verso – professore ordinario di Psicoterapia e Psicologia del fenomeno mafioso dell’Università degli Studi di Palermo f.r. (fuori ruolo), Professore di Psicoterapia, nonché principale esponente di questi studi e colui che li ha avviati in Italia – le due giornate saranno introdotte dai saluti istituzionali di tante personalità del mondo istituzionale, accademico e della legalità, come Gaetano Galvagno, Antonello Cracolici, Maria Falcone, Dario Greco, Adriano Schimmenti, Carmelo Pollichino e Ottavio Navarra.
Il convegno proseguirà con interventi di magistrati competenti in materia – tra gli altri, quello di Gioacchino Natoli, già presidente della Corte di Appello di Palermo, Nino Caleca, componente CGA, Maurizio De Lucia, procuratore della Repubblica del Tribunale di Palermo, Leonardo Agueci, magistrato, Luigi Patronaggio, procuratore generale di Cagliari, Antonio Balsamo, sostituto procuratore generale Corte di cassazione – e di psicologi clinici, come Cecilia Giordano, Serena Giunta, Graziella Zizzo.
I contributi dei prestigiosi esperti coinvolti ruoteranno intorno ad alcuni panel: i beni confiscati, da realtà mortifera a occasione di sviluppo socioeconomico e antropopsichico, l’evoluzione della ricerca psicologico-clinica sulla psicologia mafiosa e l’antropopsicologia mafiosa oggi.
HLe due giornate avranno due momenti conclusivi: venerdì alle 18:00, affidato alle letture di Martino Lo Cascio, tratte da “Il giardino della memoria. I 779 giorni del sequestro Di Matteo” e sabato alle 17:00 i lavori si chiuderanno con la proiezione di alcuni passaggi del documentario “Chiedi chi era Giovanni Falcone” di Gino Clemente.
Sulla scia delle grandi intuizioni di Falcone, Dalla Chiesa, Sciascia, Lo Verso e il suo gruppo di studio hanno cominciato a guardare il fenomeno mafioso sotto la lente della psicologia clinica, avvalendosi negli anni anche di contributi multidisciplinari. Dopo oltre due decenni di ricerche sul campo, di esplorazione del legame tra mafia e psicologia, il convegno nasce ora dalla necessità di approfondire l’evoluzione delle organizzazioni mafiose e i cambiamenti in corso dell’antropopsichismo mafioso, in particolare di Cosa nostra.
“L’iniziativa è volta a comprendere i cambiamenti in atto grazie all’approccio dell’antropopsicologia – spiega Lo Verso – le mafie continuano ad essere estremamente abili nell’adattarsi, compensare i bisogni della cittadinanza non soddisfatti dallo Stato, ottenere consenso. Dopo le stragi di via Capaci e D’Amelio, le strategie d’attacco delle organizzazioni si sono modificate e così anche l’addestramento e le modalità mafiose. Per esempio, riuscire a inserirsi nelle istituzioni è considerato più urgente che in passato”.
Perché l’antroposicologia può essere una valida alleata nella comprensione delle dinamiche mafiose e nella lotta a Cosa nostra? Perché la mafia non è una semplice organizzazione criminale, ma una realtà identitaria antropopsichica totalizzante e fondamentalista, un mondo familiare chiuso ed ostile rispetto al mondo esterno che plasma il mondo interno dei mafiosi, e ciò la rende ancora più pericolosa e incompatibile con la civiltà e la democrazia. Adesione totalizzante al contesto, creazione di confini labili tra il pensiero personale e quello familiare: il mafioso che uccide non ha residui emotivi o onirici, ma una totale indifferenza – secondo quel che è emerso dalle ricerche degli ultimi anni in cui Lo Verso e la sua equipe hanno parlato con numerosi collaboratori di giustizia, avvalendosi, al contempo, del contributo di esperti di diversi ambiti, come attivisti, magistrati ed esperti di legalità.
Grazie al pionieristico lavoro del gruppo dell’Università di Palermo, oggi riconosciuto in tutto il mondo, tutto quello che a oggi si sa sullo psichismo mafioso e sulla psicologia di queste organizzazioni criminali deriva da più di due decenni di studi teorici e ricerche empiriche sul campo, che hanno permesso di ottenere dei dati di prima mano su cui lavorare in modo originale. È emerso quello che il gruppo di studio ha definito “fondamentalismo psichico”: le mafie trasmettono una psicologia totalitaria e totalizzante. Un approccio patologicamente iper saturo che non permette ai suoi membri di maturare come soggetti singoli e autonomi in grado di avere un pensiero critico nel confronti della realtà. Il principale obiettivo delle mafie, così come di tutti i fondamentalismi e i totalitarismi, è il potere, e il suo perseguimento diventa la base fondante dell’identità di ciascun membro.
Oltre a indagare la vera natura dell’uomo d’onore, le caratteristiche della sua identità e tutto ciò che ne deriva in termini di relazioni con il mondo, questo approccio permette di superare certi stereotipi che spesso inquinano il dibattito.
La cinematografia, ad esempio, ha prodotti molti film sulla mafia, ma una buona parte di questi risulta macchiettistica. Il mafioso e l’uomo d’onore viene descritto nei film come coraggioso, forte. Quella sensazione di onnipotenza nasconde in realtà una totale dipendenza psicologica dall’organizzazione e un’indifferenza nei confronti della morte, che rappresenta il prezzo da pagare per ottenere denaro, potere, riconoscimento. La fragilità identitaria del mafioso deriva quasi esclusivamente dalle regole del contesto in cui è nato e cresciuto, regole che impediscono la sua soggettività. È solo dopo queste premesse che si può comprendere il vero motivo per cui Cosa nostra è una mafia identitaria, cosa che non accade per altre organizzazioni criminali che pur si avvalgono del metodo mafioso.
La ricerca si è molto ampliata e ha interessato i media di tutto il mondo, contribuendo ad allargare la comprensione delle mafie e arrivando alla conclusione, anche con il confronto con attenti magistrati antimafia, che pure la conoscenza di questo aspetto è indispensabile al contrasto. Si è confermato, per esempio, che se non si interrompe la comunicazione, il sistema di potere mafioso resta intatto perché un mafioso può stare anche vent’anni in galera senza cambiare o pentirsi, e che senza un controllo territoriale e una condivisione antropologica e familiare forte, le mafie non esisterebbero.
Oscurantiste, conservatrici, violente, omofobe, chiuse in se stesse, anche le organizzazioni mafiose si adattano e subiscono i cambiamenti, cambiando anche da un punto di vista antropo-psicologico. Dalle nuove reclute alla femminilizzazione, dalla reazione dello Stato e della società civile al grande numero di collaboratori di giustizia grazie alle intercettazioni, e poi il 41 bis, i mutamenti all’interno della famigghia e del modo di vivere la sessualità, il rapporto con la Chiesa, così come certe forme di contiguità con il sistema di potere, fino ad arrivare all’arresto di Matteo Messina Denaro: un modello di mafiosità profondamente diverso da quello tradizionale incarnato da colui che ha detto: “Mi arrendo alla malattia e non allo Stato” e in cui le problematiche antropologiche e la comprensione dei contesti restano fondamentali per comprendere il cambiamento che Messina Denaro rappresenta.
“Mafiosi si nasce e si diventa, se da un lato il suo destino è già scritto, dall’altro si viene addestrati a essere uomini e donne d’onore, attraverso la trasmissione di valori – spiega Lo Verso – ma come diceva Giovanni Falcone, la mafia va ridotta a una semplice organizzazione criminale, solo allora possiamo dire di avere vinto”. Ecco perché l’antropopsichismo mafioso resta fondamentale.
Al convegno sono quindi chiamati a contribuire operatori e studiosi che hanno già condiviso queste ricerche: psicologi, giornalisti, scrittori, politici, magistrati, storici. Si avvale altresì della collaborazione di ricerca dei gruppi di studio sulla psicologia mafiosa su Matteo Messina Denaro. Inoltre, è stato preceduto da un incontro di studio a Caltanissetta, il 15 e 16 aprile, promosso dal primo Parco Mondiale Policentrico e Diffuso dello Stile di Vita Mediterraneo.
Il convegno fa parte del XIII Festival Settimana delle Culture che si svolge dall’11 al 19 maggio. Inoltre, è stato realizzato con il sostegno dall’Assemblea Regionale Siciliana, il patrocinio della Fondazione Falcone, in collaborazione con la Fondazione Federico II, Commissione Parlamentare Antimafia dell’Ars, l’Idimed – Istituto per la Promozione e la Valorizzazione della Dieta del Mediterraneo, il Parco per lo Stile di Vita Mediterraneo, Libera Palermo, Associazione Il Pane e le Rose, Mesogea edizioni.
L’ingresso è libero. A richiesta sarà rilasciato attestato di partecipazione.
Luogo: Palazzo Sclafani, Sala delle Bifore, Piazza Decollato, 2, PALERMO, PALERMO, SICILIA
Press Service, 12 maggio 2024
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