sabato, marzo 23, 2024

24 marzo 1943. L’eccidio Delle fosse ardeatine


Le Fosse Ardeatine furono la più grande strage metropolitana in Europa. E non fu semplice “barbarie” ma terrorismo ideato da burocrati dello sterminio 

di Alessandro Portelli 
Perché le Fosse Ardeatine sono così importanti? Dal punto di vista quantitativo, non sono la maggiore strage nazifascista in Italia (pensiamo a Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema) e in Europa occidentale (a Oradour, in Francia, le vittime furono quasi il doppio). A Roma, la deportazione degli ebrei, dei carabinieri, degli abitanti di Testaccio ha causato un numero impressionante e ancora non ben definito di morti — senza dimenticare i bombardamenti Alleati, la maggior causa singola di morte durante la guerra. Ma la storia e la memoria non sono fatte solo di numeri; per capire il significato di un evento storico bisogna andare oltre. Perciò il significato della strage nazifascista del 24 marzo 1944 si fonda su tre fattori: il luogo; le modalità; le memorie. 


La Fosse Ardeatine sono una strage metropolitana, la sola perpetrata in una grande città dell’Europa occidentale (a oriente è diverso: Varsavia, Kiev-Baby Yar, Nanchino…). Sant’Anna, Civitella Val di Chiana, Marzabotto, Caiazzo, Pietranseri — come Oradour e Lidice — sono paesi, villaggi, ambiti semirurali. Roma non è solo una grande città, ma è forse la città più carica di storia e di simboli di tutto l’occidente, due volte capitale, dello stato italiano e della chiesa cattolica. Tutte le vittime hanno la stessa importanza e sono accompagnate dallo stesso dolore, ma una strage a Roma ha un impatto simbolico diverso: non è un caso che il nome di Roma sia evocato in tante delle narrazioni sugli eventi della Seconda guerra mondiale, da Roma città apertadi Rossellini aMorte a Roma di Robert Katz, il primo libro importante sulle Fosse Ardeatine. 
Oltre l’impatto simbolico, una strage metropolitana comporta una differenza nella composizione delle vittime. Anziché la relativa omogeneità di realtà semirurali, l’elenco degli uccisi alle Fosse Ardeatine costituisce un autentico spaccato della demografia di una grande città: tutti i quartieri, da Centocelle a Val Melaina; tutte le classi sociali e i mestieri (dall’aristocratico piemontese Montezemolo agli ambulanti del ghetto — artigiani, studenti, ferrovieri, professori, avvocati …); tutte le età, dai 14 ai 75 anni; tutte le identità politiche (comunisti, liberali, apolitici, militari, civili) e religiose (più di 70 ebrei, cattolici — un prete — atei, massoni…). Alle Fosse Ardeatine c’è letteralmente tutta Roma. 
Non solo: dal 1870 in poi, su Roma capitale converge tutto il paese — dai militari e funzionari scesi dal nord per accompagnare il governo, agli edili e braccianti saliti dal sud durante il boom edilizio degli anni ’80. Alle Fosse Ardeatine muoiono persone che vengono dal Piemonte e dalle Marche, da Trieste e da Trapani, 13 pugliesi, 9 sardi… Il vero monumento all’unità d’Italia sta alle Fosse Ardeatine. Lì dentro c’è l’Italia intera: tutte le età, tutte le regioni, tutti i mestieri, tutte le scelte politiche e religiose — e se gli uccisi furono tutti uomini, sopravvivere e raccontare toccò alle donne. E comunque una donna, Fedele Rasa, fu uccisa da una sentinella nazista quel giorno mentre faceva erba vicino al luogo della strage. 
Una lapide sulla facciata di un edificio in via Venezia 20 ricorda che lì visse Mario Gelsomini ucciso alle Fosse Ardeatine — «dopo aver lottato con spirito indomito per la liberazione d’Italia dalle orde barbare». Nel catalogo della lapidi che ricordano gli uccisi alle Fosse Ardeatine, realizzato dal Museo della Liberazione di via Tasso, la parola “barbaro” e le sue varianti tornano sistematicamente: “barbaramente trucidati” dalla “feroce barbarie” del “barbaro invasore”… Nell’aula magna del liceo Giulio Cesare, la lapide ricorda che barbarorum manus foede laniavit Salvatore Canalis, Pilo Albertelli e Gioacchino Gesmundo, quasi a sottolineare con la classicità umanistica del latino la distanza fra la nostra civiltà e l’altrui barbarie. 
Purtroppo non è andata così. La strage del 24 marzo è un crimine contro l’umanità ma non ha nulla di barbaro; è un’azione lucida, consapevole, condotta non da “orde” selvagge ma da un ordinato e disciplinato esercito appartenente a uno dei paesi più colti della civile Europa. La selezione delle persone da uccidere, tutti maschi, scelti uno per uno, trasportati ordinatamente coi camion sul luogo predeterminato della strage indica una violenza fredda, programmata. E se alcuni degli esecutori hanno umani momenti di debolezza, se c’è un errore nel calcolo del numero dei candidati alla morte, per i responsabilisono solo piccole difficoltàpresto risolte e superate. 
Il simbolo di tutto questo sono gli elenchi. Dopo un frenetico scambio di comunicazioni con i vertici nazisti, lo Obersturmbannführer Herbert Kappler si sedette nel suo ufficio, come qualunque impiegato di qualunque ministero, prese i faldoni dagli scaffali, verificò le situazioni dei singoli, e redasse una lista (che poi dovette allargare sempre più perché i criteri con cui aveva iniziato non bastavano a raggiungere il numero prefisso). 
Una normale procedura amministrativa che genera una lista di candidati alla morte — a cui si aggiungeranno altri elenchi, dai 50 nomi consegnati ai nazisti da Guido Buffarini Guidi, ministro degli Interni della Repubblica sociale italiana, a quella su cui il capitano Erich Priebke spuntava i nomi delle vittime a mano a mano che arrivavano sul luogo del massacro, alle tante liste di uccisi imprecise e incomplete che circolarono dopo la strage. 
Come ha mostrato l’antropologo Jack Goody, solo le civiltà della scrittura fanno elenchi. Per compiere la strage delle Fosse Ardeatine (e tutta la Shoah)c’è stato bisogno degli archivi, degli uffici, della catena di comando, della logistica: c’è stato bisogno dello stato moderno, espressione massima di quella civiltà occidentale a cui orgogliosamente apparteniamo. Parlare di “barbarie” allora serve ad esorcizzare la strage, allontanarla da noi per relegarla in un’alterità assoluta che non ci riguarda. Invece ci riguarda profondamente. 
La strage non è stata progettata e compiuta da belve o mostri ma da “uomini comuni”, come ci ricorda lo storico Christopher Browning, ed è stata resa possibile dalla nostra civiltà e modernità. 
Non a caso, alla fine un tribunale di militari di un esercito che aveva condotto stragi non meno orrende in Etiopia (Debre Libanòs) o in Jugoslavia (Podhum) deve arrampicarsi sugli specchi per condannarne almeno uno e assolvere tutti gli altri. Strage metropolitana, moderna e civilizzata, le Fosse Ardeatine evocano i rischi e le possibilità impliciti anche nel meglio della nostra umanità e della nostra civiltà e cultura, ci invitano a chiederci di che cosa siamo capaci, e a vigilare, in primo luogo, su noi stessi. 

La Repubblica, 23/3/2024

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