Passi avanti, ma ancora tanta strada da fare
FABRIZIO RICCI
Scoprire che nel proprio quartiere, magari proprio sotto casa, c’è un bene confiscato alla mafia può causare stupore e disorientamento nelle persone. Di solito la reazione è: ma quindi sono arrivati anche qui? E la risposta non può essere altra che: certo che sono arrivati e da molto tempo. In Italia sono 1.127 gli enti locali, per lo più comuni, sparsi su tutto il territorio nazionale, che sono destinatari di beni confiscati alla criminalità organizzata. Dove “destinatari” significa che a loro è stata affidata la gestione, con l’obiettivo del riutilizzo, di questi patrimoni immobiliari (terreni, appartamenti, capannoni, etc.) sottratti al malaffare grazie alla legge sulla confisca dei beni, che porta il nome di Pio La Torre (legge 646/1982, Rognoni-La Torre), e a quella sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, la legge 109 del 1996, l’atto di battesimo di Libera, l’associazione antimafia che per prima in Italia ha colto l’importanza della restituzione del “maltolto” alla comunità.
Ma il presupposto fondamentale per trasformare le ricchezze dei mafiosi in beni comuni a disposizione dei territori, è che questo immenso patrimonio recuperato dallo Stato sia conosciuto e monitorato attraverso la partecipazione della cittadinanza. Questo è il senso del progetto “RimanDATI”, una grande indagine conoscitiva “dal basso”, promossa proprio da Libera, che punta a fare luce sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali. Perché, come spiega Riccardo Christian Falcone, del settore beni confiscati di Libera, “le cittadine e i cittadini che intendono conoscere se nel loro territorio esistano beni confiscati, dove si trovino, cosa se ne faccia, da chi siano gestiti o perché giacciano inutilizzati, deve avere garantito, come giustamente afferma la legge, il pieno diritto di sapere”.
“Per noi questa terza edizione del report rappresenta un punto di svolta – sottolinea Tatiana Giannone referente nazionale del settore beni confiscati di Libera –. La forza della comunità monitorante ha infatti trovato corrispondenza nei risultati raggiunti: una percentuale di comuni trasparenti che arriva al 45% nella prima ricognizione, per salire al 65% dopo l’invio delle domande di accesso civico”.
Per comuni “trasparenti” Libera intende quelli che pubblicano sul proprio portale istituzionale le informazioni sui beni confiscati destinati all'ente. Ebbene, osservando il dato complessivo nazionale, è evidente che la situazione sia migliorata rispetto alle prime due edizioni del report: la percentuale dei comuni che pubblica l'elenco è infatti passata dal 36,5% del 2022 (pari a 392 comuni su 1073) al 45,5% del 2023 (504 su 1110).
La pubblicazione degli elenchi dei beni confiscati da parte dei comuni italiani
Diminuisce di conseguenza la percentuale dei comuni inadempienti, che passa dal 63,5% del 2022 (681 comuni su 1073) al 54,5% del 2023 (606 comuni su 1110). "Si tratta, naturalmente, di un piccolo passo in avanti - è il commento di Libera - e tuttavia, cogliamo anche quest’anno il segnale di una importante inversione di tendenza, frutto, evidentemente, anche dell’azione civica messa in campo con RimanDATI”.
Tra i comuni capoluoghi di provincia, ben 67 – pari al 60% dei capoluoghi italiani – risultano destinatari di beni confiscati, per un totale di 926 immobili. Di questi, 57, pari all'85%, risultano virtuosi sul fronte della trasparenza. Tra i capoluoghi meno trasparenti dove sono presenti il maggior numero di beni confiscati troviamo Messina (64 beni confiscati), Barletta (47 beni confiscati), Reggio Calabria (32 beni assegnati) e Brescia (13 beni confiscati).
A livello di singole regioni, tra le più “virtuose” - quelle cioè che raggiungono o superano il 70% dei comuni che pubblicano l’elenco – ci sono la Liguria (87,5%), Emilia Romagna (84,4%), Puglia (79,8%) e Piemonte (78,2%). Rimandate con percentuale al di sotto del 50% Basilicata, Calabria, Lazio e Molise. Ma in generale, i dati migliorano in tutte le regioni, con punte significative, considerato il peso regionale, per Campania, Piemonte e Liguria. Dopo la discesa del 2022, risale lentamente la Calabria, dove si passa dal 18,8% dello scorso anno al 49,8%. Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove, a fronte del 29,9% del 2022, nel 2023 si arriva al 56,5%.
Il tutto avviene però in un contesto politico che preoccupa non poco Libera: “Dal governo arrivano segnali contrastanti sul sostegno agli enti locali - afferma ancora Giannone - basti pensare a tutte le misure definanziate all’interno del Pnrr, fino ad arrivare al disegno di legge sull’autonomia differenziata, che bloccherebbe lo sviluppo di intere aree del nostro Paese. È forse una delle conseguenze di quella tendenza alla 'normalizzazione', più volte denunciata da Libera, che sta facendo quasi scomparire il tema della lotta alle mafie dall’agenda politica, applicando solo misure di polizia e ordine pubblico, e riducendola così a uno dei tanti problemi marginali del Paese”.
Ecco allora che lo strumento del monitoraggio civico, cioè dell’attivazione del basso delle persone per conoscere e pretendere trasparenza, diventa uno strumento fondamentale. Lo spiega bene Leonardo Ferrante, referente nazionale del progetto Common (comunità monitoranti) di Libera e Gruppo Abele: “Quando la società civile, specie se organizzata nelle forme di comunità monitoranti, quindi tramite una pressione diffusa, si muove per ottenere trasparenza, allora il cambiamento accade. Che quindi la riappropriazione dei beni confiscati, una volta in mano ai clan, luoghi di interessi opachi e occulti, abbia un punto di svolta anche grazie a un’azione di trasparenza, ne aumenta la portata simbolica e politica".
Collettiva.it, 18/4/24
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