Francesca Morvillo e Giovanni Falcone
GIUSEPPE LUMIA
Il tempo passa, avvolge nella nebbia e modifica ogni cosa. Ecco perché anche il ricordo dei grandi eventi, quelli che segnano la storia, ha bisogno di essere coltivato con cura, se non vogliamo che cada anch’esso nell’oblio.
Sulle stragi di mafia, poi, la memoria rischia di essere fagocitata dalla retorica di maniera delle rievocazioni ufficiali. È un rischio da evitare con un supplemento di rigore e cura della ricerca della verità, soprattutto sulle collusioni che favorirono i boss.
Anche la strage di Capaci rimane una ferita aperta. L’esplosivo straziò Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Non dimentichiamo che vi furono anche 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Non manco mai di ricordare il 23 maggio. Quest’anno però vorrei sottolineare in particolare la figura di Francesca Morvillo. Era una bravissima donna magistrato, in gamba, bella e piena di vita e passioni. Aveva studiato con impegno all’università, laureandosi a pieni voti. Aveva poi imboccato la strada della giustizia minorile, dimostrando ancora capacità e qualità.
La sua strada si incrocia nel 1979 con quella di Giovanni Falcone. L’amore li conquista entrambi e via via si legano sempre più, sino a cadere insieme, nel compimento del sacrificio massimo.
Quei giorni del maggio 1992, Francesca Morvillo era impegnata a Roma, nella commissione di concorso per magistrati. Chissà come desiderava trascorrere quel fine settimana a Palermo con il suo sposo, chissà quali obiettivi voleva ancora raggiungere nella sua professione, chissà quali progetti voleva edificare nella intima unione con il suo amato Giovanni...
Aveva solo 46 anni, quando a Capaci si interruppero i suoi sogni, i suoi desideri, le sue speranze. Ma una cosa le è riuscita: restare sino alla fine accanto al suo compagno.
Mi piace ricordare che questa parola, “compagno”, viene dal latino “cum panis” e accomuna coloro che mangiano lo stesso pane, cioè che condividono l’esistenza, con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.
Mi piace pensare che in cielo Giovanni e Francesca siano insieme, nella pienezza delle beatitudini. È stato invece un gravissimo errore separarli nelle tombe, senza tenere conto della loro unione. I vivi di questi tempi sbagliano spesso!
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